Dal nostro inviato ad Amburgo
Subito fuori, Alexander Zverev. Subito fuori da quello che forse era il torneo al quale teneva di più: l’ATP 500 di Amburgo, la città dove i suoi genitori si trasferirono dalla Russia quando lui ancora doveva nascere. Il torneo dove nel 2014, da wild card appena diciassettenne, trovò i primi successi nel tour raggiungendo addirittura la semifinale. Dev’essere stata proprio la riconoscenza verso l’evento, oltre all’affetto per quella che è la sua casa nella vita e nello sport, a spingerlo a partecipare pur non essendo al meglio e venendo direttamente dal grosso impegno dei Championships.
“È difficile passare dall’erba alla terra essendomi allenato solo tre volte“, ha detto Zverev in conferenza stampa, dopo il match di primo turno perso in due set contro Inigo Cervantes, “ed affrontare immediatamente qualcuno che ha giocato una finale di un challenger ed è in fiducia”. La terra della Stadstaat sulle rive dell’Elba rimarrà una parentesi, ora quasi una nota stonata, perché da domani la testa di Sascha sarà già al cemento: “Giocherò a Toronto. Dovrò allenarmi un po’ a giocare sul duro e ora ho tempo, poi ci sono le Olimpiadi“.
La delusione del ragazzo è palpabile, anche perché “gli spettatori qui sono stati sempre molto, molto buoni con me e mi sento davvero a mio agio quando gioco qui” e di sicuro ci teneva molto a mostrare loro l’evoluzione del suo tennis. Stavolta è andata male, pur con il loro caloroso appoggio. Perché con le parole con le quali ha concluso la conferenza stampa “ci sono dei momenti in cui nessuno può aiutarti oltre a te stesso“.
(Ha collaborato Raoul Ruberti)
