Alex de Minaur ha vinto a Washington il suo decimo titolo ATP ed è tornato in top 10. Il suo esordio in questa élite risale all’8 gennaio 2024 e ha timbrato il cartellino delle presenze nella maggior parte delle settimane di questi ultimi 19 mesi. In carriera ha battuto 15 volte uno dei primi dieci del mondo. Qualcuno storcerà il naso, ma ciò significa che è un top player.
Un top con l’asterisco?
È anche vero che ha avuto bisogno di 73 sfide per arrivare a quei 15 successi e che da top 10 ha un bilancio di zero vittorie e undici sconfitte nei confronti con i coinquilini di quella élite – vale a dire che, da quando “è diventato forte”, non batte più quelli forti. Per riuscirci nell’ultimo anno e mezzo (nel 2024 con Rublev a Rotterdam e Medvedev al Roland Garros) ha dovuto fare un passo fuori dalla porta dorata. O d’orata, visto che dentro era preso a pesci in… no, non esageriamo. In ogni caso, il punto non è questo e bisogna riconoscere che l’australiano classe 1999 ha saputo crearsi il suo spazio tra i migliori utilizzando al meglio i mezzi a propria disposizione e, bilancio più, bilancio meno, è un top 10. Il punto è che il decimo titolo ha dato lo spunto a qualcuno per andarsi a cercare chi è riuscito nell’impresa di arrivare in doppia cifra con i trofei.
La creazione della Next Generation come rimedio a quella perduta
Alex è riuscito nel faticoso completamento di quella parte degli anni ’90 che inizia con il 1996, l’anno di nascita dei più anziani Next Gen (gli Original), quella generazione artificialmente creata dall’ATP con l’introduzione delle Nex Gen Finals nel 2017 per lanciare un gruppo di giovani tennisti guidato da Alexander Zverev e Daniil Medvedev, dopo che i Big 3 – al secolo Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – avevano oscurato non solo i loro coetanei (i nati negli anni ’80), ma pure la generazione successiva. Soprattutto la successiva, non a caso universalmente diventata la Lost Generation, anche perché – ci informa un altro tweet di Oleg S. – l’unico anno degli ’80 a non aver dato i natali a un 10 volte trionfatore nel Tour è stato il 1983. Tra parentesi, siamo andati a controllare (non stalkerare) chi è nato nell’anno di Every breath you take, scoprendo che ad arrivarci più vicino sono stati Philipp Kohlschreiber con 8 titoli e Fernando Verdasco con 7.
Quindi, sì, la presenza in questo elenco del solo Dominic Thiem (peraltro con 17 trofei di cui uno Slam e chissà senza quell’infortunio al polso, ma allora si potrebbe parlare del fisico di cristallo di Raonic e prendere la sterile via delle ipotesi) certifica ulteriormente che quella generazione è andata perduta, con forse Grigor Dimitrov (9 titoli) come perfetto simbolo delle promesse non mantenute.
Due generazioni al prezzo di una?
Ma gli anni passano e, a dispetto della spunta messa da De Minaur in corrispondenza del 1999, non è che Zverev, Medvedev (unico vincitore di uno Slam) e compagnia abbiano soddisfatto le aspettative. “Finora” – è necessario aggiungere dal momento che non sono ancora trentenni – ma nel loro caso c’è l’aggravante di aver avuto a che fare con Big 3 decisamente più acciaccati e che hanno perso prima uno e poi un altro pezzo, centellinando inoltre le presenze e lasciando spazio nei tornei non dello Slam. E così, mentre si pensavano furbi in placida attesa del loro turno con il numerino in mano, riponendo la loro fiducia nell’aiuto dell’inesorabile avversario – il tempo – per avere via libera a fare razzia di titoli pesanti, si sono resi conto di non essere nel film I figli degli uomini dove non nascono più bambini.
A riportarli alla realtà sono arrivati Carlos Alcaraz e Jannik Sinner che hanno iniziato a spartirsi gli Slam (danno bella mostra di sé nelle bacheche dell’azzurro e dello spagnolo gli ultimi sette titoli major), mentre altri giovani contendenti stanno cercando di emergere, come dovrebbe essere naturale. E allora diventa sempre più impercettibile la linea artificiale che separa i Lost dagli Original Next, tanto che ormai si parla per tutti i nati negli anni ’90 di Sandwich Generation, stritolata tra il nuovo che avanza e il Vecchio che è… avanzato.
Jannik, Carlos, Nole e la forza del panino
Come avevano già fatto notare tra gli altri Robin Haase e Martin Klizan, se il livello medio si è nettamente alzato, quello della top 10 non lo ha fatto altrettanto. D’altronde, non sarà ai livelli di distopia del film sopra citato, ma un Tour dove un trentottenne è probabilmente arrivato a uno strappo di bulgaro pettorale dal vincere Wimbledon a mani basse non può non risultare almeno bizzarro a chi non lo guarda con gli occhi da tifoso – praticamente nessuno, invero, dal momento che Sinner, Alcaraz e Djokovic si spartiscono la stragrande maggioranza dei fan mondiali e quindi va benissimo così.
Non resta dunque che trincerarci dietro l’immensa fortuna di avere un numero 1 del mondo italiano e goderci i suoi successi e la spettacolare rivalità con lo spagnolo mentre ci gustiamo un sandwich. Farcito con qualcosa di più sostanzioso della generazione a cui ha dato il nome.