Golarsa: «I big si muovono. Ora il tennis può salvarsi» (Facchinetti). Panatta: «Tennis anni '70, un circo giorno e notte» (Crivelli). Agassi, non solo Peter Pan (Azzolini)

Rassegna stampa

Golarsa: «I big si muovono. Ora il tennis può salvarsi» (Facchinetti). Panatta: «Tennis anni ’70, un circo giorno e notte» (Crivelli). Agassi, non solo Peter Pan (Azzolini)

La rassegna stampa di domenica 26 aprile 2020

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Golarsa: «I big si muovono. Ora il tennis può salvarsi» (Andrea Facchinetti, Il Giorno)

Il Covid-19 ha messo anche il mondo del tennis in un cassetto, ma Laura Golarsa non si arrende. La 52enne milanese, quartofinalista a Wimbledon nel 1989 e numero 39 del mondo nel 1990, dirige a Milano un’accademia che porta il suo nome e continua a rimanere a contatto con il suo mondo: ha creato una chat con altre ex tenniste in cui raccontano le proprie esperienze di questa tragedia… «Sono in contatto con ex compagne come Reggi, Cecchini, Farina e Garrone, ma anche ragazze spagnole, argentine, romene, tutte con testimonianze drammatiche, si tratta di un modo per scacciare l’incubo, in noi c’è la convinzione che usciremo da questa situazione».

Tre big del tennis mondiale Djokovic, Nadal e Federer sono scesi in campo con alcune proposte per aiutare i colleghi in difficoltà: cosa ne pensa?

Fa piacere che i giocatori più forti si siano mossi. In loro c’è la volontà di aiutare il mondo che li ha resi famosi, di restituire qualcosa a chi vive nel limbo. Il n°400 del mondo se non gioca i campionati a squadre con cui guadagna, fatica ad arrivare alla fine della stagione, e con la situazione attuale il rischio di andare incontro alla morte del tennis è concreto. Poi spetterà al governo del tennis supportato dai big che sappiamo essere ormai trainanti e magari dai primi 100 della classifica Atp, far si che la sofferenza economica diventi sopportabile.

Federer ha auspicato anche l’unione fra Atp-Wta in un prossimo futuro.

La sua è stata un’uscita inaspettata ma gradita. In realtà il mondo Wta è da qualche anno integrato parzialmente dal calendario maschile, con l’introduzione dei tornei combined. Le donne stanno attraversando un periodo transitorio, credo che il tennis unito sotto un’unica bandiera ha solo da guadagnarci.

Lo stop dei calendari fino al 18 luglio basterà?

Secondo me fino a settembre sarà difficile vedere del tennis giocato. C’è un mondo che va oltre al semplice gioco fatto di viaggi, contatti fra la gente e pubblico che non può essere messo da parte. Finché non si sarà risolta totalmente questa situazione, credo che la salute di tutti noi debba rimanere la cosa più importante. Esiste tuttora una situazione di confusione generale, in cui il mondo del tennis ha dato prova di intelligenza, pacatezza e responsabilità, nello stesso modo dovremo continuare a comportarci per l’attività di base, anche se i sacrifici richiesti sono tanti. […]

