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ATP

Perché i serve bot, ormai in via d’estinzione, vivono il loro crepuscolo da protagonisti a Wimbledon

"Conta di più la scarsa frequenza con cui si toglie il servizio avversario, piuttosto che l’efficacia del proprio servizio", sostiene Sam Querrey

Last updated: 31/07/2025 19:17
By Redazione Published 29/07/2025
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13 Min Read
Giovanni Mpetshi Perricard - Basilea 2024 (foto Facebook @Swiss Indoors Basel)


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di Charlie Eccleshare, pubblicato da The Athletic il 4 luglio 2025
Traduzione di Massimo Volpati

ALL ENGLAND CLUB, LONDRA — Carlos Alcaraz ha vinto quasi tutto ciò che c’è da vincere nel tennis, ma ha trascorso gran parte del 2025 inseguendo uno dei titoli meno desiderabili dello sport: essere etichettato come un serve bot (un robot del servizio o anche macchina da ace). All’Australian Open di gennaio, Alcaraz ha scritto “Sono un serve bot?” sull’obiettivo di una telecamera dopo aver messo a segno 14 ace nella sua vittoria al secondo turno contro Yoshihito Nishioka. Durante la sua corsa al titolo il mese scorso agli HSBC Championships di Londra, vinti grazie a un servizio magistrale, ha dichiarato: “Comincio a pensare di essere un serve bot”.

Come hanno dimostrato le sue prime partite a Wimbledon, non lo è ancora. La sua prima di servizio ha vacillato in entrambe, ma i suoi incredibili colpi da fondo, le volée e i movimenti lo hanno compensato. L’archetipo del serve bot non possiede quelle abilità. Il termine è stato coniato per descrivere giganti come lo statunitense John Isner e il croato Ivo Karlović, percepiti come capaci solo di scaraventare servizi potenti dai loro corpi alti ben oltre i due metri. Il fatto che Alcaraz stia rendendo il concetto aspirazionale riflette due tendenze alquanto diffuse nel tennis. La prima è la riappropriazione del termine da parte di una nuova generazione di giocatori, tutti desiderosi di impressionare con le loro velocità al radar, ma anche determinati a vincere i più grandi titoli dello sport.

La seconda è che essere un serve bot, e avere un servizio più veloce di tutti gli altri, non rappresenta più il vantaggio principale nel tennis maschile. Giovanni Mpetshi Perricard, francese di 2,03 metri, ha registrato il servizio più veloce della storia di Wimbledon lunedì contro Taylor Fritz, un altro big server che ama discutere su cosa significhi essere un serve bot. Mpetshi Perricard ha servito a 246 km/h. Fritz ha risposto bloccando il colpo e ha vinto il punto.

Servire veloce è diventato così comune nel tennis maschile che oggi saper rispondere è il vero vantaggio – e per essere un vero bot è necessaria una certa inettitudine in risposta da abbinare all’artiglieria pesante al servizio. Essendo stato etichettato come serve bot per tutta la carriera, Isner, semifinalista a Wimbledon nel 2018, ha deciso di definire con precisione il termine una volta ritiratosi. Così, insieme ai suoi amici, tra cui Sam Querrey, altro americano molto dipendente dal servizio ma non proprio un bot, ha elaborato una formula. “Abbiamo convenuto collettivamente che se non riesci a breakkare più del 10% delle volte, sei un serve bot”, ha spiegato Querrey, ex n. 11 al mondo e ora commentatore per ESPN, in un’intervista al All England Club mercoledì. “Conta di più la scarsa frequenza con cui si toglie il servizio avversario, piuttosto che l’efficacia del proprio servizio.”

