Rivoluzionario e antesignano: con lui l’abbigliamento sportivo ha compiuto un cruciale salto di qualità, ha soppiantato il tradizionale bianco del tennis, ha ideato e introdotto nel mondo dello sport il concetto del testimonial di prestigio che sponsorizza un capo. Sergio Tacchini è stato molto, ma molto di più del numero 15 della classifica mondiale stilata all’epoca dai giornalisti del settore, oltre che finalista in Davis nel 1960 assieme a Pietrangeli, Sirola e Gardini – la prima di sempre per l’Italia: sconfitta 5-0 dall’Australia di Laver, Emerson e Fraser. Sposato con Pierrete Seghers, ex tennista francese, si godono una felice vecchiaia nella loro splendida Villa in riva al Lago Maggiore, in località Pallanza (frazione di Verbania).
Sergio, oggi ottantasettenne dopo aver cambiato per sempre il ramo dell’abbigliamento sportivo, è ancora in forma e non rinuncia alla passione di una vita dividendosi tra tennis e golf. Vi proponiamo di seguito l’interessante intervista che Tacchini ha rilasciato ad Alessandra Giardini della Gazzetta dello Sport.
Il ricordo della seconda guerra mondiale e l’estrazione familiare
“Il giorno di San Gaudenzio, sarà stato il ‘42 o il ‘43, passarono gli aerei americani sopra il Ticino. Pensavo che lanciassero volantini, invece erano bombe. Rimanemmo sfollati fino alla fine della guerra. Ho fatto a Mergozzo [comune piemontese in provincia di Verbano, ndr] i primi due anni delle elementari. Una volta i nazisti volevano buttare giù la casa dei nonni e il parroco si mise davanti e la salvò. Mio padre Filippo era industriale, faceva la farina. Ida, mia madre, era casalinga. Anche mio fratello Vanni ha giocato a tennis, poi ebbe un incidente in macchina che lo frenò“.
L’amicizia con Nicola Pietrangeli
“Abbiamo un buon rapporto ma due caratteri completamente diversi. Abbiamo giocato molto assieme, penso di poter dire di essere stato un buon secondo per Nicola. Tutto sommato qualche qualità ce l’avevo anch’io“.
La finale di Coppa Davis, l’elogio e la difesa di Sinner
“Peccato che oggi la Davis non sia più la Davis: noi andavamo a giocarla tutto l’anno, in tutto il mondo. Oggi si risolve in 4-5 giorni. Ma devo dire una cosa. Mi è spiaciuto leggere che agli italiani non piace Sinner. Sinner è un grande giocatore che ha il diritto di scegliere della sua vita come meglio crede. E’ un grande atleta, un grande personaggio. Non si arriva ai livelli a cui è arrivato Sinner senza essere fuori dal comune. Non si possono discutere le scelte di un fuoriclasse che ha tutto il diritto di gestirsi a fronte di un’attività stressante, quasi massacrante“.
La Davis senza Sinner: Musetti e Berrettini
“E’ difficile [vincerla, ndr], cambia tutto. Con lui [Jannik, ndr] hai la certezza di vincere tutti i suoi punti. Senza, è un terno a lotto. Musetti mi piace, sembra che non abbia nessun legame con il tennis attuale. Gioca il rovescio a una mano come Dimitrov, Tsitsipas, Shapovalov come un giocatore di una volta. Io prenderei in considerazione anche Berrettini: gioca bene le partite importanti, è solido sotto questo punto di vista, di testa“.
Un ottimo tennista diventato ‘Grande’ fuori dal campo
“Volevo un lavoro che mi consentisse di rimanere nello sport. Mi ero sposato e avevo già mio figlio Alessandro. Ho preso una cosa che aveva un valore, il mio nome, la mia immagine, e l’ho applicata al tennis che era la mia vita“.
Le due rivoluzioni: il colore e i testimonial
“Il mondo stava cambiando. I giocatori avevano voglia di qualcosa di nuovo. Non esisteva il concetto di sponsorizzazione. E non volevo soltanto grandi giocatori: dovevano avere qualcosa di speciale, una personalità che facesse breccia sul pubblico. Che era quello che doveva comprare le magliette. Il primo fu Ilie Nastase, quanto abbiamo riso insieme. Poi arrivarono McEnroe, Ivanisevic, Navratilova, Sabatini“.
Pete Sampras e John McEnroe
“L’unica eccezione fu Pete Sampras. Fu Gianni Clerici a segnalarmelo. Aveva così tanta classe che non c’era bisogno di sregolatezza. Ma come John McEnroe però nessuno. Siamo diventati amici, facevano queste cene a dicembre per augurarci buon anno. L’ultima volta ci siamo trovati a Milano, i miei nipoti volevano conoscerlo e li ho portati da lui: è stato adorabile“.
Adriano Panatta e Corrado Barazzutti
“Panatta ha cominciato con me, poi è passato alla Fila. Barazzutti ha continuato con me per diversi anni. Non sono paragonabili. Barazzutti è stato un giocatore molto serio, è arrivato ad essere il numero 7 del mondo. Panatta era tutto estro e se volgiamo un po’ meno applicazione. Impossibile confrontarli“.
