Nicola Pietrangeli è stato tante cose: il primo grande campione italiano, il primo vincitore Slam nostrano, il primo capitano di Davis a sollevare l’Insalatiera d’argento. Ma è stato anche un attore, un giornalista, un calciatore mancato e anche consulente di multinazionali. Questo divo da “Dolce Vita”, con quel suo bel viso paffuto sotto i riccioli ormai imbiancati, si è spento questa mattina a Roma all’età di 92 anni. Lui che di nobile, oltre al rovescio, aveva anche il sangue, come confessò all’amico Gianni Clerici. “Non l’ho mai detto a nessuno, ma avrei potuto farmi chiamare conte. I miei nonni russi erano nobili e poiché mia madre non aveva fratelli maschi trasmise il suo titolo a me. Sarei il conte Nicola Shirinsky Pietrangeli”.
Una vita legata indissolubilmente a Roma, lui che per arrivarci era partito da lontano, precisamente dalla Tunisia, dove il nonno Michele era emigrato da un paesino vicino a L’Aquila per fare il muratore. Poi la guerra e l’espulsione dal Paese, con il padre e il nonno che scendono a Palermo, risalendo poi verso Roma. Già, la Città Eterna, quanti ricordi custodisce quel Foro Italico? Quante partite su quel vecchio Centrale che oggi porta il suo nome? “Mi ricordo quando Gianni Petrucci e Angelo Binaghi mi chiamarono per “farmi un regalo”. Gli chiesi perché non mi intitolassero il Centrale, appena costruito. Mi spiegarono che questo si poteva buttare giù , mentre quello dei Marmi è monumento nazionale e non si può toccare”.
L’ex Stadio della Pallacorda a lui intitolato dal 2006 – e incorniciato da diciotto statue di atleti in marmo di Carrara – è stato motivo di grande orgoglio per Nicola . “Io sono l’unico vivo che ha una cosa intitolata a suo nome. Il perché non lo so. In Italia non c’è uno che ha una fontana, una strada, solo io. Questo mi riempie di grande orgoglio” disse in un’intervista concessa a Walter Veltroni per il Corriere dello Sport-Stadio. Tanto che il presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel Angelo Binaghi, tempo fa ne ha rivendicato la paternità. “L’idea è stata mia e solo mia. Pensai di dedicarlo al campione del nostro sport più popolare a livello internazionale. Andai dal segretario generale del CONI Raffaele Pagnozzi che la contestò e disse che non si poteva fare. Un mese dopo l’hanno fatta”.
Ed è proprio su quello stesso campo che ne ha consacrato la leggenda che verrà allestita la sua camera ardente a partire dalle 9 di mercoledì. Indelebili le sue imprese su quel rettangolo rosso: al Foro Italico Pietrangeli ha celebrato il suo primo trionfo agli Internazionali d’Italia nel 1957. In quell’edizione superò in finale Beppe Merlo, considerato l’inventore del rovescio a una mano. L’ultima finale tutta italiana al Foro si chiude 8-6 6-2 6-4. L’anno successivo Pietrangeli non riuscì a centrare il bis, perdendo in finale 5-7 8-6 6-4 1-6 6-2 contro il mancino australiano Rose.
Vinse però un’altra volta gli Internazionali, nel 1961, un’edizione quella tenuta a Torino, per celebrare il Centenario dell’Unità d’Italia nella prima capitale del Regno. Vittoria speciale comunque, perché ottenuta contro l’australiano Rod Laver.
Talmente legato a quel campo che quando si parlò di spostare gli Internazionali di Tennis disse chiaramente che avrebbe preferito “saltare un anno che giocare lontano da Roma”. Un torneo in cui ha preso parte per ben 22 stagioni .
Pur di restare nella città eterna rinunciò anche a una grossa offerta di lavoro nel 1960. In un’intervista conservata nelle Teche Rai Pietrangeli raccontò della proposta che gli fece l’ex tennista Jack Kramer: “Avevo firmato un accordo che mi legava alla famosa troupe di Jack Kramer per tre anni. Avrei dovuto abbandonare tutte quelle attività ‘dilettantistiche’ come la Coppa Davis e altri tornei così. Solo che venni all’Olimpico, mi piazzai in tribuna e ci fu l’inaugurazione delle Olimpiadi e c’è stato l’alzabandiera e l’inno di Mameli. Potrà sembrare stupido e patetico ma mi sono scesi due lacrimoni. Finita l’inaugurazione sono sceso, ho preso l’assegno da 5mila dollari e l’ho strappato. L’ho rimandato indietro dicendo che mi scusavo ma che non me la sentivo”.
“Er Francia” era il suo soprannome da ragazzino, perché arrivava dalla Tunisia, e perché tra i ragazzini che vivevano per le strade del centro di Roma lui era quello che conosceva il francese. Quel soprannome gli è rimasto addosso, anche perché in Francia si ricordano ancora l’accoppiata singolare-doppio al Roland Garros 1959, e il bis che si regalò in singolo nel 1960, l’anno successivo. Ma poi, quando si parla di Nicola Pietrangeli, e in questi giorni di lutto se ne parlerà, non si può che tornare al Foro Italico e a quello Stadio Pallacorda; progettato e realizzato tra il 1931 e 1933, e sede degli Internazionali di Tennis dal 1935.
Perché lui aveva già previsto tutto, anche la sua fine. “Parto col dire che il mio funerale, fra mille anni, si farà allo stadio Pietrangeli. Innanzitutto, perché c’è parcheggio, poi perché ci sono tremila posti seduti. Mi dispiace che non potrò assistere, per vedere chi viene e chi non viene. In caso piovesse, appunto, potremmo rimandare, mettendo la bara nel sottopassaggio. La musica la sto ancora decidendo, anche se “My way” all’uscita non sarebbe male”.
E allora, usando le parole di Frank Sinatra, ti diciamo grazie per i ricordi e per le lacrime, per i successi e per gli inciampi. Tutto rigorosamente seguendo la tua strada. “Ho amato, ho riso e pianto. Ho avuto le mie soddisfazioni, anche la mia parte di sconfitte (…) Cos’è un uomo, che cosa gli appartiene? Se non se stesso, allora non ha niente. Per dire le cose che davvero sente, e non le parole di uno che si inginocchia. La storia mostra che ho preso i miei colpi, e l’ho fatto a modo mio. Sì, era la mia strada”
