ATP Cincinnati: la classe di Murray prevale sulla confusione di Zverev

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ATP Cincinnati: la classe di Murray prevale sulla confusione di Zverev

L’ex N.1 del mondo approfitta dei vuoti di Sascha con il coraggio e la volontà del campione e va al terzo turno contro Raonic, riedizione di una finale di Wimbledon

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[WC] A. Murray b. [5] A. Zverev 6-3 3-6 7-5

Se arrivando a New York la paura più grande di Sir Andy Murray era l’incognita legata alla propria condizione atletica, nove mesi dopo l’ultimo match ufficiale giocato in Coppa Davis lo scorso novembre, possiamo affermare, pur con tutte le cautele del caso, che le nubi non sono così dense come si poteva presumere. Il computo del tempo trascorso in campo nei due match vinti per guadagnare l’ottavo da giocare contro Milos Raonic inizia a essere interessante, specie se l’interessato meno di venti mesi fa si era sostanzialmente autoproclamato un ex tennista. Due ore e mezza per superare Tiafoe al primo turno; due ore e mezza per raccogliere i cadeau di Sascha Zverev poco fa. Mica male.

Andy Murray, non che ci fosse bisogno di ulteriore dimostrazione, si conferma un tennista e un uomo d’intelligenza rara. Va bene lottare cinque ore in due giorni, ma viste le giuste aspettative del suo martoriato fisico almeno il tentativo di accorciare l’accorciabile andava fatto. E allora è stato bello e stupefacente vedere l’ex numero uno del mondo mettere i piedi due metri dentro il campo per rispondere alle seconde dell’allampanato tedesco, il quale avrà avuto i suoi drammatici problemi al servizio, ma non tira esattamente piano.

Un gran primo set per lo scozzese, risolto dal break al quarto gioco e difeso dalle uniche palle del contro break nel settimo, tirando su peraltro uno zerotrenta pericolosissimo nel nono. Il fatto è che, con il bagaglio d’infortuni, recuperi, affannose rincorse alla condizione perduta, si ha sempre il timore che la benzina stia per finire, e invece non finisce. Non è finita nemmeno oggi, al termine di un secondo set perso tra i sintomatici monologhi che sempre si manifestano nel cielo di Scozia quando le cose si mettono male. Con Andy a sbuffare, remare, difendere come un ossesso apostrofando al contempo l’indifeso Jamie Delgado, mentre il giovane avversario pareva proprio averne di più.

Aveva ragione Mosquito Ferrero, però: le aveva tentate tutte per incanalare il talento cristallino di Sascha sui binari di una proficua continuità: “Non riesce a mantenere un livello abbastanza alto nemmeno in allenamento per più di un’ora e mezza, per questo fallisce negli Slam e in generale sulla lunga distanza.” Gliel’aveva detto sul muso, per spronarlo, intimandolo per inciso a smettere i panni della superstar cafona nei rapporti con i sottoposti. Nulla, anche oggi, soprattutto oggi: il punto prima ci si è spellati le mani per un vincente detonante; il punto dopo le mani occorreva portarle ai capelli per un disastroso non forzato, preferibilmente dal lato destro, sempre più inquietante.

Il rollercoaster emozionale dello Zverev giovane ha regalato a Murray e al secondo turno di Cincinnati quasi tre ore da paradigma, sublimate proprio in coda al match: Muzza sembrava non averne più, si diceva, e invece, complice lo sventato rivale, è scattato dai blocchi per primo nel terzo, fino al quattro a uno. Sembrava finita, ma le forze dell’ex numero uno stavano iniziando effettivamente a segnare la spia rossa, e Zverev per qualche minuto ha spinto con raziocinio, infilando un parziale di diciassette punti a sei incoraggiato, ma toh, da qualche regalone con il dritto di Murray, per il cinque-quattro e servizio che pareva di nuovo aver chiuso la contesa, stavolta in favore del giocatore più fresco e rampante.

Fresco, rampante, giovane ed eccessivamente prodigo, il nostro Alexander, il quale, ormai in dirittura, ha piazzato tre doppi falli nel decimo game per farsi riacciuffare e, già che c’era, ha proseguito con lo sguardo smarrito sul viale del tonfo, perdendo gli ultimi tre giochi tra varie scelte incommentabili e insieme, giustamente, la partita. Milos Raonic sembra aver ritrovato una condizione accettabile, e su questo terreno è pericoloso: siamo curiosissimi di verificare cosa sia rimasto sul fondo del serbatoio del grande Andy Murray.

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