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02/05/2012 09:43 CEST - Personaggi

Tra il futuro e il moderno

TENNIS - La rivalità tra Sharapova e Azarenka entra in una nuova fase. Lo dimostrano lo scontro al cambio campo a fine primo set e le scaramucce verbali dopo la finale di Stoccarda. E sarà un bene per tutti. Alessandro Mastroluca

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Per essere grande, un tennista ha bisogno di un rivale. McEnroe ha avuto Connors, Borg e Lendl, Agassi ha trovato il suo opposto in Sampras, Nadal in Federer prima e Djokovic poi. Nel tennis femminile solo Evert e Navratilova hanno spinto la rivalità sportiva, arricchita da una serie di implicazioni sociali e sociologiche, a un livello quasi esistenziale. 80 partite (record per una rivalità tennistica), tra cui 8 finali e 14 semifinali in tutti gli Slam, due major (Roland Garros 1975 e Wimbledon 1976) vinti insieme in doppio, non bastano a raccontarne il senso. Ma un sogno ricorrente di Martina, descritto da Johnette Howard nel suo libro “The Rivals” sì. “Martina era in una valle e giocava contro Evert, che stava sopra una collina. Doveva colpire, salire sulla collina e poi tornare a inseguire la risposta di Evert giù nell’abisso”.

Quel livello è ancora lontano, ma la rivalità tra Azarenka e Sharapova sta iniziando a diventare qualcosa di più di un fatto sportivo. Quando è cominciato questo processo? Più o meno quando si urtano alla fine del primo set della finale di Stoccarda. Un po’ come era successo tra Williams e Spirlea nel 1997, un po’ come successo a Wimbledon quando è sostanzialmente terminata l’amicizia tra Wozniacki e Lisicki. “Caro” protesta (“Andiamo, non sono invisibile”), Bum Bum Bine vince e raggiunge i primi quarti in carriera in uno Slam.

“Masha” e “Vika” hanno due anni di differenza, ma rappresentano due generazioni tennistiche diverse, il futuro e il moderno. Anche questo fa parte della loro rivalità. Fuori dal campo, è come parlare dei Beatles e dei Rolling Stones.

L’una fredda, poco comunicativa, ma sempre elegante, sobria, di classe. L’altra calda, aperta, diretta, si presenta in campo coi cuffioni, balla l’hip hop e ha un gusto per l’eccentrico secondo solo ai completi di Bethanie Mattek e alle scarpe verdi che sfoggiava Ryan Lochte durante le premiazioni degli ultimi Mondiali di nuoto.

Quello che certamente manca alla loro rivalità perché sia davvero totale come Agassi-Sampras o Borg-McEnroe è la perfetta combinazione degli opposti in campo. Manca il confronto di stili, perché Azarenka è tatticamente un clone di Masha.

Ma l’abbiamo detto, questa non è più solo una rivalità sportiva. E dopo Stoccarda l’hanno capito tutti. Azarenka si allontana 5-10 minuti prima della premiazione, Masha a fatica nasconde il sarcasmo quando si dice dispiaciuta perché l’infortunio al posto di Vika non le ha consentito di giocare al meglio, la bielorussa rilancia in conferenza stampa: dalla settimana prossima ci saranno tornei più importanti di questo in cui potrò riscattarmi.

L’evoluzione della loro rivalità non può che far bene al tennis femminile, che sul piano dei valori sportivi, dell’equilibrio competitivo vive uno dei suoi momenti migliori.

Prima di Stoccarda Masha non aveva ancora vinto un torneo quest’anno. Cancella lo zero una finale perfetta, “la sua partita migliore dall’infortunio del 2008” per Lindsay Davenport, che ha commentato il match su Tennis Channel: 31 vincenti, 13 errori, 8 ace, 3 doppi falli, l’84% di punti con la prima sono i numeri di una superiorità netta.

La finale è la degna conclusione di un torneo di altissimo livello, che ha visto le prime quattro giocatrici del mondo arrivare in semifinale come non accadeva da Wimbledon 2009. E ha probabilmente certificato la fine di un’era di incertezza al vertice della classifica. Mi limiterò a un dato: tra il 2005 e il 2011 ci sono state appena tre partite tra la numero 1 e la numero 2 del mondo in carica. Quest’anno siamo già alla seconda (Indian Wells e Stoccarda, con le stesse protagoniste).

Il torneo di Stoccarda, come ha giustamente sottolineato Luigi Ansaloni, ha regalato “partite splendide. E in ogni torneo, qualche chicca spunta sempre fuori”, “la giocatrice nuova, la “sensazione”, che magari poi spariva nel giro di un amen, ma che comunque ti dava qualcosa di nuovo, di fresco”.

Eppure ha ricevuto meno attenzioni dei tornei maschili, come buona parte del circuito femminile degli ultimi anni. Perché? Perché, semplifico e poi spiego, è mancata una rivalità che fosse anche extra-sportiva (fa eccezione, a mio parere, solo Clijsters-Henin), perché sono mancati i personaggi.

Spiego. Perché uno sport, tennis femminile compreso, diventi di successo deve regalare un’esperienza di consumo unica. La spiegazione di cosa sia la dava Stephen Jones del Sunday Times parlando dei Mondiali di rugby: è il “fattore-benessere”, “una sensazione piacevole che rivitalizza i palati di ogni amante del rugby, che innalza la reputazione dello sport e lo mette in una luce così splendente che anche gli aficionados restano sorpresi”.

La qualità, l’incertezza sul risultato, l’equilibrio competitivo sono aspetti che può apprezzare chi è già fidelizzato, chi è già spettatore abituale del tennis come di qualsiasi altro sport. Sono fattori che aumentano l’appeal, che sono quasi certamente alla base dei sempre più lucrativi contratti stipulati per i diritti tv dei tornei femminili. Ma non bastano per attirare quelli che un paper dell’AT Kearney del 2003 definiva gli spettatori sociali (che sfruttano lo sport per incrementare le relazioni sociali) o quelli occasionali (che vedono lo sport solo come una delle tante forme di intrattenimento possibile).

Come in ogni forma di intrattenimento, per gli spettatori dello sport vale quanto Alfred Marshall scriveva nei suoi principi a proposito della musica: ”Non è quindi eccezione alla Legge [dell’utilità marginale decrescente] che maggiore è la buona musica di cui un uomo fruisce, maggiore sarà il gusto che per esso riuscirà a sviluppare”.

La rivalità intensa, la presenza di personaggi in grado di diventare conosciuti e popolari anche al di fuori della cerchia degli appassionati, è una chiave per avvicinare gli spettatori occasionali e, magari, aumentare le possibilità che alcuni di questi ne diventino fruitori abituali.

In più, tanto più è forte la rivalità, tanto più le sfide tra le rivali saliranno di livello, e di pari passo aumenta l’impegno complessivo delle altre per la soddisfazione degli aficionados. Perciò, il tennis femminile non può che ringraziare le convergenze parallele tra Masha e Vika. Tra il futuro e il moderno.
 

Alessandro Mastroluca

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