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27/02/2012 16:23 CEST - Intervista esclusiva

"Gli italiani hanno lo sport nei geni"

TENNIS - Jean François Caujolle, direttore dell'Open 13 di Marsiglia, ci ha concesso un'intervista esclusiva. Si è parlato del torneo provenzale, del Master 1000 di Bercy che ha gestito per cinque anni, del tennis francese e italiano. "Qui da noi" dice, "amiamo lo sport solo quando vinciamo. La Francia è un paese molto intellettuale e con poca cultura sportiva". Da Marsiglia, Laura Guidobaldi

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Quest'anno ci sono grandi giocatori qui a Marsiglia, in particolare 4 Top 10 ed è un gran risultato per un torneo ATP 250. Come avete fatto e come mai giocatori così importanti hanno deciso di partecipare al torneo di Marsiglia?
In effetti, è da tempo che abbiamo molti top 10. Una delle specificità del torneo è proprio la sua "forza" sportiva e, ormai, da quasi vent'anni, a parte il primo anno, abbiamo sempre avuto grandi nomi, grandi giocatori: Federer è venuto 5 volte, Nadal 2 volte, Djokovic 3 volte. Federer ha vinto, pure Becker e Kafelnikov hanno vinto. È vero che c'è sempre un torneo tra i 250 che è tra i più importanti : con il Queen's, Halle e Doha siamo i 4 tornei più forti tra i 250. Questo è dovuto a due cose: inanzitutto alla sua collocazione nel calendario Atp. Il periodo è favorevole, siamo all'inizio della stagione, siamo in mezzo a due grossi tornei come Rotterdam e Dubai e quindi godiamo di questo mini-swing - come del resto il Queen's e Halle sono i tornei di preparazione a Wimbledon e, per la stessa ragione, hanno giocatori di qualità - ; e poi perché abbiamo un'economia alquanto forte e abbiamo un potenziale finanziario sufficiente ad invogliare i giocatori. Inoltre, una cosa importante è che abbiamo la fortuna di avere giocatori francesi ad un buonissimo livello: Tsonga, Gasquet è vicino ai Top 10 e Monfils si aggira regolarmente attorno ai primi dieci.

Cosa avete previsto per quest'edizione? Ci saranno dei cambiamenti, cose particolari oppure il torneo resterà lo stesso degli anni scorsi?
Direi che, in generale, il torneo resta lo stesso. Cerchiamo di farlo evolvere con quello che abbiamo a disposizione: abbiamo una struttura tale per cui non possiamo "spostare" i muri" e quindi siamo già al completo per quanto riguardi gli spazi di accoglienza e il villaggio. Siamo dotati appunto di un villaggio per le public relations che è vastissimo. Si può fare molto ma non tutto. Abbiamo inoltre cercato di fare un po' più di spettacolo e di animazione quando i giocatori entrano in campo però non ci sono tante cose nuove. Penso che comunque la cosa più importante sia lo spettacolo sportivo, la qualità dei giocatori e l'impegno maggiore per noi è relativo allo sport e al gioco, anche se accanto a questo c'è comunque un villaggio VIP di 6000 mq, con molte public relations: la forza e il marchio di fabbrica del torneo è l'aspetto VIP ma, alla fine, lo sport ha comunque la precedenza.

È vero che in questo momento il tennis francese è ad altissimi livelli. Ci sono giocatori molto forti e competitivi. In aprile si disputeranno i quarti di finale della Coppa Davis. Come vede la squadra francese opposta agli Stati Uniti?
Ah, è interessante ! Oggi negli Stati Uniti c'è una squadra eccezionale e poi ci sono due giocatori molto forti in singolare, Isner e Fish. Certamente sarà un incontro difficile, che si giochi sulla terra o sul duro. La Coppa Davis è una prova un po' particolare: può succedere di tutto. Mi piace che le chance di ognuno siano identiche. Quello che non mi piace nella Coppa Davis è che spesso si cerca di trovare la superficie inadatta all'avversario invece di ricorrere piuttosto a quella più adatta per sé. Mi piacerebbe che ci fosse più equità, una maggiore logica sportiva. Ma, è così, ecco, poi saranno i giocatori che decideranno se giocare sulla terra o sul veloce. Tsonga sul duro può battere tutti mentre è meno forte sulla terra; Monfils è migliore sulla terra, Gasquet sul duro. Quindi, ecco, la scelta sarà delicata. Isner è forte sia sul duro che sulla terra, come i Bryan e Fish è più forte sul duro che sulla terra.

