ITALIANO ENGLISH
HOMEPAGE > > Antropologia del presente?

13/03/2011 11:54 CEST - SPAZIO WALLACE

Antropologia del presente?

TENNIS - Spazio Wallace. Penultima puntata. Il viaggio all’interno del più grande scrittore (di tennis) del mondo giunge quasi al termine. "Considera l’aragosta" è in assoluto il libro di Wallace in cui il tennis occupa lo spazio minore. Sedici pagine su Tracy Austin (e la sua autobiografia) su quasi 400, più Obama, Kierkagaard e Woody Allen. Se il vostro faro guida è il tennis...va messo in coda. Pier Paolo Zampieri

| | condividi

Considera l’aragosta, Einaudi, Torino, 2006, (2005);
Spazio Wallace. Penultima puntata. Il viaggio all’interno del più grande scrittore (di tennis) del mondo giunge quasi al termine. Considera l’aragosta è in assoluto il libro di Wallace in cui il tennis occupa lo spazio minore (1). Appena sedici pagine su Tracy Austin (e la sua autobiografia) su un monte pagine di quasi 400. Se il vostro faro guida è il tennis, consiglio vivamente di inserirlo in coda alla lista proposta (2), se non è così sedetevi comodi, bagnatevi la punta delle dita e stropicciatevi gli occhi. Siamo davanti ad un libro che è uno spericolato incrocio tra Star Trek (dove la scrittura di un uomo non era mai giunta prima) e un’involontaria antropologia simmetrica (3) condotta nel cuore stesso dell’America. Se proprio non siamo addetti ai lavori l’antropologia ci evoca vaghe immagini di serissimi studiosi bianchi con cappelli coloniali che vanno a osservare le abitudini e le credenze di popoli “lontani”, spesso, considerati primitivi. Bene, qui succede esattamente l’opposto, un americano candido e mostruosamente intelligente parte armato solo di scrittura (4), e partecipazione, verso il dna stesso della più grande superpotenza del mondo, mettendo a nudo le sue nevrosi e le sue (false) credenze. Siamo a ben vedere davanti ad un singolare caso di “etnografia del presente” o se volete di un “archeologia di superficie” solo molto ma molto divertente.
Il libro è composto di dieci pezzi che vanno dal mondo del porno all’11 settembre (visto da casa della Sig.ra Thompson), passando per la campagna elettorale del senatore McCain (5), dalla biografia tennistica di Tracy Austin e davvero molto altro.
Andiamo con ordine:
1) Il figlio grosso e rosso, (reportage) da pag. 3 a 54. Il “pezzo” che apre il libro è del tipo che durante la lettura si telefona ad un amico per leggergli degli stralci e riderci assieme. Davvero. Il buon Wallace viene catapultato nella notte degli Academy Awards del cinema porno. Questa è da leggere lentamente. Gli-Oscar-del-Cinema-Porno. Cos’altro dire? Solo una società spaventosamente libera, satura e decadente, ma di una decadenza cupa e scintillante può produrre un happening del genere (6). L’evento ci viene restituito in tutta la sua carica grottesca, e fantastica, con il radicato sospetto che viviamo esattamente in quel mondo lì, solo che lì, almeno, ci viene presentato senza ipocrisie. Per usare le sue parole “Dentro il Caesars Palace c’è l’America concepita come una nuova Roma: conquistatrice del suo stesso popolo. Un impero del Sé. Roba da levar il fiato (7)” e poco più avanti “immaginate che l’apocalisse abbia preso le sembianze di un coktail-party”, questo più o meno è quanto. In due parole non solo una felicità oscena che le altre culture possono solo sognarsi ma una felicità letteralmente traumatica. Sorvolo in questa sede sulle descrizioni delle pornostar (8), o dei loro agenti, o dei titoli dei film premiati, e mi soffermo sul senso della parola traumatico. Wallace ci fa molti esempi su come in quel contesto la dimensione psicologica della normale interazione tra esseri umani sia quantomeno “complessa”. Ne cito solo due. Il primo è lo straniamento che ci assale nel parlare con una sconosciuta di cui si sono viste centinaia di volte (e da molte angolature) le parti intime. E’ lo stesso straniamento di trovare molto familiare il volto di uno sconosciuto con l’aggravante che quel volto lo si è già visto non semplicemente su di uno schermo, come avviene normalmente con le star, ma lo si è visto (molte volte) in primissimo piano nella sublime smorfia dell’orgasmo. E lo si è visto, sempre, da soli!!! E’ estremamente complesso catalogare tale categoria umana dentro la tonalità di grigi inscritta nel binomio conosciuto\sconosciuto. In più vi lascio immaginare la tempesta di emozioni quando siete in prossimità con una tale creatura, ad esempio in un ascensore, quando tutta le volte che l’avete vista nella stessa situazione… beh sappiamo bene come andava a finire. Praticamente, ci dice Wallace, le normali reazioni nervose comportamentali vanno in cortocircuito lasciandoci allo stesso tempo annichiliti ed elettrizzati. Il secondo esempio, e qui il trauma raggiunge vette inarrivabili, è quando Wallace ci rende partecipi del peggior incubo in cui precipita, che è in assoluto il peggior incubo che possa capitare ad un uomo medio, peggio ancora se figlio di una cultura maschilista: dover andare in bagno e avere accanto, nell’orinatoio, i divi del cinema porno. Favoloso, ipnotico e terribile.
2) La fine di qualcosa senz’altro, verrebbe da pensare, (recensione) da pag 55 a 63. Un’acuta e schietta analisi dell’opera letteraria e del carattere di John Updike. Avercene recensori così.
3) Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka, (lezione), da pag 64 a 69. Wallace in poche pagine ci spiega perché l’opera di Kafka sia intrisa di un poderoso umorismo ma perché trova molto difficile spiegarlo ai suoi studenti. Per la cronaca perché è uno strano umorismo. Un umorismo spaventoso e triste. Un umorismo religioso (9).
4) Autorità e uso della lingua, (saggio), da pag. 72 a 138. Questa lunga riflessione parte dalla recensione di un dizionario di lingua inglese. Forse è il pezzo più bello, e più “alto”, dell’intero libro. Denso, scorrevole e illuminante. Wallace ci mostra come anche una cosa apparentemente neutra come un dizionario di inglese, celi in realtà una visone politica, e ideologica, del mondo e come tale visione sia il frutto di un’autentica lotta sotterranea che con qualche approssimazione possiamo definire tra conservatori e progressisti. La sua posizione, snob e purista della lingua (10) che tifa però per i “progressisti” rende il saggio più tridimensionale (11). In queste pagine l’antropologo simmetrico evocato nell’introduzione tocca il nervo più crudo dell’America. La lingua. Dovendo fare una trasposizione sulla realtà italiana, davanti ad un ragazzo di provincia che non sa parlare italiano se non mescolato ad un pesante dialetto, magari meridionale, bisognerebbe dirgli: “tu non parli male l’italiano, semplicemente parli bene e conosci molto bene un’altra lingua, che è molto simile all’italiano, ma è diversa. E’ altro. La tua lingua, ripeto, che somiglia molto all’italiano, ha la stessa dignità dell’italiano, se non di più, ma se vuoi essere accettato e avere un posto in società, fattene una ragione e impara anche l’altra. Non è giusto ma è così.” Se vi sembra un po’ eccessivo, immaginate che tale discorso sia fatto da un bianco, laureato e benestante, ad un ragazzo di colore che si esprime con un slang frutto di mille contaminazioni e che odia ciò che lui rappresenta (12). Illuminante.
5) La vista da casa della sig.ra Thompson, (reportage involontario), da pag 139 a 152. Quante volte abbiamo visto le immagini dell’11 settembre? Bene, immaginate adesso di rivederle di nuovo ma dalla casa nell’Illinois della Signora Thompson. Una foto dell’America da un angolo mai visto. Quello più quotidiano.
6) Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore, (?) da pag 153 a168. Finalmente tennis, anche se in tono minore. Il pretesto è una biografia di, e su, Tracy Austin, la prima baby prodigio del tennis moderno. Wallace riflette sul perché una storia così eccezionale si traduca in pagine così banali (come la maggior parte delle biografie dei grandi sportivi). Per chi è troppo giovane per ricordala, Tracy Austin fu una specie di terremoto nel mondo del tennis. Quando vinse, a soli 14 anni, un torneo professionistico fu per Wallace una specie di choc irreversibile. Aveva capito, con la dolorosa violenza dei pensieri adolescenziali, che là fuori, nel mondo, c’era qualcuno davvero bravo e che lui semplicemente non lo era, e non lo sarebbe stato mai (13). La parabola di Tracy Austin bruciò poi davvero in fretta, vinse un U.S. Open all’età di 16 anni e 9 mesi, arrivò addirittura al numero 1 in classifica l’anno successivo per poi smettere per problemi fisici a soli 21 anni. Sarebbe già una buona storia se non fosse che all’età di 26 Tracy cercò di rientrare nel tennis ma venne investita da un pirata della strada che mise fine per sempre alla sua carriera. Bene, com’è possibile che una storia così tragica, e gravida di destino, risulti poi così banale? E’ questa la domanda attorno a cui gira tutto il pezzo. La risposta che ci dà Wallace, al di là delle mere logiche editoriali, è che “coloro i quali mettono in pratica il dono del genio atletico debbano, di necessità, essere ciechi e muti al riguardo, non perché la cecità e il mutismo siano il prezzo di quel dono, ma perché ne sono l’essenza”. In sintesi siamo noi, solo noi, che apprezziamo fino in fondo quel dono, non loro. E’ paradossale ma in quest’ottica i grandi tennisti sono praticamente dei meri medium inconsapevoli, per Federer esplodere quei colpi è normale, è la cosa più semplice del mondo, è solo per noi che li vediamo, e che mai potremmo farli, che risultano così eccezionali e che ci suscitano tante emozioni (quasi religiose).
Degli ultimi quattro pezzi ne cito in questa sede solo due. Considera l’aragosta, un lungo reportage sensoriale (pag. 263) di una sagra paesana nel Maine famosa per La Più Grande Pentola del Mondo in cui si buttano milioni di aragoste vive per mangiarle poi freschissime e Forza Simba (pag. 169), un reportage embedded della campagna elettorale del Senatore McCain. Il primo diciamo che è dal punto di vista dell’Aragosta e, come dire? ci pone qualche piccolo problema etico, il secondo è invece un’analisi al fulmicotone del sistema mediatico americano, con brillanti digressioni sul concetto di autorità, di desiderio e di credulità (14). In ultima analisi sul concetto stesso di democrazia.
In entrambi i casi veniamo colti da un sentimento analogo a quello della visione dei film di Woody Allen. Cose tristi ma dette in maniera molto divertente. Forse, in fin dei conti, la migliore fotografia possibile dell’America stessa.

