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Editoriali del Direttore

Il mio ricordo di Nicola Pietrangeli

Ci ha lasciati una persona perbene, il più grande campione che l'Italia abbia mai avuto quando il tennis non era ancora Open

Ultimo aggiornamento: 01/12/2025 12:01
Di Ubaldo Scanagatta Pubblicato il 01/12/2025
11 min di lettura 💬 Vai ai commenti
Nicola Pietrangeli e Ubaldo Scanagatta, Roma 2014 (foto by CLAUDIO GIULIANI)

E’ morta una persona perbene, un grande campione, il più grande che l’Italia abbia mai avuto quando il tennis non era ancora Open, aperto ai professionisti e un grande personaggio cui recentemente i social avevano creato attorno un brutto alone che per me che lo conoscevo bene assolutamente non meritava. Io l’ho conosciuto da quando ero bambino, era amico di mio padre, gli ho fatto da raccattapalle, a 10 e 11 anni,  quando ha giocato la Coppa Davis a Firenze contro Russia, Sud Africa e India, per me era un mito. E tale è rimasto. Delle tante frasi trionfali sul Rinascimento Italiano inevitabilmente pronunciate da Angelo Binaghi nel momento dell’ultimo trionfo azzurro in Coppa Davis quella che mi era piaciuta di più era stata proprio quella dedicata a Nicola Pietrangeli che, per la prima volta non era stato in grado di presenziare alla Coppa Davis perchè già prigioniero di un un letto d’ospedale. Lui era Mister Coppa Davis, era andato a seguire la squadra a Malaga anche con le stampelle.

Io la Coppa Davis non l’ho mai vinta e non l’ho mai neppure giocata. Invece c’è un signore romano, seppur nato a Tunisi nel 1933, Nicola Pietrangeli, che ha giocato più incontri di Coppa Davis di chiunque altro: 164 e vincendone, fra singolo e doppio, 110.

24 volte campione assoluto d’Italia e 2 volte vincitore degli Internazionali d’Italia, contro Beppe Merlo nel ’57 al Foro Italico e contro uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, l’australiano Rod Laver nel ’61 quando gli Internazionali si disputarono a Torino per celebrare il centenario del Regno d’Italia, Pietrangeli era stato l’unico tennista italiano ad aver vinto due Slam, prima di Jannik Sinner: al Roland Garros nel ’59 contro il sudafricano Vermaak e nel ’60 contro il cileno Luis Ayala. Due volte fu invece fermato in finale dal suo grande rivale e allora suo miglior amico Manolo Santana nel ’61 e nel ’64.

Tre volte ha vinto il torneo di Montecarlo. E nessun italiano era mai andato più avanti di lui a Wimbledon – prima della finale raggiunta da Matteo Berrettini e poi dal trionfo di Sinner quest’anno –  dove fu semifinalista nel 1960, battuto 64 al quinto da Rod Laver. che poi perse la finale dal connazionale  Neale Fraser. Ricordo che Neale Fraser fu estremamente sincero quando andò da Pietrangeli a dirgli “Scusami se te lo dico, ma per me è stato un certo sollievo vedere che avevi perso da Rod: con lui  pensavo che avrei vinto, con te ho quasi sempre e penso che avrei perso anche questa volta”.

Ma se in Italia ovviamente Nicola Pietrangeli è una leggenda, nel resto del mondo Nicola è conosciuto e ricordato soprattutto per quel record conseguito in Coppa Davis, quei 164 incontri, che è uno dei pochissimi record che non potrà mai essere battuto e che gli è valso il nick name di Mister Coppa Davis, o Mr Davisman come dicono gli angloamericans.

Infatti da quando la Coppa Davis ha cambiato, nel 1982, il suo format ed è passata a un World Group – una sorta di serie A – riservato a 16 Paesi, in un anno più di 4 incontri internazionali non si possono giocare e quindi se un tennista che arrivasse sempre in finale giocasse per tutti gli incontri singolo e doppio più di 12 match all’anno non potrebbe fare. Bisognerebbe che riuscisse a giocarli, ripeto sempre raggiungendo la finale, tutti per 14 anni. Purtroppo quando a Nicola un improvvido intervistatore chiese se Sinner avrebbe mai potuto battere i suoi record lui, che non aveva peli sulla lingua, disse: “Quasi tutti sì, ma non quello della Coppa Davis!”. La sua frase fu interpretata come quella di un “rosicone”, parola entrata in uso nel linguaggio corrente e di per se stessa odiosa. Insomma, lui voleva soltanto dire che era impossibile togliergli quello scettro. 

Pietrangeli e Sirola, ai tempi in cui raggiunsero le prime due storiche finali di Coppa Davis per l’Italia negli anni ’59 e ’60 giocarono 5 e 6 sfide internazionali l’anno. L’Italia fu allora la prima nazione a raggiungere la finale al di fuori dei quattro storici Paesi che avevano dominato il tennis, e cioè Stati Uniti e Inghilterra che avevano dato vita alla Coppa d’argento fatta coniare nella celebre gioielleria di Boston Shreve&Crump Low dal signor Dwight Filley Davis nel 1900, la Francia dei famosi moschettieri Lacoste, Cochet, Borotra e Brugnon degli anni Venti, l’Australia dei grandi campioni che avevano dominato il tennis dagli Anni Cinquanta in poi grazie ai vari Sedgman, Rosewall, Hoad, Laver, Emerson, Newcombe e compagnia bella.

