29/11/2012 13:50 CEST - L'opinione

Hanno ancora senso i set senza tie break?

TENNIS - La firma della rivista Tennis Peter Bodo si schiera a favore dell'introduzione del tie break nel set decisivo in tutti i tornei che al momento non lo adottano: chi vince le maratone è troppo svantaggiato nel resto del torneo. Trad. Vanni Gibertini

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The historic Isner-Mahut (Blair/Getty Images)
The historic Isner-Mahut (Blair/Getty Images)

Nonostante gli US Open possano, sotto certi punti di vista, fare la figura dei ritardatari tra i tornei dello Slam per il fatto che non c’è un tetto ad assicurare che ogni giorno si giochi almeno un po’ di tennis, sotto altri aspetti sono stati, e continuano ad essere dei pionieri. Un esempio su tutti è l’utilizzo del tie-break nel set decisivo. Quello americano è l’unico dei tornei dello Slam che adotta questa soluzione, quando anche il torneo olimpico, incastrato ogni quattro anni in un calendario sempre più congestionato, ha optato per andare ad oltranza nel set conclusivo.

Devo ammettere che non sono mai stato un grande sostenitore del tie-break nel terzo o nel quinto set. Giocare ad oltranza mi è sempre sembrato un modo per sottolineare la solennità del momento. C’è qualcosa di “macho” in questa soluzione. E’ “old school”, “tradizionale”, e cose del genere. E dopo tutto, le pagine epiche della storia del tennis sono pervase di 21-19 (Andy Roddick b. Younes El Ayanoui, Australian Open 2003) e di 19-17 (Roger Federer b. Juan Martin Del Potro, Olimpiadi 2012). Perché eliminare un elemento del gioco così interessante?

Abbiamo anche avuto l’epico 70-68 (John Isner b. Nicholas Mahut, Wimbledon 2010) che, parliamoci chiaro , ha messo la parola fine ad ogni speranza di battere qualche record (di durata, di numero di game, di numero di aces) per i prossimi 200 anni almeno, se non per l’eternità. Per cui sembra un buon momento per far calare il sipario, dire addio al set ad oltranza ed adottare in maniera totale e definitiva il tie-break nel seti decisivo. Considero la vicenda di Isner-Mahut come il segno di raggiungimento del pinnacolo dal quale è necessario fare un passo avanti nella storia delle regole del gioco.

Il torneo olimpico ha leggermente modificato la mia posizione sull’argomento, ma la ragione principale per cui ritengo sia saggio dare il benvenuto al tie-break decisivo non è quella che verrebbe citata dalla maggior parte dei produttori televisivi ossessionati dai palinsesti. Il problema vero di un match che si prolunga come è accaduto nel Wimbledon olimpico tra Federer e Del Potro o tra Tsonga e Raonic (vinta da Tsonga per 25-23 al terzo) è che la ricompensa per l’eroico vincitore è quasi sempre una rapida sconfitta nel turno successivo.

Questa è una di quelle postille che normalmente finiscono nelle note scritte in piccolo. Nel 2003, quando Roddick la spuntò su El Aynaoui in quello straordinario quarto di finale, andò a finire che A-Rod perse la semifinale seguente contro l’allora outsider tedesco Rainer Schuettler, andando via via spegnendosi in quattro set di tennis più che dimenticabile. Dopo il leggendario 70-68 contro Mahut a Wimbledon, Isner dovette cedere al secondo turno contro il n.46 del mondo Thiemo de Bakker. Qualche mese prima, al Roland Garros, il francese Paul Henri Mathieu, dopo aver sconfitto per 18-16 al quinto lo stesso Isner, naufragò nel suo match successivo contro il n.23 Marcelo Granollers. E abbiamo visto tutti cosa ha fatto Murray a Federer nella finale olimpica dopo che il campione svizzero era riuscito a sopravvivere alla sua semifinale-maratona con Del Potro.

Certo, Del Potro riuscì a riprendersi ed a strappare il bronzo a Novak Djokovic nella finalina di consolazione, ma sono pronto a catalogare quel caso come l’eccezione che conferma la regola. E cosa vuol dire se Tsonga è riuscito a passare un altro turno contro Feliciano Lopez dopo il suo long set con Raonic? La fatica può manifestarsi non solamente nell’immediato, ma anche in maniera cumulata.

Ragion per cui, mi sono convertito ed ora faccio parte di quelli che vorrebbero il set decisivo deciso giocato come tutti gli altri, ovvero con un tie-break se si arriva sul 6 pari. Sembra futile aggrapparsi alla regola tradizionale del long set quando di fatto chi vince può godersi solamente una vittoria di Pirro. Credo che potrei sopportare l’idea del set ad oltranza nel caso di una finale, quando non ci sono altre partite da giocare il giorno dopo, o al limite anche in Coppa Davis (se veramente i numi tutelari degli Dei del Tennis vogliono tenere la fiammella della tradizione accesa fino all’ultimo. In Davis abbiamo visto più e più volte un giocatore recuperare pienamente dopo un durissimo primo singolare, ma il formato attuale della Davis spalmato su tre giorni si presta a queste gesta eroiche.

Nei tornei di tennis tradizionali, ed anche nei Gran Slam, giocare un set finale ad oltranza prima dei turni conclusivi del tabellone è come emettere una sentenza di “morte tennistica” per entrambi i giocatori. E questa cosa non fa bene a nessuno: ai giocatori, al pubblico, ma soprattutto al tennis.
 

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