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02/03/2012 15:24 CEST - SARANNO FAMOSI

La meglio gioventù - Chapter 1

TENNIS - La vittoria di Timea Babos al torneo di Monterrey è solo la punta dell'iceberg di una generazione di giovanissime, pronte a far tremare le gerarchie nei prossimi anni. Dall'ungherese alle gemelle Pliskova, dall'anglo-australiana Robson alla lusitana Larcher de Brito. Il primo capitolo dedicato alle migliori promesse della WTA. Samuele Delpozzi

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Il circuito femminile sembra aver definitivamente completato il ricambio al vertice, con il passaggio di testimone dalla gloriosa generazione delle Williams e delle belghe – ancora capaci di grandi exploit, ma non più sufficientemente continue per lottare per il numero 1 – alle poco più che ventenni Azarenka, Kvitova e Radwanska. Ed in attesa di sciogliere l’enigma Wozniacki, dietro alla nuova classe dirigente già si affacciano altri talenti potenzialmente esplosivi.
Tra scommesse sicure ed abbozzi di campionesse, ecco una panoramica delle giovanissime da tenere d’occhio nel prossimo futuro…

La rivelazione più chiacchierata del momento è Timea Babos, freschissima di primo titolo WTA a Monterrey e relativo best ranking al numero 68. Originaria di Sopron, città bilingue al confine con l’Austria, la biondona ungherese è attualmente la tennista più giovane tra le prime 100, in virtù dei 19 anni da compiere il prossimo 10 maggio.
Campioncina annunciata fin dai tornei junior – nel 2010 sfiorò il Grande Slam in doppio, sconfitta solamente nella finale australiana – la Babos ha in realtà una discreta esperienza anche nel tennis professionistico, avendo collezionato le prime vittorie ITF nel 2009, quando si impose ad Edimburgo e Sunderland. Da allora ha intascato altri 7 titoli nel circuito minore, iniziando contemporaneamente a frequentare anche le tappe della WTA: l’estate scorsa sul rosso di Budapest, entrata come wild card, battè in due set la nostra Remondina e sfiorò il colpaccio anche contro Roberta Vinci, prima testa di serie e futura campionessa del torneo, uscita indenne dal confronto solo grazie all’esperienza (4-6 7-5 6-2).
Quest’anno invece si era già segnalata a Bogotà, protagonista della prima semifinale in carriera, prima di recarsi sotto le stelle del Messico a trapanàr: a farne le spese anche professioniste navigate quali Cirstea e Sarita Errani, seconda favorita del seeding. La finale dominata sulla romena Cadantu, sconfitta 6-4 6-4 senza aver visto l’ombra di una palla break, è stata solamente la ciliegina sulla prima di molte torte, che si annunciano ben più corpose di Monterrey.
Tecnicamente è giocatrice moderna, ottimamente dotata sul piano fisico (1,80 circa di statura) e capace di sprigionare grande potenza con tutti i colpi. Il rovescio bimane è la sua certezza, mentre tende a perdere più facilmente il controllo del diritto, giocato senza troppa rotazione. Già molto buono anche il servizio, preziosa riserva di parecchi punti vincenti (10 aces con la Errani). Al contrario di molte valchirie sparapalle, la magiara è però in grado di produrre anche alcune interessanti variazioni sul tema: durante la settimana messicana ha dimostrato di non disdegnare affatto la discesa a rete, dove vanta un tocco più che discreto, nonché la capacità di spezzare il ritmo con la smorzata ed il rovescio in back.
Pronosticarle un futuro da top-10 è fin troppo facile: più che “se”, si tratta di capire “quando”. Di questo passo, potrebbe riuscirci anche nel giro di un paio d’anni. Ed il sorriso contagioso con cui ha festeggiato le ultime vittorie, specchio di una personalità solare e spontanea, farà breccia nel cuore di molti fans.

 

Forse meno rutilanti della Babos, ma certamente in costante crescita, sono le gemelle Pliskova, una coppia di stangone boeme provenienti da Louny, graziosa cittadina della Repubblica Ceca settentrionale. Entrambe ben oltre il metro e ottanta di statura, fuori dal campo sono virtualmente indistinguibili, salvo variazioni di tinta dei  capelli. Racchetta in mano è invece tutto più facile, poiché Karolina è destrorsa mentre Kristyna è mancina… ed utilizzano anche attrezzi di marche diverse!
Differenze di arto dominante a parte, i loro risultati fino ad oggi si riflettono come in un gioco di specchi: due anni orsono Karolina vinse l’Australian Open junior, battendo la favoritissima Robson che in semifinale aveva eliminato la gemella, e qualche mese dopo Kristyna rispose imponendosi a Wimbledon. Questa settimana – dopo essersi spartite gli ITF francesi di Andrezieux e Grenoble, con altrettanti scontri fratricidi – stanno proseguendo il minuetto a Kuala Lumpur, dove entrambe hanno superato le qualificazioni e stravinto il primo turno nel main draw: adesso sono in rotta di collisione con due delle principali favorite, Radwanska e Peng, ma la trasferta malese dovrebbe avvicinarle sensibilmente alle prime 100.
Da un punto di vista tecnico sono quasi due gocce d’acqua (ma va?), potenti al servizio e dotate di colpi piatti e filanti da fondocampo, senza particolari varianti al menù. Decisamente migliorabile la mobilità, non eccelsa anche a causa della statura imponente.
Raschiando il fondo del barile dei luoghi comuni, potremmo dire che Karolina è forse più solida – il suo curriculum è migliore, seppur in misura quasi impercettibile – mentre Kristyna più imprevedibile, frutto congenito del mancinismo. Che sia vero oppure no, le gemelline non sembrano destinate all’immortalità, perlomeno ad opinione di chi scrive: a quasi 20 anni (li compiranno il prossimo 21 marzo) sono un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, se paragonate ad altre promesse.
Male che vada, se anche non dovessero replicare i trionfi Slam siglati da piccine, potranno sempre riciclarsi come rincalzi di lusso della Kvitova.

