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Reading: “Guillermo non riconosce più gli amici”: Vilas ha una malattia neuro-degenerativa
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“Guillermo non riconosce più gli amici”: Vilas ha una malattia neuro-degenerativa

Le facoltà mentali del fuoriclasse argentino avrebbero subito un netto peggioramento, stando al quotidiano argentino "Olé"

Last updated: 25/04/2020 10:01
By Tommaso Villa Published 23/04/2020
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5 Min Read


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Per buona parte degli appassionati delle nuove generazioni il nome di Guillermo Vilas potrebbe non dire molto, ma l’argentino, classe 1952, è stato per un lustro la prima alternativa a Jimmy Connors e Bjorn Borg.

Fa allora particolarmente effetto leggere quanto riportato dal quotidiano sportivo albiceleste “Olé“, secondo il quale “the young bull of the Pampas” (come lo soprannominò Bud Collins) starebbe vivendo un importante declino cognitivo, invisibile allo sguardo ma inesorabile nondimeno.

Stando a una fonte del giornale, “la sua salute mentale sta peggiorando. Ha dei momenti di lucidità, ma non ha piena coscienza di ciò che accade intorno a lui, e ha iniziato a non riconoscere più gli amici. Ci sono dei momenti in cui non riesce a tenere il filo della conversazione“, mentre ancora più netto era stato l’ex-giocatore ed ex-capitano argentino di Davis, Tito Vazquez, che, rifuggendo gli eufemismi, aveva detto nel marzo del 2018: “Nessuno lo dice, ma credo che Guillermo abbia l’Alzheimer“.

La malattia sembra essere di lungo corso: il quotidiano ricorda infatti che in un’intervista del 2015 Vilas non riusciva a ricordare le età delle allora tre figlie né il nome di una, mentre un’altra fonte anonima lo descrive come “disorientato” quando ritornò a Buenos Aires per l’intitolazione del campo centrale a suo nome.

La notizia, già di per sé dolorosa per chiunque cada vittima di un morbo simile, addolora particolarmente chi lo ammirava e lo ammira, un po’ per la relativamente giovane età a cui Willy sarebbe stato colpito, un po’ per il tipo di persona e giocatore che è stato, e soprattutto per la giovane età dei figli avuti dalla moglie Phiang: la più grande, Andanin, ha 17 anni, mentre Guillermo Jr. è nato addirittura nel 2016, quando il padre aveva 64 anni.

Oltre a essere un tennista straordinario, che non è arrivato al N.1 delle classifiche per le astrusità del ranking computerizzato dell’epoca in un 1977 in cui vinse 16 tornei con una striscia vincente di 53 vittorie sulla terra battuta e due Slam conquistati, Vilas era davvero un personaggio “larger than life”, che nelle parole di Gianni Clerici era capace “di allenarsi cinque ore al giorno ma di comporre, negli istanti di riposo, poesie non vili“.

Quando si parla di Vilas si parla di un tennista di grande influenza sul tennis sudamericano, non dissimile da quella avuta dalla sua nemesi Borg (5-17 negli scontri diretti) sullo sport svedese, anticipando di quasi un decennio le rivoluzioni tecniche e atletiche che sarebbero arrivate con le nuove racchette – la sua onda lunga era anche onomastica alle volte, visto che sia Cañas che Coria si chiamano Guillermo in suo onore, oltre ad esserne stati dei veri e propri epigoni per garra, corsa e rotazioni.

E proprio degli svedesi gli hanno precluso un posto nella storia del tennis che sarebbe molto più altolocato senza le tre sconfitte parigine contro Bjorn Borg (1975 e 1978) e contro un neanche maggiorenne Mats Wilander nel 1982. Per vincere sullo Chatrier, Vilas dovette approfittare di un’edizione in contumacia Borg nel 1977.

Non solo di terra viveva però Guillermo, che su consiglio del sempre agile Ion Tiriac rimase l’unico dei big a giocare gli Australian Open natalizi, vincendoli nel 1978 e 1979 sullo stesso campo dove aveva conquistato l’unica edizione del Master giocata su erba, quella del 1974 contro Ilie Nastase, all’epoca padrone indiscusso del torneo di fine anno nonché colui che interruppe una striscia di 46 successi consecutivi di Vilas grazie alla famigerata “Spaghetti-racket”.

Consapevoli che certi mali difficilmente migliorano, possiamo solo augurarci che questo grande campione possa avere ancora molti momenti di lucidità, e che possa vivere il proprio declino lontano da occhi indiscreti. Il mondo lo ricorderà comunque per il campione che è stato.


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