Panatta: «Tennis anni ’70, un circo giorno e notte» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Favolosi quegli anni. Il mito dei ’70 è immortale, con le rivoluzioni sociali ed economiche che si accompagnavano a un fermento mai più visto e vissuto nella cultura, nella musica, nello sport. Un cambiamento epocale di prospettiva che ha finito pure per rovesciare l’immagine del tennis, trasformandolo in un fenomeno popolare di massa. Perciò, la mobilitazione globale e l’ondata di affetto mista ai ricordi sollevata dalla malattia di Guillermo Vilas (soffre di demenza senile) dimostra una volta di più che i giocatori di quel periodo sono entrati nell’immaginario collettivo come icone pop. E ci resteranno per l’eternità. Adriano Panatta di quella stagione è stato un simbolo, anche fuori dal campo. A Vilas, tra l’altro, lo lega una memoria indelebile, la vittoria nella finale di Roma del 1976: «Sono molto triste per lui. Guillermo, come tutti gli altri campioni dei miei tempi era uno di noi, un amico, nonché un atleta straordinario. Si dilettava con la poesia, sinceramente non so valutarne il valore artistico, ma una volta, per prenderlo un po’ in giro, prima di una partita Nastase gli prese un libretto e cominciò a recitare i suoi versi davanti al pubblico». L’aneddoto ci porta proprio in quel periodo magico, quando i più forti del mondo, pur rimanendo avversari, condividevano una visione spensierata del loro sport e vivevano l’agonismo anche come divertimento, da inseguire in campo ma anche nelle uscite comuni la notte. Così i Borg, i McEnroe, i Connors, i Nastase, i Gerulaitis, si sono ritrovati sulle copertine dei rotocalchi di tutto il mondo. Per Panatta, però, la popolarità che non li ha mai abbandonati è anche figlia di un diverso approccio alla competizione rispetto a oggi: «Noi stavamo tra la gente, avevamo un contatto continuo con il pubblico, quasi ci conoscevano di persona. Mi ricordo che spesso a Parigi, uscito dagli spogliatoi, mi facevo una camminata tranquilla tra i viali del Roland Garros in mezzo ai tifosi, magari mi prendevo un gelato scambiando quattro chiacchiere con loro. Adesso è impossibile, c’è un controllo quasi militare dei giocatori, che frequentano solo le zone loro riservate. Lo comprendo, ma tutto questo ha tolto armonia, quella che io chiamo la musica del tennis». Senza contare, tra l’altro, che ora i tennisti più forti viaggiano con staff numerosi: «È vero: noi eravamo ragazzi di poco più di vent’anni che giravano il mondo da soli, a parte Borg che aveva già l’allenatore e infatti rimaneva un po’ di più in disparte. Quindi era normale ritrovarsi la sera a cena, magari in un ristorante alla moda di Londra o di New York, era il modo per stemperare le tensioni della partita e di combattere la solitudine. Tante volte, però, i racconti di quegli anni sono un po’ romanzati. È vero che ci piaceva divertirci, ma eravamo anche professionisti seri e senza impegno e allenamento nessuno di noi avrebbe ottenuto risultati al top». Adriano racconta di quando a Marbella giocò un’esibizione con Borg: «C’erano in palio 30.000 dollari, la sera prima bevve molto e lo accompagnai io in albergo, lo lasciai in stanza sicuro che non si sarebbe ripreso. Il giorno dopo mi diede 6-2 6-1». Certo, poi c’era chi, come Gerulaitis, si gustava in pieno l’atmosfera frizzante della New York anni 70: «Vitas era un bravissimo ragazzo, ma al tempo stesso era figlio della città, frequentava lo Studio 54 e i locali più alla moda. Una volta, a Londra, mi invitò a una serata organizzata da suoi amici e senza saperlo mi ritrovai a casa di Mike Jagger, mentre in un’altra occasione, mentre eravamo a cena, mi portò al tavolo Andy Warhol». Di quell’allegra (e vincente) brigata, però, il legame più fervido di Panatta rimane quello con Nastase: «Non era cattivo, solo un gran casinista e il più simpatico. A volte ti indisponeva, e infatti credo abbia il record di avversari che avrebbero voluto menarlo, praticamente tutti quelli che lo hanno affrontato. Ma ha un cuore d’oro ed è fatto così, anche adesso che ha più di settant’anni: magari ti parla serio per cinque minuti e poi ti butta lì uno scherzo improvviso». […]

