ITALIANO ENGLISH
HOMEPAGE > > Raonic: invidia statunitense

24/02/2011 21:25 CEST - come nasce un campione

Raonic: invidia statunitense

TENNIS - Uno dei problemi su cui si dibatte da tempo è come costruire un campione, sempre che si possa fare. Quanti soldi spendere e come per far nascere un personaggio che, con le sue vittorie, possa portare il movimento nazionale sempre più in alto...che gli USA abbiano da imparare dal Canada? Ryan Harrison sfonderà? Francesco Pagani

| | condividi

Diciamocelo chiaramente: si è parlato tanto, forse troppo di Milos Raonic. Del ragazzotto con la faccia di chi è passato di lì per caso e ora si trova 37esimo al mondo, a tenere in alto i colori di una bandiera che nel tennis non è mai stata ben rappresentata. La Raonic-mania è nata durante gli Australian Open: tutti impazziti per Milos che ha saputo regolare Michael Llodra e Mikhail Youzhny, numero 10 mondiale. Il secondo torneo che ha giocato dopo gli Australian Open, a San Jose, Milos lo ha vinto. E come se non bastasse lo ha vinto con un doppio tie-break contro un certo Fernando Verdasco, 9 al mondo. Ironia della sorte il torneo dopo, a Memphis, si gioca la rivincita al 1° turno. E Raonic vince ancora al tie-break del terzo set e si porta in finale vincendo tutte le partite al terzo set. Gesta da eroe, un eroe che dopo aver fatto un doppio fallo abbassa la testa, si riporta sulla linea di fondo, lancia la palla in alto, carica il servizio e fa ace. Un eroe di questo tipo insomma. Che sui match-point va a rete a cercare il punto, per poi essere passato da un pazzo che si tuffa e fa il punto della vita. Da Brividi solo a pensarci.

Ma inutile parlare di fatti di cronaca ormai passati. Sarà quel che sarà, un top 20, un top10, il n.1, questo non interessa. Oggi abbiamo tutti (o quasi tutti) la Raonic-mania. Il ragazzo ci ha fatto venire la febbre, chissà quanti di noi saranno incollati alla TV per vedere il suo prossimo incontro, il suo prossimo torneo. E se questo è l'effetto che un Raonic qualsiasi ha su di noi, vogliosi di vedere nuove facce sfidare i più forti, chissà l'effetto che può avere in Canada. La federazione tennis canadese (Tennis Canada) si starà stropicciando gli occhi dagli Australian Open, o forse già da prima, da quando il tennista dalle spalle di un 14enne (come lo ha definito Verdasco) ha giocato contro Rafael Nadal nel torneo di Tokyo perdendo 6-4 6-4.

 Ma cosa ha fatto Tennis Canada per aiutare la crescita di questo ragazzo? Raonic ha detto che la federazione canadese ha iniziato ad aiutarlo solo tre anni fa: non male, malissimo. Questo significa che anche all'estero le cose non vanno così bene a quanto pare. E' vero, Milos non ha mai avuto grandi risultati a livello junior, ma era un giocatore così scarso da non essere considerato minimamente fino a tre anni fa, ad un anno dalla maggiore età? In ogni caso questo accresce ancora di più l'imprevedibilità della nascita di un top player. Non sta a me ricordare quanti predestinati, quanti piccoli fenomeni sono diventati “solo” buoni giocatori. Si sono fermati, bruciati...i motivi sono molteplici, uno (e forse il più importante a mio parere) è mentale. E' la testa che ti permette di andare avanti, di sopportare la pressione e arrivare là in alto, oltre al talento ovviamente.

Ora pensate alla fortuna del Canada e all'invidia degli Stati Uniti, dell'USTA. E' vero, la nazione a stelle e a strisce ha sfornato campioni per anni e anni, anche e soprattutto grazie al buon vecchio Nick, ma ora la federazione tennistica statunitense non sa più cosa fare. I soldi investiti nei centri federali e in progetti vari sono parecchi, i risultati non sono ancora arrivati anche se bisognerà aspettare qualche anno per dare un giudizio definitivo. Resta però da notare che oggi gli Stati Uniti, a livello di giovani tennisti, sono in crisi (a dire che l'Usta è in crisi mi vengono i brividi...se loro sono preoccupati noi cosa dovremmo essere?) e l'unica speranza immediata resta Ryan Harrison, di cui si parla un gran bene. Tutto ciò per dire che nonostante i soldi investiti in progetti vari molto spesso si fallisce. E si può vedere nascere una stella da un terreno incolto, in un luogo in cui nessuno avrebbe mai seminato niente. La domanda è: c'è qualche modo per insegnare a essere campioni? O tutto accade individualmente, come se si accendesse un fuoco che all'improvviso divampa? Qual è l'ultimo passo da compiere per essere campioni? Personalmente ritengo che l'ultimo passo non lo possa fare il coach, non lo possano fare le federazioni ma debba avvenire all'interno del giocatore. La grandissima responsabilità che un coach o una federazione hanno è di mettere questo campione nella condizione di giocarsela, di metterlo nella posizione ideale affinché poi possa fare il salto di qualità. Il Canada ha un giocatore che forse questo passaggio lo ha già fatto, gli USA no.

Per ora dunque niente di niente (nessun 1989, nessun 1990)...chissà se fra qualche anno non faranno come gli amici inglesi, costretti ad abbassare la testa e a tifare per uno scozzese. “Go, Milos!” diranno forse agli US Open. E un'ultima cosa...sapete di che nazionalità sarà il prossimo fenomeno mondiale? Della Repubblica di San Marino.

Francesco Pagani

comments powered by Disqus
Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti
La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi

Fotogallery a cura di Giacomo Fazio

Ubi TV

Ana Ivanovic visita il Wild Wadi Water Park

Quote del giorno

"Il tennis non è una questione di vita o di morte. E' molto di più"

David Dinkins, ex sindaco di New York, colui che impose agli aerei di non passare sopra Flushing Meadows durante lo Us Open.

Partnership

Sito segnalato da Freeonline.it - La guida alle risorse gratuite