Altri avranno la loro definizione, incluso Alcaraz, che chiaramente non aspira a essere scarso nel brekkare, ma c’è una certa logica nell’enfasi posta sulla debolezza della risposta, soprattutto nel tennis contemporaneo. Storicamente, focalizzarsi solo sulla qualità del servizio significherebbe etichettare Roger Federer e Pete Sampras, due dei migliori battitori della storia, come serve bot. Sarebbe assurdo, anche se avere un servizio come il loro, oltre ad altri grandi talenti, è ciò che Alcaraz desidera. Sampras e Federer hanno vinto l’89% dei loro turni di servizio in carriera, e rispettivamente il 24% e 27% di quelli in risposta. Isner e Karlović hanno vinto il 92% dei loro servizi, ma solo il 10% e il 9% dei game in risposta.

Per contestualizzare il desiderio di Alcaraz oggi, l’uomo con la miglior percentuale di game di servizio vinti nell’ultimo anno è il suo grande rivale Jannik Sinner, con il 90,6%. Novak Djokovic, il cui gioco di risposta è molto più celebrato del servizio, è quarto con l’89,2%. I migliori giocatori sono in genere molto abili con quello che è il colpo più importante nel tennis. Alcaraz è al 12° posto, con l’86%, ma la cosa più importante da capire sul tramonto del serve bot è che la loro abilità in risposta è diventata ciò che li distingue. Sampras serviva intorno ai 193 km/h quando vinse il suo primo titolo a Wimbledon nel 1993. Era uno dei battitori più costanti del circuito.

Nel 2025, 193 km/h è quasi il minimo, anche per giocatori fuori dai primi 75 del ranking. Avere un servizio veloce è diventato così comune che anche quelli con i più potenti — Mpetshi Perricard, Fritz, e i suoi compatrioti Reilly Opelka e Ben Shelton — scherzano sul concetto di bot, sapendo che questa abilità non basta più per distinguersi in termini di vittorie e trofei. Opelka, grande battitore ed erede naturale di Isner, ha anche contribuito a ideare la formula del 10%. “I numeri lo dimostrano”, ha detto a un gruppo di giornalisti, riferendosi allo status di serve bot suo e di Isner. Ha aggiunto che tra i giocatori attuali, “io e Mpetshi Perricard siamo probabilmente gli unici due veri bot”.

I numeri lo confermano. Mpetshi Perricard (7,9%) e Opelka (9,1%) sono gli unici due giocatori ATP ad aver vinto meno del 10% dei game in risposta nell’ultimo anno. Mpetshi Perricard ha portato la cosa all’estremo diventando il primo giocatore a completare un match di cinque set senza ottenere una sola palla break — e poi a farlo nuovamente, prima agli Australian Open contro Gaël Monfils, poi contro Fritz a Wimbledon. Ma la sua strategia di arrivare al tie-break e vincerlo sembra deliberata, almeno finché non svilupperà il suo gioco da fondo.

Si allena al servizio solo per il 10% del tempo, e Fritz ha riconosciuto che Mpetshi Perricard lo ha messo in difficoltà anche da fondo campo, soprattutto nei quattro set giocati sotto il tetto. Ma l’americano rappresenta un buon esempio di evoluzione dal vecchio serve bot al nuovo. Considerato un servitore monodimensionale a inizio carriera, Fritz ha sviluppato i colpi da fondo e i movimenti fino a diventare finalista allo US Open e top 5. “Non credo sia un serve bot. È solo un bot”, ha scherzato il suo amico Tommy Paul. Paul Annacone, uno degli allenatori di Fritz, ha concordato sull’evoluzione del suo gioco.

“Ha fatto un salto di qualità, ora ha vari livelli nel suo tennis”, ha detto in un’intervista a Wimbledon. Fritz stesso usa il termine in modo più generoso. “Chiunque abbia un buon servizio, è un bot. Lo usiamo come complimento per dire che ha un bel servizio”, ha detto martedì in conferenza stampa. Fritz, che ha vinto il 19,2% dei suoi game in risposta nell’ultimo anno, è ben oltre la soglia da serve bot, come lo era il suo avversario al secondo turno, Gabriel Diallo. Fritz ha vinto in cinque set, con i giocatori che hanno servito 27 e 26 ace rispettivamente, ma tre break a testa hanno impedito che fosse una vera festa da serve bot.

