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08/04/2011 10:36 CEST - CIRCUITO ATP

È primavera, si cambia coach

TENNIS - Tsonga, Gulbis e De Bakker hanno in questi giorni annunciato la decisione di abbandonare i propri allenatori per cercare nuove strade. È sempre una decisione difficile, soprattutto se a troncarsi sono i sodalizi di lunga durata. Sono comunque tutte decisioni giuste: i tre non stanno attraversando un buon momento. Riccardo Nuziale

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L’importanza dell’allenatore nel tennis è un argomento che periodicamente emerge. Per alcuni è un semplice motivatore che ben poco può influire sulla qualità del giocatore e delle sue prestazioni in campo, per altri invece è fondamentale anche per campioni affermati nella ricerca di soluzioni tecnico-tattiche sempre nuove e maggiormente performanti.

Nei giorni scorsi tre giocatori di livello (Ernests Gulbis, Jo-Wilfried Tsonga e Thiemo De Bakker) hanno deciso di interrompere il sodalizio con i rispettivi allenatori per intraprendere una nuova strada.

Particolarmente dura e difficile la scelta dell’olandese, ora numero 54 del mondo (è stato al massimo 40), che al connazionale Huib Troost deve la crescita e la maturazione tennistica, per non dire l'intera carriera, avendolo quest’ultimo allenato in pratica da sempre: con lui ha condiviso il numero 1 e Wimbledon junior nel 2006 e la grande affermazione pro nel 2009 (quattro challenge vinti e ingresso tra i top 100) e nel 2010 (con i terzi turni di tre Slam su quattro, fallendo solo l’appuntamento australiano). Il 2011 è stato invece finora estremamente negativo per il tulipano 22enne, con una sola partita vinta su sette; la decisione di voltare pagina (pur mantenendo ottimi rapporti, come ha confermato lo stesso giocatore) è probabilmente maturata proprio in seguito a questa inaspettata falsa partenza. Pronto a iniziare a Montecarlo la stagione sulla sua superficie preferita (l’anno scorso venne giustiziato da Nadal al secondo turno), De Bakker verrà nelle prossime settimane assistito provvisoriamente da Raemon Sluiter, ormai ex giocatore e amico del giovane tennista (tra l’altro i due vinsero un torneo di doppio due anni, il challenger di Vigo).

Molto più breve è stata la partnership tra Gulbis e Hernan Gumy, ma non meno importante. Iniziata nel settembre del 2009, la collaborazione tra l’instabile lettone e l’argentino (ex allenatore, ricordiamo, di Kuerten e Safin) ha portato frutti di notevole qualità, se si pensa che nell’unico anno in cui i due hanno lavorato assieme, il 2010, Gulbis ha migliorato la propria classifica di 66 posizioni, chiudendo al 24o posto del ranking ATP. Salto di qualità spiegato dai risultati, in gran parte nella prima parte dell’anno, con il primo torneo vinto in carriera a Delray Beach e l’importante stagione sul rosso (lottatissima semifinale di Roma contro Nadal e quarti di Barcellona e Madrid). Sebbene negli Slam i benefici Gumy non fossero arrivati (tutti primi turni), si pensava che il 2011 fosse l’anno della consacrazione definitiva. Ora numero 31, Gulbis ha invece giocato assai male questi primi mesi di stagione, mostrando non di rado il peggio di sé, regalando caterve di gratuiti agli avversari e palesando il suo classico atteggiamento indisponente; nella doppia trasferta statunitense ha vinto una sola partita, a Indian Wells contro Lu salvando match point, poi disfatta contro Djokovic (un game vinto) e sconfitta contro l’argentino Berlocq, numero 72 del mondo.
L’interruzione del rapporto tra il lettone e l’argentino non è dovuta però, come si potrebbe pensare, a motivi tecnici, bensì a problemi familiari di Gumy.
A sostituirlo Gulbis ha già chiamato Darren Cahill, ex allenatore di Hewitt, Agassi e Verdasco (arrivò vicino ad allenare anche Federer, ma poi non se ne fece nulla); chissà se l’australiano, uno dei più acclamati coach del mondo, riuscirà a rendere il lettone un campione a tutti gli effetti, come auspicato dagli appassionati.

Infine Tsonga. Il francese, tramite un comunicato sul sito della federazione francese, ha fatto sapere di aver interrotto il rapporto con Eric Winogradsky, con il quale lavorava dal 2004 e con il quale, quindi, ha vissuto i grandi exploit della propria carriera, finale in Australia e vittoria di Bercy 2008 in primis. I motivi sono semplici: risultati sempre meno all’altezza e fisico costantemente a rischio infortuni hanno portato il francese alla decisione di rendere più aggressivo il proprio gioco.
Sceso al numero 17 del ranking ATP, Tsonga non vince un torneo dal 2009 e quest’anno non ha raggiunto grandi risultati: finale a Rotterdam e semifinale a Doha, ma anche un misero terzo turno nella sua Australia e un solo match vinto su tre a Indian Wells e Miami. Troppo poco per un ventiseienne ex numero 6 del mondo.
La scelta di Tsonga appare la più logica e sensata: pur in questo tennis attuale dai campi penalizzanti per un giocatore dalla stazza del francese, Tsonga non può assolutamente accettare un tipologia di gioco basata sull’insistito scambio da fondocampo. Ci auguriamo di vederlo al più presto (verosimilmente a Wimbledon, dove dovrà difendere il quarto di finale dello scorso anno) al massimo delle sue esplosive potenzialità: il tennis ha bisogno di un giocatore e un personaggio come lui davvero come il pane.

Riccardo Nuziale

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