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Reading: Jannik Sinner e Tadej Pogacar: la generazione dei fenomeni gentili
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Personaggi

Jannik Sinner e Tadej Pogacar: la generazione dei fenomeni gentili

Le similitudini di due dominatori gentili che hanno la stessa luce negli occhi: quella di chi conosce il proprio dono e non lo spreca

Ultimo aggiornamento: 17/05/2025 13:37
Di Carlo Galati Pubblicato il 16/05/2025
6 min di lettura 💬 Vai ai commenti

C’è un’immagine che si sovrappone nello sguardo di chi conosce lo sport e ne riconosce i padroni: è l’immagine netta di un dominio naturale che attraversa epoche diverse fino ai giorni nostri, un dominio leale, alimentato dal fulgido splendore di una classe cristallina. 
Jannik Sinner, tennista, non gioca, danza. Il suo 6-0 6-1 a Casper Ruud non è soltanto un semplice risultato, è una poesia breve, tagliente, come certi haiku giapponesi dove l’essenziale è tutto, ragionando sull’essenza delle cose, utilizzando vivide immagini che hanno la forma, in questo caso, di una racchetta che fluttua nell’aria e una pallina che quell’aria la fende, sancendo uno squarcio invisibile che lascia però un segno. Quando colpisce la palla sembra volergli bene, mentre la punisce. Sul campo e sui suoi avversari. Si muove come se fosse leggero di pensieri, eppure ogni colpo affonda, preciso, implacabile.

Ed è in questi momenti che la mente di un amante dello sport inizia a viaggiare, senza andare troppo lontano; lì, tra lo stupor mundi riconosciuto dal pubblico romano e i mulinelli d’aria mista a terra rossa, che si alzano dai campi, viene spontaneo pensare a un altro artista della fatica: Tadej Pogacar. Anche lui ha il volto pulito e lo sguardo di chi non mente. Anche lui non sorride per vanità, ma per intima allegria. È il ciclismo che torna poesia attraverso il suo passo, quando sulle salite spezza il tempo e lo riscrive a suo modo, come fanno i predestinati. 
Sinner e Pogacar, diversissimi e identici. Il primo ha il corpo teso e longilineo di chi ha imparato a fendere l’aria, l’altro ha muscoli corti, compatti, che si sprigionano come molle nelle tappe di montagna o semplicemente c’è da fare la differenza su un pezzo di storia del ciclismo duro e impervio come la Redoute, la salita più leggendaria della Liegi-Bastogne-Liegi: lunga 1,7 chilometri, ha una pendenza media del 9,5% ed una pendenza massima del 20%. L’ha affrontata e battuta con la facilità con la quale si cambia una marcia sulla bicicletta: lui, stavolta, ha cambiato marcia al ciclismo.

Hanno la stessa luce negli occhi: quella di chi conosce il proprio dono e non lo spreca. Non lo ostenta. Lo onora. Sinner annienta Ruud senza un gesto fuori posto. Non cerca il punto spettacolare, ma quello perfetto. Eppure, in quella perfezione c’è poesia, come in Pogacar, che non ha bisogno di guardarsi indietro: lui attacca e sa già che nessuno lo seguirà. È come se salisse da solo, come se il mondo fosse un teatro dove lui recita la parte del dominatore gentile. C’è qualcosa di antico e di nuovo, insieme com’è l’anima del ciclismo, lo sport che più ha i connotati del romanticismo applicato alla fatica.
C’è una parola che ritorna, quando si guardano i due: leggerezza. Non la leggerezza superficiale, ma quella profonda di chi sa. Sinner non mostra mai il tormento del campione che ha paura di perdere. Non ce l’ha, almeno per ora. Gioca con la stessa calma di una passeggiata nel bosco, con il silenzio dentro. Pogacar, quando scatta, lo fa con la naturalezza con cui si beve un sorso d’acqua. Un silenzioso rumore, uno strappo feroce. La forza vera è quella che non si vanta.

Eppure non sono miti, sono feroci, ma la loro è una ferocia educata, sobria, che non ha bisogno di urla. È un dominio che non umilia, ma incanta, che ti toglie ogni speranza, ma con dolcezza.
Guardarli è come ascoltare una sonata, non c’è bisogno di capire ogni nota per commuoversi. Lo sa il pubblico che li guarda e la gente che li supporta: non vincono da sbruffoni, non cercano di dimostrare in maniera arrogante quello che sono, lo sanno già. Quando Sinner incrocia il dritto e va a rete, è come se risolvesse un’equazione con un gesto solo. Quando Pogacar si alza sui pedali e allunga, il mondo resta immobile per qualche secondo. Non si tratta solo di sport, si tratta di bellezza, di quell’incanto raro che ogni tanto, per fortuna, lo sport ci concede. Non vinceranno sempre, non lo faranno per sempre: nessuno lo ha mai fatto.

E sta qui la loro grandezza: lo sport è sempre stato più grande di ogni suo protagonista, è sempre sopravvissuto ai cambiamenti e sempre lo farà. Loro due non rappresentano un’eccezione, ma la conferma della regola: lo sport andrà avanti anche senza di loro, ma saranno sempre lì a tenere il punto di partenza di una nuova generazione di fenomeni che ha alzato il muro del talento che si fa dominio, di una giovinezza che non ha bisogno di dimostrare nulla perché ha già detto tutto, e noi, spettatori fortunati, possiamo solo restare lì, a guardarli. Come si guarda una stella cadente: sapendo che durerà poco, ma che sarà impossibile dimenticare, perché il suo passaggio rappresenta l’espressione del vorrei che diventa posso. Anzi, possono.


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TAGGED:Jannik SinnerTadej Pogacar
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