James Blake: “La mia vita dopo il tennis più frenetica di quando ero tra i pro”

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James Blake: “La mia vita dopo il tennis più frenetica di quando ero tra i pro”

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Il campione americano James Blake, ritiratosi dopo lo US Open 2013, ha dichiarato di aver smesso col tennis giocato al momento giusto, si diverte nel circuito senior e ha tanti progetti in testa, tra cui non la carriera di coach, per ora…

Il match che James Blake ha vinto ieri contro Mark Philippoussis a Delray Beach nell’ambito dell’ATP Champion Tour, esordio per lui nel circuito senior, è stata l’occasione per parlare della sua vita dopo il tennis.

Da quando ho detto stop la mia vita è stata bella e anche frenetica. Quasi di più ora che quando ero tra i pro, per colpa dei miei due bambini! Non potevo chiedere di meglio, so che molti atleti professionisti una volta ritiratisi attraversano giorni con un forte senso di vuoto e alcuni cadono in depressione, io ho le giornate sempre piene e mi considero fortunato”.

Manca il tennis all’ex numero 4 del mondo? “A volte moltissimo, altre per niente. Il tennis era ed è gran parte della mia vita, spesso mi manca, ma ci sono anche giorni in cui benedico il fatto di avere tempo da dedicare pienamente alla mia famiglia, così sono felice di essermi fermato nel momento giusto, con le soddisfazioni e i risultati che ho raggiunto (tra cui la Coppa Davis del 2007, ndr)”.

Che cosa fare ora, a un anno e mezzo dal ritiro? “Del tennis ho sempre amato il miglioramento di se stessi, giorno dopo giorno. Un settore che mi ha sempre affascinato è la finanza. Ho incontrato diversi professionisti che mi hanno parlato dei pro e dei contro di questo mondo. Io ho studiato economia prima di diventare un tennista professionista e ho sempre avuto dimestichezza coi numeri. Così come nel tennis, mi affascina l’idea di migliorare e fare meglio dei tuoi avversari”.

Non rientra invece fra i piani di Blake la carriera da coach: “Sto aiutando Jack Sock ma non a tempo pieno e non da vero coach, lui ne è consapevole. Voglio godermi la famiglia ora e questo non si concilia con l’idea di viaggiare almeno 30 settimane l’anno, poi se quando i miei figli saranno cresciuti e vorranno prendere la loro strada chissà…”

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