(1) Tra quelli che parlano di tennis, chiaro.
(2) Vedi capitolo zero (intro).
(3) Il concetto di “antropologia simmetrica” è una serissima provocazione culturale che invita ad analizzare con gli stessi strumenti usati per i “selvaggi”, la nostra cultura che ha l’ambizione di ritenersi diversa dalle altre (è moderna). Vedi Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni, elèuthera, 2009, (1991);
(4) E presumo con in testa una bandana.
(5) Per intenderci è quello che ha perso con Obama alle ultime elezioni presidenziali ma all’epoca del reportage era l’oppositore di Bush alle primarie dei conservatori. Morale, io che avevo letto Wallace, durante le elezioni di Obama ero l’unico tra i miei amici che conoscevo mooolto bene il Senatore McCain e il mio prestigio nei discorsi da bar è aumentato molto. Sono effetti indiretti della lettura di Wallace.
(6) “Il figlio grosso e rosso” evocato nel titolo è il modo gergale di chiamare l’industria del cinema porno. Vi basti sapere che come introiti, pare, abbia superato quello “normale”. Attenzione la follia percepita non è nel cinema porno in sé, ma nel concetto stesso di Oscar del cinema porno. Provate ad immaginarvi una commissione obbligata a visionare per ore film praticamente uguali e diciamo modulari. E provate poi ad immaginare di dover motivare perché uno sia migliore dell’altro. Ecco.
(7) Pag. 10.
(8) Sono spesso quelle che riguardano la telefonata col vostro amico. Vi dico solo che una delle pornostar ha delle protesi all’ultimo grido. Sotto le ascelle ha due piccole valvole che le permettono di aumentare a suo piacimento il volume del seno. Quando le mostra (le valvole) a Wallace crede che la sua espressione sia di puro stupore di fronte a tale invenzione.
(9) “Un umorismo religioso, ma religioso alla maniera di Kierkegaard”, p. 68., non certo alla Woody Allen.
(10) Wallace ci confessa di essere il tipo che quando legge, la domenica, la più prestigiosa rivista letteraria d’inglese, lo fa armato di penna rossa per correggere le virgole.
(11) E’ troppo lungo in questa sede elencare le ricadute di questo discorso. Fidatevi (o leggete il saggio).
(12) Il paradosso è che spesso il professore che fa questo discorso, pur protetto dalla ragione e dal vocabolario spesso parla una lingua sola. Non è bilingue come il ragazzo a cui fa il discorso.
(13) Wallace fu a livello giovanile un discreto tennista.
(14) O per dirla meglio del paradosso che ci abita tra il volere credere ad ideali più grandi del nostro naso e la convinzione che chi agita tali ideali voglia solo venderci un altro prodotto.

PUNTATE PRECEDENTI

INTRODUZIONE

PRIMA PUNTATA

SECONDA PUNTATA
 

Pier Paolo Zampieri

comments powered by Disqus
Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti
La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi

Fotogallery a cura di Giacomo Fazio

Ubi TV

La canzone di Raonic

Quote del giorno

"Guardare un match tra Connors e McEnroe è come assistere alla 500 miglia di Indianapolis. Sai che buona parte del pubblico non è lì per vederli giocare: aspetta che esplodano"

John Feinstein

Partnership

Sito segnalato da Freeonline.it - La guida alle risorse gratuite