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23/03/2012 13:32 CEST - ATP TOUR

Re sul breve, alfiere sul lungo

TENNIS - Contando solo i tornei al meglio dei 3, Federer sarebbe già numero 1, eppure non riesce più a vincere nel 3 su 5. Un caso? I tornei 2 su 3 contano sempre meno? Roger è ormai vecchio per gli Slam? Roberto Paterlini
 

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A seguito della sua tanto blasonata vittoria la scorsa domenica ad Indian Wells, Roger Federer ha ridotto il suo distacco in classifica dal capolista Novak Djokovic a 3320 punti. Non pochi, certo, l’equivalente di uno Slam, un Master1000 e ancora qualche spiccio, o 3 Master1000 e qualche spiccio, o altre combinazioni possibili. Salvo cataclismi, insomma, si tratta di almeno tre mesi di eccellente lavoro, eppure in molti si sono già chiesti se Roger riuscirà di nuovo ad issarsi in vetta al ranking, anche solo per quelle due settimane che gli permetterebbero di superare le 286 di Sampras e fare suo l’ennesimo record.

Già che ci sono mi sbilancerò pure io nel dire che no, secondo me Roger non ce la farà. Non ho particolari motivi a supporto di questa mia convinzione, credo semplicemente che Djokovic tornerà a vincere presto, ma soprattutto penso che sia lui che Nadal avranno meno difficoltà a sconfiggere lo svizzero sul rosso di quante non ne abbiano avute sul duro, e la stagione su terra è appena dietro l’angolo.

C’è però un settore della classifica, anzi una particolare classifica nella quale Federer è già da ieri numero 1, e cioè nei tornei che si giocano sulla breve distanza. Complici gli ultimi 6 trofei vinti da Ottobre ad oggi – tutti quelli a cui ha partecipato fatta eccezione per Doha, dove Roger si è ritirato prima di scendere in campo per il suo incontro di semifinale contro Tsonga – e al netto degli Slam e la Davis – vale a dire gli unici appuntamenti che si disputano e in assoluto ospitano incontri 3 set su 5 – la classifica oggi sarebbe:

1) Federer: 6350
2) Djokovic: 5950
3) Nadal: 4575

Tuttavia, il ranking non è ciò di cui voglio parlare, anzi questa particolare graduatoria della breve distanza è solo il primo indizio del mio crimine. L’altro, sono le vittorie: 33 –TRENTATRE – consecutive quando Federer ha giocato due set su tre, non considerando – credo giustamente – il ritiro suo a Doha e di Youzhny a Rotterdam, avvenuti senza nemmeno mettere un piede in campo, e dovendo tornare indietro sino ai quarti di Cincinnati per trovare l’ultima vera battuta d’arresto dello svizzero (Berdych). Terzo indizio, naturalmente le sconfitte maturate nello stesso periodo, tutte sulla lunga distanza: contro Djokovic a New York, Nadal a Melbourne e Isner in Davis.

Aggiungendoci il doloroso quarto di finale di Wimbledon perso contro Tsonga, la domanda non può che essere: per quale motivo Federer, capace di dominare sulla breve distanza come ai vecchi tempi, non riesce più a vincere quando si gioca tre set su cinque?

Sarò sincero, lo scorso novembre avevo attribuito la tripletta di Federer (Basilea, Bercy, Londra) essenzialmente alla “bollitura” di Djokovic e Nadal, che avevano dominato la stagione giungendovi esausti alla fine. Pur ammirando, in quell’occasione una volta di più, la maggior capacità di Roger di gestire le fatiche e aggirare il calendario rispetto ai suoi più giovani rivali, non credevo che tale exploit si sarebbe ripetuto, né tanto meno in tempi così rapidi da dare al contrario continuità a quanto avvenuto a fine 2011 e costringermi a rivalutarlo. Dopo la sconfitta di Federer a Melbourne, di più, mi ero persino convinto che quella fosse l’ennesima prova dell’enorme differenza di importanza che si è ormai creata tra gli Slam e qualsiasi altro torneo, Master compreso, per cui che Federer avesse avuto così tanto successo a fine stagione semplicemente perché quei tornei a Djokovic e Nadal non erano interessati, o certamente in un modo imparagonabile agli Slam precedenti e a quello successivo. Intendiamoci, resto convinto che la distanza tra gli Slam e tutti gli altri appuntamenti sia sempre, tragicamente maggiore, e ne è prova che gli ultimi due tornei vinti da Djokovic siano proprio stati gli ultimi due Major, ma non di meno sarebbe semplicistico, credo, ridurre la vittoria in 6 tornei quasi consecutivi da parte dello stesso giocatore ad uno scarso interesse – tutto da dimostrare, poi – da parte degli altri.