Paul, nel frattempo, ha lodato Opelka e Isner per aver fatto proprio il termine. “All’inizio veniva usato in senso dispregiativo, forse sette anni fa. La gente su Twitter chiamava Reilly o Isner serve bot. “Loro l’hanno presa con filosofia e l’hanno trasformata in qualcosa di divertente. Ora ci scherzano sopra.” Querrey ha confermato che lui, Isner e i loro amici, tra cui l’ex n.21 Steve Johnson, hanno spesso conversazioni di questo tipo. Opelka ha offerto una grande dimostrazione di questa autoironia al Canadian Open del 2021, discutendo se Nick Kyrgios potesse essere considerato un serve bot.

Il connazionale di Opelka, Shelton, è un altro che viene ritenuto “troppo divertente da guardare” per essere un vero serve bot, ma anche lui ha cercato di aggiungere varietà al suo gioco. In una recente intervista, ha detto che migliorare la risposta è “la mia priorità numero uno”, e ha aggiunto: “Ero sicuramente un bot, e mi affidavo molto al servizio. Ci sono così tanti grandi ribattitori, gente che può neutralizzare qualsiasi servizio. Devi avere qualcosa in più. Avere un gran servizio e ottenere punti gratis è fondamentale su una superficie come questa, ma durante l’anno è importante avere un gioco multisfaccettato. Non lo vedo come un insulto. Ci sono match in cui sono un bot totale, ma non lo sono sempre.”

Shelton ha raccontato l’anno scorso di aver iniziato a rallentare il servizio e cercare angoli. Fritz ha ribadito il concetto martedì, quando gli è stato chiesto cosa pensasse della dichiarazione di Mpetshi Perricard secondo cui qualcuno potrebbe presto servire a 270 km/h. “La domanda è: perché? Non ha senso. Meglio servire a 225 su una riga che colpire il più forte possibile senza direzione,” ha detto Fritz.

I giocatori hanno voluto evitare l’etichetta anche perché implica un limite su ciò che si può ottenere. Un vero serve bot può entrare in top 10, ma difficilmente salirà più in alto. Giocare molti tie-break significa esporsi a una variabilità elevata, in uno sport dove basta vincere poco più della metà dei punti — e a volte anche meno — per trionfare. Ma nelle giornate giuste, questi giocatori possono creare grossi problemi.

“Questi ragazzi sono pericolosissimi, specialmente su erba,” ha detto Annacone, ex allenatore di Sampras e Federer, confermando i limiti del serve bot. Greg Rusedski, britannico con un gran servizio ma lacune nel resto del gioco, ex n.4 ATP, ha dichiarato in una recente telefonata: “Chiamatemi pure serve bot. Ma non puoi essere un serve bot e arrivare tra i primi cinque al mondo,” ha aggiunto. “Isner, Karlovic non ci sono mai riusciti per via dei loro limiti negli spostamenti.”

Ora che il servizio è stato sostituito dalla risposta come vantaggio chiave, e che i migliori giocatori del mondo cercano di migliorare, non definire, il proprio gioco attraverso il servizio, per quanto Alcaraz ami parlarne, il crepuscolo del vero serve bot è ormai in atto — il che rende Mpetshi Perricard, solo 21enne, tanto promettente quanto imperfetto, una figura affascinante.

“C’è un’evoluzione del serve bot in corso” ha detto Tommy Paul. “Penso che tutti sappiano giocare. Tutti scherzano su questo, ma Reilly da fondo è davvero bravo. Ci capita di giocare dei game da fondo e riesce a starmi dietro. Mi batte. Tutti sanno giocare a tennis.” Paul ha aggiunto: “Devi saper fare tutto. Ovviamente chi non ha un gran servizio deve muoversi meglio, rispondere meglio. Ma ormai tutti fanno tutto. Anche i più brevilinei fanno ace, e i più alti mettono a segno risposte.” Il crepuscolo del serve bot può essere arrivato, ma il futuro del termine appare brillante.


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