Agassi, non solo Peter Pan (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Bianco che più bianco non si può, Andre Agassi si presentò a Wimbledon come la pubblicità di un detersivo. C’erano state polemiche a Parigi, il presidente del tennis francese, Chatrier, lo aveva definito Cacatoà Fluo, lui di suo ci aveva messo la cresta mesciata, ma per lo sponsor era stato uno smacco. La risposta giunse ai Championships del mese successivo, era il 1992, con una mise altrettanto fluorescente, ma bianca. Il parrucchino fu radunato in una coda di cavallo che gli sortiva da dietro il cappellino, e tutti convennero che sull’aria da coatto non fosse possibile intervenire. Quando Andre fece le foto di rito con la Coppa, la sua fidanzata del momento, tale Wendy Stewart, non immaginava che quella vittoria avrebbe segnato la fine del loro rapporto, né che Andre Agassian, figlio di Mike, ex pugile iraniano alle Olimpiadi, cui avevano trascritto male il cognome al momento del suo ingresso negli Stati Uniti, fosse avviato a diventare un divo dello star system americano e anche del tennis. «Gioca come un maestro Zen». La frase è di Barbra Streisand. La cantante comparve al fianco di Andre nel 1993. Lei 51 anni, lui 23. Lo accompagnò a Wimbledon, ma Agassi non era più quello dell’anno prima. Lasciata la Streisand, Andre si affidò al fax per conquistare Brooke Shields, una frase d’amore a foglio, ventiquattro volte al giorno. Fu un lungo fidanzamento. Anche Brooke amava farsi riconoscere. Non applaudiva, fischiava, si portava le dita alle incantevoli labbra e tirava giù bordate che avrebbero fatto impallidire mister Trapattoni. I due si sposarono nel 1997 e due anni dopo già si parlavano tramite avvocati. Nei mesi trascorsi con Brooke, Agassi aveva quasi smesso di fare il tennista. Era stato numero uno la prima volta il 10 aprile del 1995. Nato povero il 29 aprile 1970, è diventato ricco 25 anni dopo. Ma in quei giorni il problema non si poneva. Aveva infilato il precipizio e a novembre 1997 navigava intorno al numero 141 della classifica. La “cura” cominciò dai challenger, dove lui giungeva con l’aereo privato e spendeva d’albergo il doppio del montepremi. Ma l’esperienza servì a rimettersi in carreggiata, e la carriera tornò a splendere nel giugno del 1999 con il successo nel torneo che lo aveva sempre respinto, il Roland Garros. Lo vinse anche Steffi Graf e i due, fino a quel momento colleghi, trovarono modo di conoscersi meglio. Lei accettò di trasferirsi a Las Vegas, rimase incinta, lasciò il tennis. Si sposarono nel 2001 a casa Agassi; quattro giorni dopo nacque Jaden Gil. Altri due anni e nel 2003 fu la volta di Jaz Elle. Durerà poco, scrissero in tanti. Infatti… Andre e Steffi sono ancora sposati, hanno dato vita a una delle coppie più stabili e (a sentirli) innamorate che il tennis abbia mai avuto. […] L’addio fu agli Us Open 2006, che appena l’anno prima l’avevano visto una volta di più in finale. Fu Steffi, con tata, carrozzina e figli al seguito, ad accompagnare Andre al passo d’addio. E per una volta, anche lei si commosse. Al centro del grande catino di cemento intitolato ad Arthur Ashe, Andre usci di scena contro B. Becker, un tedesco senza grandi pretese, appena 112 in classifica, con la B. che stava per Benjamin, né parente né amico del Becker quello vero, uno dei grandi rivali nel passato di Andre. Fu un torneo breve ma esaltante, nel quale Andre superò prima Pavel, poi Baghdatis prima di cedere a Becker (75 67 64 75), un match giocato in una straordinaria cornice di pubblico e concluso da una commovente standing ovation. In lacrime, Andre trasformò per l’ultima volta il suo stadio in una vasca ribollente di turbamenti e partecipazione, «una jacuzzi di emozioni» la definì. […] Il patrocinio di Steffi Graf fu utile per affrontare l’ultima mutazione della sua vita. Apparso sulle scene con un travestimento giovanilistico da tennista punk di periferia, Agassi è diventato col tempo un tennista pensante, capace di proporsi con autorevolezza ai suoi intervistatori, mille miglia lontano dal ritratto da inesausto protagonista di una vita da videogame in cui tutto sembrava correre oltre i limiti di velocità. Padre accorto di due bimbi da concorso, Andre affrontò l’ultimo passaggio della carriera con l’aura da gran saggio e l’autorevolezza di chi molto ha giocato, visto, guadagnato, vinto e sportivamente vissuto, ma chissà quanto immune dalle frustrazioni che l’uscita di scena gli avrebbe provocato. Andre, nel tennis, è stato davvero unico. Forse inarrivabile per qualità di gioco. Agassi merita di entrare a pieno titolo nella categoria degli innovatori, fra coloro che hanno giocato un tennis che prima non esisteva. Innovatore nei colpi e anche nei modi: i fondamentali spinti all’eccesso, il diritto paragonabile a un gran colpo di frusta, addirittura micidiale nella sua esecuzione da sinistra verso destra a uscire, il rovescio bimane secco e potente, l’anticipo naturale, hanno caratterizzato il suo gioco, più unico che raro […]

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