A cosa, quindi? I saggi ci hanno insegnato che il tennis 2 su 3 è solo parente di quello 3 su 5. Nel tennis 2 su 3 Federer ha battuto due volte Nadal negli ultimi mesi, senza concedergli un solo parziale e la miseria di 10 game, la prima volta su un campo a lui più favorevole, la seconda su una superficie che l’aveva visto sconfitto 5 volte su 6 e che a detta di tutti era persino più lenta della terra battuta, per giunta in una serata particolarmente ventosa. Al termine di ognuna di queste vittorie, i sostenitori dello svizzero si sono detti certi che finalmente Roger avesse capito una volta per tutte come battere la sua storica nemesi – è un argomento che è andato per la maggiore negli ultimi 8 anni – che la chiave stesse nel rovescio in top piuttosto che in quello in back, nel servizio, nella volée, che ormai era fatta e lo svizzero non avrebbe più perso contro lo spagnolo. Eppure, giunti in Australia a vincere è stato di nuovo Nadal. L’unica differenza: il formato della partita!

Le differenze tra i tre set e cinque set sono evidenti e sono tutte legate alla tenuta, sia mentale che fisica, eppure, ancora, giustificare una tale difformità di rendimento – accentuata dalla sconfitta con Isner in Davis, per giunta in casa e su terra, e tenendo sempre a mente la rimonta di Tsonga a Wimbledon – facendo presente che Roger ha addirittura 30 anni, non credo sarebbe corretto. Mi rifiuto, nel suo caso, dopo averlo visto danzare sul cemento di Indian Wells dando la tradizionale sensazione di non faticare, di associare allo svizzero le immagini da deambulatore che spesso vengono appiccicate – in modo esagerato e ridicolo – agli sportivi che hanno raggiunto gli “enta”.

Mi vengono in mente, però, le dichiarazioni che lo stesso Federer rilasciò dopo un’altra sconfitta giunta al 5°set, contro Djokovic allo US Open del 2010. L’andamento dello score fu quantomeno singolare, 5-7, 6-1, 5-7, 6-2, 7-5, e Roger giustificò i tonfi nel secondo e nel quarto set con il timore di sprecare troppe energie in vista della finale del torneo che, come ben sappiamo, si sarebbe dovuta giocare il giorno dopo. Una volta finito sotto con il punteggio, Federer aveva per sua stessa ammissione mollato quei set, smascherando, già nel 2010, un timore verso la sua tenuta atletica ben maggiore di quello che chiunque ancora oggi avrebbe nel vederlo giocare e che forse, ora come allora, sta alla radice del fatto che mentre è stato in grado di battere Nadal 4 set a zero in due partite distinte, c’ha perso 3 a 1 nell’unica che si è giocata sulla lunga distanza durante questi ultimi, straordinari 6 mesi.

Ancora una questione mentale per Federer? Dopo gli anni in cui è stato accusato di sudditanza psicologica, ora sarebbe vittima dei suoi stessi timori sino, quasi, a sconfiggersi da solo?

È solo una supposizione, o meglio un tassello, che, forse, non in alternativa agli altri – le bolliture di fine stagione, la diversa importanza tra Slam e il resto, il maggior dispendio fisico e mentale richiesto dalla lunga distanza, i trent’anni – ma ad essi sommato ci può dare una chiave di lettura delle ultime sconfitte sulla lunga di stanza per un giocatore che su quella breve è stato… ingiocabile. Al futuro, poi, decidere se si sia trattato di semplici coincidenze, o se questo andamento costituirà la regola.

Roberto Paterlini

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