Nicola è stato un assoluto fenomeno soprattutto sulla terra rossa dove, come avete sentito prima non ha solo vinto i più grandi tornei, ma ha battuto tutti i più grandi campioni della sua epoca, Laver, Rosewall, Santana e soci – e sì che non era neppure un giocatore da serve&volley –  cui feci da raccattapalle nel corso di un’esibizione alle Cascine.

Rosewall, classe 1934, campione scrupoloso e talmente professionale da dire che preferiva non frequentare le sale cinematografiche per non sciuparsi i riflessi è stato un fenomeno capace di vincere 8 Slam nonostante l’impossibilità di giocarne 44 per essere passato professionista per 11 anni dal ’57 al ‘67 ed un fenomeno di straordinaria longevità, al punto da disputare due delle sue quattro finali perse a Wimbledon a distanza di 20 anni, nel ’54 con Jaroslav Drobny, nel ’74 con Jimmy Connors.

Insomma questo fenomeno ne avrà visti di campioni che dite? Ebbene fu lui a dire che se per ipotesi tutti i migliori tennisti degli anni sessanta fossero naufragati su un’isola deserta senza campi né racchette né palestre e poi dopo tre mesi fossero stati sbalzati a giocare in gara quel torneo avrebbe avuto un vincitore sicuro: Nicola Pietrangeli.

Perché Nicola, ex pulcino della Lazio calcio, che si allenava pochissimo e che avrebbe sempre preferito giocare una partita di calcetto piuttosto che una di tennis – e un anno a Parigi nel giorno d’intervallo fra una semifinale vinta e la finale se ne tornò a Roma proprio per giocare un match di calcetto per la sua Canottieri Roma con il rischio di farsi male – era un talento assolutamente naturale, unico.

Ho avuto anche l’onore, per me un grande onore perchè Nicola per me era un idolo come per tanti ragazzi degli anni Settanta è stato un idolo Adriano Panatta, di giocare contro Pietrangeli. E’ accaduto a Napoli, direi nel 1972, per un campionato italiano a squadre di prima categoria. La Coppa Brian, si chiamava. Si giocava naturalmente tre set su cinque. Nicola sfiorava già i 40 anni, io ne avevo 23. Persi i primi due set, ma nel terzo mi arrampicai fino ad avere due setpoint. Provai a giocarli all’attacco, con un po’ di sana incoscienza, ma Nicola mi bruciò con due passanti di rovescio dei suoi. Mi sono sempre rimproverato di averlo attaccato sul rovescio, il suo colpo decisamente migliore, ma mi sembrava che ci fosse sufficiente angolo. Solo che lui era anche un formidabile atleta naturale. Quei due rovesci allora non li vidi quasi. Ora, li rivedo sempre! Chissà, visto che lui non era più giovanissimo come sarebbe andato il quarto set se ci fossi arrivato. Non lo saprò mai. So solo che lessi il giorno dopo sulla Gazzetta dello Sport un articolo di Rino Tonmasi, perfino con qualche elogio indirizzato al sottoscritto. Ne ho copia, naturalmente. Un altro grande onore. Due maestri in un colpo solo.

Nicola è un personaggio, sempre stato un uomo brillante, simpatico, di mondo come si suoldire. A Parigi era conosciuto al Roland Garros come da Regine, il club by night più noto di St Germain de Pres. Durante il torneo era un habituè e fare le ore piccole anche prima di un incontro importante non lo preoccupava mai minimamente.

Non ha vinto nessuna coppa Davis da giocatore, pur avendo disputato più che onorevolmente le due finali in Australia – battè Buccholz per conquistare il 2 pari a Perth prima che Sirola battesse MacKay, ma è l’unico a poter dire di averla vinta da davvero da capitano.

Non fosse stato per lui l’ItalDavis non sarebbe mai andata nel ’76 nel Cile del dittatore Pinochet. Tutta la sinistra era schierata contro. Ma lui si battè come e più che se si fosse trovato sul campo sostenendo, fra l’altro, che mantenere i rapporti commerciali per poi rinunciare a una vittoria molto probabile e consentire allo stesso dittatore una formidabile arma propagandistica, sarebbe stata una grande e stupida ipocrisia. Fu talmente protagonista di quella vittoria che i giocatori si rivelarono quasi gelosi della popolarità che nell’opinione pubblica crebbe vertiginosamente.

Fece probabilmente anche un po’ d’ombra al presidente federale d’allora il fiorentino Paolo Galgani, che fu ben contento, un anno dopo, insieme ai giocatori che non avevano apprezzato certi suoi commenti che se fosse stato più diplomatico Nicola non avrebbe  dovuto fare – ma di fatto tutti pensavamo che se non ci fosse stato lui quell’unica Davis del secondo millennio non l’avremmo  mai vinta! – di cambiare capitano. Nemo propheta in patria, davvero. Nicola Pietrangeli è stato un grande come giocatore e come capitano.


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