28/08/2012 02:26 CEST - Us Open

Arthur Ashe: tetto sì, tetto no...

TENNIS - La USTA ha in programma un investimento da 500 milioni per ammodernare il centro di Flushing Meadows. Non è previsto il tetto sull'Ashe, però... da New York Giacomo Fazio (con commento di Rino Tommasi)

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Arthur Ashe Stadium (Getty Images North America Getty Images for USTA Jared Wickerham )
Arthur Ashe Stadium (Getty Images North America Getty Images for USTA Jared Wickerham )

Alle prime gocce di pioggia sul cemento di Flushing Meadow, ritorna inesorabile la cantilena del tetto sull’Artur Ashe. Una storia sulla quale si sono consumati fiumi d’inchiostro e che ha sempre la solita risposta: al momento è impensabile una copertura sullo stadio di tennis più grande del mondo.

Nel mese di giugno, la U.S.T.A. aveva già annunciato un ambizioso piano di ristrutturazione per il National Tennis Center. In cui è stato incluso un nuovo Louis Armstrong Stadium, una nuovo Grandstand, più campi pratica per gli atleti, più zone di relax per gli appassionati ma non un tetto. Una mancanza che ha creato più di un disagio negli ultimi anni costringendo gli organizzatori a spostare a lunedì la finale maschile dal 2008 al 2011. David Brewer che ha sostituito Jim Curley come direttore del torneo, si è impegnato a dare ai giocatori un giorno di riposo tra le semifinali e la finale, probabilmente la fine del famoso Super Saturday già dal 2013.

Douglas Robson su USA TODAY riporta le parole di Gordon Smith, capo operativo della Usta: “il terreno sottostante l’Arthur Ashe Stadium non ha una consistenza tale da reggere il peso di una struttura di quel tipo ma con l’introduzione di materiali leggeri quello che oggi sembra impossibile potrebbe diventare possibile”. Al momento gli Us Open sono l’unico Slam in cui la possibilità di avere un tetto sembra ancora irrealizzabile nell’immediato, infatti il progetto di ristrutturazione del Roland Garros comprende la copertura del Philippe Chatrier.

L’Artur Ashe è costruito su un terreno paludoso e che quindi cederebbe qualora fosse soggetto ad un carico eccessivo. Si sono arenate nel tempo le altre due possibili opzioni: il tetto autoportante e la demolizione e costruzione di uno stadio più piccolo. Nel primo caso questo comporterebbe un utilizzo eccessivo dell’area intorno all’Arthur Ashe, riducendo le distanze dagli altri campi. La seconda farebbe impennare oltre i 500.000.000$ stanziati, i costi di ampliamento, demolendo una struttura di solo 15 anni. Non ci resta a questo punto che aspettare che l’ingegneria faccia passi da gigante, consentendo finalmente la regolarità di un evento che anche quest’anno rischia di diventare un’odissea.

COMMENTO DI RINO TOMMASI


Da queste parti raramente sbagliano le previsioni del tempo. Ci avevano promesso pioggia per la giornata inaugurale del quarto Slam della stagione e la pioggia è puntualmente arrivata quando soltanto quattro incontri
del singolare femminile si erano conclusi.

Ovviamente questa circostanza ha riproposto l’antico problema della necessità di avere almeno un campo coperto che possa soddisfare le esigenze della televisione e - perché no ? - di coloro che devono scrivere.

Le polemiche hanno ripreso vigore da quando gli australiani, anticipando tutti, hanno costruito il nuovo impianto di Melbourne, inaugurato nel 1978 e che prevedeva la possibilità di coprire i due campi principali.

Gli inglesi, consapevoli del loro ruolo di inventori di questo gioco, sono stati presi in contropiede; ci hanno messo quasi trent’anni per reagire, anche perché il problema dell’erba complicava parecchio l’ipotesi di un tetto.

Alla fine si sono decisi ed anche se il primo anno la copertura del famoso Centre Court si è rivelata quasi inutile perché due anni fa la pioggia ha incredibilmente risparmiato Wimbledon, a lungo andare il tetto ha consentito al torneo più famoso del mondo una programmazione regolare.

Mentre i francesi, per i quali il problema della pioggia non è prioritario, ci stanno pensando, gli americani si sono accorti di essere rimasti indietro. Sono stati puniti dalla loro mania di grandezza perché quando hanno costruito il nuovo impianto di Flushing Meadows si sono accorti che per avere lo stadio tennistico più grande del mondo dovevano rinunciare a coprirlo. Il problema economico poteva essere risolto, quello tecnico trovava invece nelle dimensioni dell’impianto una dfficoltà insormontabile.

Come dicevo in apertura una giornata come questa, se fosse rimasta quasi senza tennis avrebbe ingigantito le solite polemiche, ma per fortuna nel pomeriggio Giove Pluvio si è impietosito ed ha consentito che si potesse cominciare sacrificando solo una piccola parte del programma.

 

DALL'ARCHIVIO

Arthur Ashe, antico e moderno (Gibertini e Nuziale, settembre 2011)

Us Open: e il tetto dove lo metto? (Scanagatta, settembre 2011)

La USTA sul tetto che scotta (Gibertini, giugno 2012)

Giacomo Fazio

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