 

Circondata fin dalla culla da un poderoso hype mediatico è invece la britannica di Melbourne, Laura Robson: scippatala all’Australia, che pure ne aveva garantito i natali, i sudditi della regina confidano in lei per riannodare finalmente il filo delle grandi vittorie, interrotto da oltre 30 anni con il ritiro di Virginia Wade.
Laura, maggiorenne dallo scorso gennaio, ha contribuito ad alimentare le speranze con una serie di risultati promettentissimi: nell’estate 2008, a soli 14 anni, vinse Wimbledon junior al primo tentativo, sbaragliando tra le altre la numero 1 del seeding, Melanie Oudin. In seguito si è piazzata due volte in finale all’Australian Open, sconfitta dalla Pervak nel 2009 ed imbrigliata dal gioco di squadra delle Pliskova l’anno successivo.
Tra le professioniste, dopo un inizio impressionante – titolo nell’ITF di Sunderland a pochi mesi dal debutto – la crescita della Robson sta attraversando un periodo di bonaccia. Anche al recente Open d’Australia, dove pure ha superato le qualificazioni, si è fatta notare più che altro per le vicende extratennistiche: la bella e coraggiosa iniziativa di scendere in campo con il nastro arcobaleno tra i capelli – pacifica protesta contro le dichiarazioni omofobe di Margaret Court – non ha avuto adeguato riscontro sul piano del gioco, spazzata via dalla Jankovic con un perentorio 6-2 6-0.
I deludenti risultati dei tornei successivi sono stati giustificati, almeno parzialmente, da una fastidiosa infiammazione alle tonsille. Resta comunque da costruire un’adeguata tenuta mentale, oltre che atletica, da affiancare al suo brillante tennis a tutto campo, aperto da un insidiosissimo servizio mancino e completato da fondamentali fluidi e penetranti.

 

Chi invece non ha problemi di tonsille, perlomeno a giudicare dai decibel che produce ad ogni impatto, è la portoghese Michelle Larcher de Brito. Piccolo fenomeno di precocità, ad appena 12 anni si laurea più giovane campionessa della storia dell’Eddie Herr Under 16, sottraendo il primato a Maria Sharapova, e due anni più tardi conclude la carriera junior con il titolo all’Orange Bowl. Sempre nel 2007 debutta anche a livello WTA, sconfiggendo una solidissima professionista come Meghann Shaughnessy nella prestigiosa vetrina di Indian Wells.
I progressi si susseguono a ritmo incalzante per un altro paio di stagioni: nel 2008 ottiene gli scalpi di Radwanska e Pennetta e costringe al terzo Serena Williams e Kuznetsova, mentre la stagione successiva impressiona anche negli Slam, piazzandosi al terzo turno al Roland Garros ed al secondo a Wimbledon (sconfitta in due tie-break dalla Schiavone) e US Open. Il 6 luglio 2009 tocca il numero 76 in classifica, prima portoghese di sempre ad infrangere il muro delle top-100.
Poi, così com’era apparsa, la sua scia luminosa scompare rapidamente dai radar: azzoppata da un servizio tremebondo, capace di “regalarle” anche una ventina di doppi errori a partita, e protagonista di partenze ad handicap degne di Seppi – non si contano i 6-0 e 6-1 subiti nei set di apertura – Michelle inizia a perdere posizioni a grappoli, fino a ritrovarsi nuovamente fuori dalle 200 ad inizio 2011.
Nell’ultimo anno sono arrivati invece timidi segnali di riscossa, come testimoniano i 3 titoli ITF raccolti nelle Americhe. Il più recente risale ad un paio di settimane fa, nel 25 mila dollari di Surprise, in Arizona: non molto per una giocatrice che aveva scomodato paragoni con Martina Hingis, ma pur sempre una base di ripartenza. In realtà alla fuoriclasse elvetica può essere accomunata al massimo per la corporatura esile (1,65 x 57 kg), mentre sul piano del gioco è pura scuola Bollettieri: colpi piatti, rovescio bimane, tanta grinta e poche valvole di sicurezza, almeno per ora.
Della adorabile malinconia tipicamente lusitana ha molto poco, più techno che fado, ma a 19 anni ha ancora tutto il tempo per diventare una stella di prima grandezza, e non solo una cometa di mezza estate.


To be continued…

Samuele Delpozzi

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