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Adeu Barcelona, tra rose, tennis e cielo grigio

Last updated: 19/04/2016 19:56
By Roberto Salerno Published 27/04/2015
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13 Min Read
©dorangri

Dalla festa di San Jordi alle piazze nascoste della Barceloneta 5 giorni di tennis quasi clandestino. Troppo presente il calcio, troppo glamour l’intera città per dedicare attenzione ad un torneo meno affascinante del solito


L’arrivo alla metropolitana Arc de Triomf e è meno disorientante del solito, gli anni passati hanno evidentemente fatto il loro lavoro e adesso non temi più di essere a Parigi. Anzi, la Estación Norte, che accoglie chi arriva dalla Costa Brava, è uguale a quella di mille altre città, neanche un cartello che indichi che in questi giorni si gioca un torneo di tennis. Bisogna spostarsi verso il centro, andare a Plaza Catalunya, quella dove i tifosi del Barça festeggiano o la Liga o la Champions – anche se per la gente che non si è mai ammalata di sport è solo il punto da cui parte la Rambla diretta verso il mare – per trovare i primi cartelloni che mostrano “la tierra del tennis”. Ma è proprio vero che anche i “nostri eroi sono poveri” solo che, invece di chiedersi troppi perché, si limitano a guardarti, dai pali a cui sono appesi, con un’aria che vorrebbe essere virile e invece suscita tenerezza.

©dorangri
Plaça Catalunya (©dorangri)

Le edicole sono curiosamente vuote, hanno pochi giornali, soprattutto se siete abituati a quelle italiane che traboccano di riviste che sembrano avere cent’anni. Se sbirci i titoli ci trovi Messi e Nymar, il Barça e la Catalunya; e poi, un riquadro, in genere in alto a destra, in cui campeggia la foto di Nadal. Se decidete di percorrere la Rambla, seguendo il flusso di persone che rendono complicata la semplice passeggiata – ma tranquilli, Roma è peggio – rimanendo sulla parte destra non potrete non trattenere un sorriso che in pochi capiranno, quando darete un’occhiata ad un elegante negozio con l’insegna marrone. La “Farmacia Nadal” fa immaginare articoli che i lettori di Ubitennis smaschererebbero subito come “provocatori”, parola di cui non è mai chiaro il significato.

©dorangri
©dorangri

Ma non siamo qui per fare i turisti (ehm…) e quindi è il momento di dirigersi verso il Real Tennis Club, nientemeno. Per fortuna il percorso è piacevole. Sul Passieg de Gracia si affacciano sia la casa Batlo che la Pedrera, finalmente senza impalcature, sono stati necessari tre tornei per riuscire a vederla per intero. Cinquanta metri dopo la vecchia amica, l’Avenguda Diagonal – o semplicemente la “Diagonal”, come la chiamano qui – una specie di ferita lunghissima della città, che parte dal Mediterraneo e non finisce mai, mai, probabilmente arriva fino all’Atlantico, e che dopo un paio di chilometri incrocia Avenguda de Pedralbes.
Ed è solo avvicinandosi al quartiere residenziale di Pedralbes, oltre Sarrìa (ricordati di Paolo Rossi), dove giardini curati ti fanno pensare che lì, piuttosto che amore, possano crescere villette ad un piano, che un po’ di tennis prende vita. Niente a che vedere con Federation Square o la zona di Flinders Park, ma si vede qualche pallina, qualche programma del torneo.

Al club si incontrano facce note, come vita vuole alcune simpatiche altre meno; noti che l’eccitazione da prima volta è andata, stancamente si firma qualcosa e in cambio si riceve la classica targhetta con il tuo faccione e una borsettina in cui speri, per una volta, di trovare qualcosa di interessante o da portare a casa. O almeno di utile. Ormai esperto, invece di prendere l’ingresso principale fai la stradina laterale che ti consente di evitare la folla, passando tra i posti auto riservati a Nadal, Ferrer, Robredo, Granollers, Almagro. C’è anche una Ferrari, chissà di chi è. In sala stampa fotografi si aggirano attorno alla macchinetta del caffè, cronisti incanutiti guardano i ragazzetti da websites col sorriso che non arriva alle labbra, alcuni ticchettano sul computer. Fa tanto “Front Page” ma senza Lemmon e Matthau è difficile fare Billy Wilder, rimane solo da maledire l’assenza del wi fi. Ci sono i cavetti, come il secolo scorso – o erano solo due anni fa? – e quest’anno niente pranzo al buffet, c’è aria di crisi.

I tre televisori in sala stampa sono in realtà due perché uno serve per guardare le repliche del Barça, figuriamoci. Quello sul campo centrale ti rimanda le immagini di Ferrer, nessuno guarda, al massimo un’alzata di testa verso il terzo, quello con i risultati dei tre campi in cui si gioca il torneo. Ti fai spazio tra spagnoli che parlano di “Rafa”, “Tommy” “Marcel”. Tutti nomi, mai un cognome. Un briciolo di lusinga nel vedere che l’addetto stampa si ricorda di te, ti saluta in italiano, ti chiede chi è la fotografa che è con te – Anna Dorangricchia, le foto che accompagnano le cronache, e questo pezzo, sono sue – ti porta dall’addetto dell’ATP che “è italiano come te, siete gli unici qui”. In sala conferenze quando arriva Fognini che ha appena battuto Rublev sotto un sole infuocato (c’erano gli occhiali da sole nella borsetta!) ti chiede se hai delle domande da fare. Persona di rara gentilezza, forse è anche merito suo se Fognini appare finalmente rilassato, in grado di tormentare meno le sue povere unghie; speriamo di incontrarlo ancora.

