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28/02/2012 11:54 CEST - Storie di tennis

Quando il tennis salva la vita

TENNIS – Rachel Pashaev è una bambina israeliana che sogna di diventare campionessa. È tra le migliori under-10 del Paese. In questi giorni è negli Usa dove gioca una serie di esibizioni per raccogliere fondi per la fondazione che la aiuta. Vive a Sderot, a un chilometro da Gaza. Grazie al tennis, può dimenticare le bombe. Alessandro Mastroluca

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Ad Ashkelon il vento che soffia tra i sicomori trasporta sabbia, storia e gli echi di spari e bombe. La città antica, nodo centrale per le vie del commercio che dalla Turchia portavano alla Siria e all’Egitto, è ormai un ricordo. Del porto neolitico, delle strade su cui hanno camminato cananei e filistei, Sansone e Riccardo Cuor di Leone, gli Egizi e i Crociati, restano rovine e mosaici. Ricostruita nel 1949 occupando il territorio della città araba di Majdal, avamposto della Forza di Spedizione Egiziana a Gaza.

Solo una ventina di chilometri la separano dalla Cisgiordania, dalla guerra. Ma la speranza non è solo negli alberi della vita dell’Età del Bronzo che gli archeologi riportano alla luce. È anche negli occhi di una bambina che ad Ashkelon si allena e che ha preso l’aereo per la prima volta, con in tasca un sogno e in mano una racchetta.

Ha dieci anni, Rachel Pashaev, ed è diretta negli Stati Uniti per una serie di esibizioni per raccogliere fondi per l’Israeli Tennis Centers Foundation, nata nel 1974 grazie alla visione di Rubin Josephs, Ian Froman, Freddie Krivine, Joseph D. Shane, il dottor William Lippy e Harold Landesberg. Sei pionieri che vogliono aiutare a crescere nello sport i bambini israeliani indipendentemente dalla religione o dalle possibilità economiche. In due anni vede la luce il primo degli attuali 14 centri, a Ramat Hasharon.

È proprio grazie a una borsa di studio della Fondazione che Rachel può continuare a giocare. Grazie al loro sostegno può viaggiare quattro volte a settimana fino da Sderot a Ashkelon, nel centro fondato nel 1981, per prendere le lezioni del coach Asi Shaul nell’ambito del programma avanzato (High Performance).

È stato il papà, Vladislav, emigrato dalla Russia, a incoraggiare Rachel a giocare a tennis quando aveva quattro anni. “Il tennis ha avuto una meravigliosa influenza su di lei” spiega, “è diventata più responsabile e anche i suoi voti a scuola sono migliorati. Viaggiare all’estero le farà dimenticare le difficili situazioni che vive a casa”.

Rachel e la sua famiglia, infatti, vivono a Sderot, nel Distretto sud, a un chilometro appena dalla Striscia di Gaza. Tra giugno 2007 e febbraio 2008 è stata bersaglio di oltre 700 razzi Qassim e quasi altrettante bombe.

Qui anche le cose più semplici come giocare fuori con gli amici diventano pericolose” racconta Rachel. “Il tennis porta un po’ di calma nella mia vita e e dà alla mia famiglia un senso di normalità anche se siamo sempre preoccupati per le bombe”. Spesso le sirene suonano nel bel mezzo dell’allenamento: “Se succede, dobbiamo correre nei rifugi il più velocemente possibile per sfuggire agli attacchi”.

Il tennis come ancora di salvezza, in una vita così giovane eppure già “segnata dalla paura, dall’ansia, dallo stress”. Shaya Azar, ex giocatore di livello nazionale che gestisce il centro di Ashkelon e dirige il programma per le Special Olympics, spiega: “Nonostante le difficoltà che affronta tutti i giorni, Rachel non perde mai l’ottimismo e il sorriso. Nessuno può distrarla dalla concentrazione sul tennis e dai suoi amici”. Da una normalità che per Rachel assume i tratti della conquista e del coraggio. La normalità di una paura da cui non farsi sopraffare, da combattere con un sogno in tasca e una racchetta in mano.

Alessandro Mastroluca

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