Lei è stato il direttore del torneo di Parigi Bercy. Cosa le ha dato in più l'esperienza di un torneo così importante come Parigi e come può esserle utile per Marsiglia?
Un grande torneo è molto più facile, perché c'è più personale, uno stadio più grande, ci sono più cose. La cosa diventa più difficile quando un torneo è più piccolo perché i mezzi economici sono inferiori. Quindi è molto più difficile. Ma è comunque interessante. Mi ha dato molto sul piano dei rapporti umani e sul management - anche se management non è un termine che mi piaccia particolarmente perché non considero la cosa in questi termini - ma c'erano molte cose interessanti perché la Francia è un paese di tennis, quindi c'erano molti eventi e molti giocatori, e ogni volta avevamo i mezzi finanziari per attuare molte cose. Ma quello che si fa a Parigi non è fattibile qui e quello che funziona bene qui, forse non è adatto a Bercy. Poi l'aspetto un po' pesante nei grandi eventi è che ci sono molti protocolli, sebbene nei tornei più piccoli ci siano protocolli più "politici", ma è normale, è giusto che sia così. Parigi invece è l'istituzione, la Federazione. È diverso, insomma, ma molto interessante.

Lasciare la direzione di Parigi Bercy è stata una scelta sua o di qualcun altro?
È stata una scelta comune. Siccome mi occupo anche di un torneo a Nizza e, dall'anno scorso, di un torneo WTA a Bruxelles, per me era importante avere più tempo per me e per la mia famiglia. A Parigi avevo una missione, prima per due anni, poi per cinque. Ecco, sono arrivato a cinque, e credo che non avevo più granché da dare a Parigi. Non ero più indispensabile per Parigi. Quello che dovevo fare l'ho fatto. Avere Federer e Tsonga in finale è stato per me la finale ideale, da sogno. È accaduto l'ultimo anno ed è stato perfetto che la cosa sia andata in questo modo. Quindi è meglio andarsene quando le cose vanno bene.

Due parole sul tennis italiano. A livello femminile abbiamo avuto il grande exploit di Francesca Schiavone che ha vinto il Roland Garros nel 2010 e ha raggiunto la finale nel 2011. Ma, a livello maschile, non abbiamo ancora tali risultati. Come considera la cosa?
È incomprensibile perché io sono dell'epoca di Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli e il tennis italiano era forte. Poi penso che, per esempio, la forza del tennis francese sia la Federazione, che è forte, ci sono molti eventi e ha investito molto per i giocatori e la formazione. Non dico che l'Italia non lo faccia perché non so come funzionino lì le cose, ma è sorprendente che in Italia i campioni non si vedano più. Ci sono buoni giocatori ma, da molti anni, non ci sono più campioni. È peccato perché vediamo che la Spagna ha grandi giocatori, la Francia ha grandi giocatori e per me l'Italia è come la Francia e la Spagna, siamo molto simili, siamo tutti paesi mediterranei con un passato sportivo importante.

In Italia, dal paesino alla grande città, i circoli sono dotati di strutture per coprire i campi. Mentre in Francia, anche nei grandi centri, i campi sono sempre scoperti e anche in inverno si è costretti a giocare all'aperto. Come lo spiega? È un aspetto un po' curioso...
Non so come spiegarlo. È vero che nel 1980 c'è stata una politica lanciata dal presidente della federazione che, all'epoca, era Philippe Chatrier, di costruire 3000 o 5000 campi da tennis, per cui ce n'erano dappertutto, in tutti i comuni. Cosa che è stata buona ma, nello stesso tempo, non controllata e un po' incompiuta perché non c'era abbastanza vita, mancava un'anima; mancava la clubhouse ed è stato necessario riadattare la situazione. Ora non so come sia in Italia, ma la Francia manca di strutture adatte allo sport. E non solo per quanto riguarda il tennis. Non abbiamo abbastanza piscine, stadi per l'atletica. I campi di calcio, adesso, sono per lo più rimodellati e ripensati perché ci sarà il Campionato europeo che si svolgerà in Francia. Ecco, la Francia è molto in ritardo a livello delle infrastrutture sportive in generale. Per me, in Francia, si tratta di un problema sociale: la Francia non è un paese dalla cultura sportiva. Lo sport non viene integrato a scuola; il campione ha un riconoscimento solamente se riesce a sfondare. Siamo un paese che è molto "intellettuale" e lo sport non riesce a trovare una giusta collocazione. Lo sportivo non è considerato per i suoi meriti, lo sport è trascurato nell'ambito della scuola e quindi anche a livello delle strutture. E ho l'impressione che in Italia lo sport sia più radicato nei geni degli italiani, che sia sempre una cosa molto importante. Qui in Francia, amiamo lo sport quando vinciamo; se non vinciamo non ce ne importa nulla. In Italia invece lo sport è seguito anche quando si perde.

Da Marsiglia, Laura Guidobaldi

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