Il giorno di Nadal e Fognini è quello di San Jordi. Qui ci si scambiano rose e libri, c’è il sole la giornata è bellissima; tutte le ragazze hanno la rosa, non tutti i ragazzi hanno il libro. I giocatori consigliano un loro libro, chissà se hanno regalato la rosa. Mi riprometto di chiederlo a Fognini, lo dimenticherò.

Quando Fognini e Nadal scendono in campo la Pista Central non è ancora piena. Hanno appena finito Ferrer e Ymer, che devo ringraziare perché mi danno modo di sorprendere il mio vicino di posto che credeva potessero arrivare al terzo set; quando sul 4-0 per lo svedese gli dico che non credo che Elias possa vincere un altro game mi guarda compassionevole. Il 6-4 finale cambierà il suo sguardo, ma siamo già su Fognini che serve e tiene la battuta. So che in Italia è l’unica partita che conta e quindi ci si trasforma nel “bravo cronista”: bloc notes e punti annotati, non mi sfuggirà niente, neanche la percentuale di prime.  Fognini è calmo, qualche commento su qualche palla, ma dall’altra parte c’è Nadal, c’è rispetto per lui. Rafa è scuro in volto, si vede che non è convinto, prova a fare delle cose che gli vengono male, perde il primo set e sempre più irritato grugnisce con toni più alti. La Pennetta guarda e applaude chissà se davvero pensa che Fabio possa vincere. Vedo finalmente esultare Nadal alla vecchia maniera, avambraccio all’altezza del viso e belluino “Vamos!”, il pubblico non aspettava altro per impazzire. A Fognini riesce quell’incredibile passante sullo smash che farà delirare il pubblico italiano davanti alla tv e scatenerà il gossip sul diamante che si intravede attorno al dito di Flavia finalmente serena.

Quando Nadal tira lungo quel dritto si scappa in sala stampa con un pensiero a Ubaldo – adesso ci sarà l’inferno – dando un’occhiata al taccuino. Davanti al computer il segnale acustico di Skype impazzisce, scrivo e rispondo, Nadal arriva subito per la conferenza, devo interrompere, di rileggere non se ne parla, se un lettore si lamenta mi rimprometto di andarlo a cercare a casa quando torno. Pentagallo per fortuna ha già messo titolo, abstract e screenshot, Ubaldo mi strappa un sorriso perché – come dico sempre a chi vuole fare l’inviato – lui è davvero convinto che siamo dotati del dono dell’ubiquità, ma conclude con un paterno “so che ti farai onore”. Nadal si fa strada tra tutti, sotto il cappellino è sempre più rabbuiato, la voce spezzata, la testa bassa. Si riprende lentamente, va via, posso tornare a scrivere, aggiungere qualcosa; chissà, forse togliere qualche refuso. Macché. Arriva Fognini che dice addirittura che stapperebbe una bottiglia di champagne e che vale doppio per lui questa vittoria perché gli si riconosce una certa tranquillità. Noi siamo tutti contenti, andiamo a casa tardi, solo davanti ad una “fideua” (una terribile specialità valenciana simile alla paella) ci si ricorda che si doveva dare un’occhiata all’avversario di domani, Andujar. Se ne parlerà l’indomani, purtroppo.

Quando si torna al club la sala stampa è svuotata della metà, nessun problema per trovare un posto a cui attaccare il cavo, nessuno realmente interessato ai 4 spagnoli. Con Giuliani si parla di Crimea e Russia, perde Robredo ma tutti sono interessati al ritorno del Pep: il Bayern affronterà il Barcellona per le semifinali della Champions League. Per fortuna Ferrer batte Kohlschriber, poi, in un campo semivuoto e umido, Fognini deve stropicciarsi gli occhi come se avesse delle lacrime. È un peccato che non venga in conferenza, gli avrei fatto i complimenti perché credo sia importante perdere in quel modo, cioè senza strepiti né sceneggiate, ne sono convinto. Tutti dobbiamo abituarci al nuovo Fognini, almeno speriamo.

Adesso c’è più tempo, Silvia Berna e Garofalo decidono che posso andare a fare un giro e il salto alla Barceloneta è obbligatorio e pazienza per il cielo grigio. Anzi no, meglio così, il mare in fondo è la cosa meno interessante. Molto meglio la piazza, dove alle 11 e quarto trovi questi negozi, quasi bettole, senza insegna pieni di gente intenta a mangiare e non soltanto le tapas. Altro che i ritardi spagnoli… Il dovere chiama anche se il week end finale è una specie di strazio, nonostante Andujar faccia di tutto per migliorarlo. Allora c’è tempo anche per Klizan che serve in un modo molto curioso col piede sinsitro che alla fine del movimento martella dolcemente la terra rossa, come fosse un picchio. Della partita non saprei dire, francamente.

La finale è programmata per le 17.30, non scommetterei un soldo sui 5 game di Andujar (Giraldo l’anno scorso ne fece 4) e quindi con Daniele Vallotto scriviamo il pezzo prima che cominci la partita, così per le 19.30 posso essere a Plaça d’Espanya che è come una specie di luogo incantato, nonostante la folla, e tutto il resto. Si finisce tardi e la sala stampa è invasa dai giapponesi. Non che il risultato fosse in discussione tant’è che si leggono cartelli nostalgici a base di “Rafa we miss you” chissà perché in inglese. Si mette anche a piovere, ma Plaça de Espanya con i colori della fontana che cambiano, rimane meravigliosa.

Oggi il Tibidabo, domani Istanbul. Si, sempre meglio che lavorare.


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