Il curioso caso di Alexander Dolgopolov

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Il curioso caso di Alexander Dolgopolov

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TENNIS PERSONAGGI – Le ultime settimane hanno ridato al mondo tennistico, per la gioia di esteti e amanti “dell’arte del tennis”, un fantastico Dolgopolov che, sia sotto il profilo tecnico che mentale, mai avevamo ammirato a questi livelli. Sarà in grado di reggere questi ritmi ed ambire alla top ten? Andrea Mario Conte e Orlando Ricciardi

Dopo aver scalato tanto inaspettatamente la classifica mondiale nel 2011, l’ucraino, tenuto botta per un’annata, si era poi perso nei meandri di poco dignitose posizioni mondiali che tanto di discostavano dal valore del suo tennis; infatti dopo aver raggiunto il suo best ranking nel gennaio del 2012 (#13) comincia pian piano a perdere colpi fino a toccare addirittura la 59esima posizione mondiale nell’ottobre dell’anno passato. Probabilmente aveva perso il filo del discorso tennisticamente parlando e con il gioco che si ritrova non è difficile a credersi: l’ucraino è un istrione, un tennista naïf che, più che badare alla ricerca del punto, asseconda l’impulso del momento; non ha uno spartito, non segue un filo logico, il suo tennis è bensì frutto di mera improvvisazione, istinto allo stato puro. Lo si può certamente definire un modello unico di giocatore, assolutamente inimitabile; per l’approccio con il quale affronta i suoi match se vogliamo è paragonabile ad un’associazione “no profit”, che non mira al guadagno (nel suo caso a trofei e punti in classifica) bensì al far del bene per il semplice piacere che ne scaturisce; e il conseguente risultato sono folle impazzite, commentatori estasiati e divertiti, una miriade di fan in giro per il mondo, e, specie quando gioca come sta tornando a fare ora, sui social network succede il finimondo. Infiniti sono i gruppi creati in suo onore, tra i più divertenti certamente c’è quello di un commentatore di Eurosport, Federico Ferrero: “La setta raeliana del guru Aleksandr Dolgopolov Jr.”. Beh questo e’ l’effetto che fa il tennis di “the dog”, e che il Dio del tennis ce lo preservi a lungo.

Ma, tornando un attimo sulla terra (!), proviamo a spiegare il perché dell’entusiasmo che sta tornando a generare: nelle ultime tre settimane Dolgo ha disputato tre tornei e ha mostrato qualcosa di diverso rispetto al passato, vale a dire costanza di rendimento e tenuta mentale; a Rio de Janeiro (terra rossa) raggiunge la prima finale stagionale battendo nella sua corsa avversari del calibro di Almagro, Fognini e Ferrer (tutti grandi terraioli a differenza sua); insomma non robetta da poco…tuttavia si dovrà inchinare sul più bello a Rafa Nadal, con il quale gioca una buona partita ma in finale è da sempre uno scoglio quasi invalicabile, specie sul rosso. La settimana seguente nell’altro 500 di Acapulco (cemento) il tuo torneo termina in semi per mano di un ottimo Kevin Anderson, tennista piuttosto pericoloso e molto sottovalutato.

Giungiamo così all’appena concluso torneo di Indian Wells dove chiunque, già stupito dai risultati delle settimane precedenti, si sarebbe aspettato un’uscita prematura del nostro amato circense, ma così non è andata, anzi. E’ proprio nel deserto californiano che Aleksandr sciorina il miglior tennis di sempre raggiungendo la prima semifinale in carriera in un Mille e ottenendo lo scalpo più prestigioso della sua ancor giovane carriera: Rafael Nadal, numero uno del mondo, battuto al tie break del terzo set in sede di terzo turno; e l’ucraino, nonostante l’impresa, mantiene calma e gesso e ha la meglio nei giorni successivi di altri avversari di livello come Fognini (ancora!) e Raonic, prima di cedere a sua maestà Roger Federer in una partita che non c’è mai stata a causa del vento che tagliava in due sia il campo che le certezze del tennis di Dolgopolov, il quale, giocando sempre in pochi centimetri e con altissimo rischio, ha colpi troppo complicati per essere proposti in situazioni ambientali di questo tipo. Dispiace perché sarebbe stata la vera prova del nove per l’ucraino e comunque si sarebbe meritato di giocarsi le proprie carte nella partita finora più importante della carriera.

Ma facendo un passo indietro fa sempre piacere ricordare come ci sia un po’ di Italia nella crescita di questo talento; infatti inizia proprio nel “bel paese” l’esperienza di Aleksandr Dolgopolov nel circuito dei professionisti con una vittoria nel 2007 al Challanger di Sassuolo seguita l’anno seguente da un quarto di finale ad Alessandria e, nel 2010, da due vittorie nei tornei di Orbetello e Como. Nel cuore dei suoi fan c’è invece il quarto di finale raggiunto in Australia nel 2011 dopo aver sconfitto in 5 set l’allora n. 4 del ranking Robin Soderling con il punteggio di 1-6, 6-3, 6-1, 4-6, 6-2. Fu una partita che simbolicamente rappresenta l’identità tennistica dell’ucraino, capace di lampi di gioco incredibili seguito immediatamente da altrettanto incredibili scivoloni; il punteggio stesso di quel match, descrive un andamento che riflette la carriera stessa di Dolgopolov, intrappolato a volte in un tennis troppo imprevedibile per poter essere vincente. Finora i risultati gli danno ragione in parte: sia chiaro che le aspettative sul valore di questo giocatore non debbano essere eccessive (la top ten sarebbe già un risultato incredibile per le sue caratteristiche di gioco), ma dato il modo in cui è capace di vincere alcune partite e battere il n. 1 del mondo (primo ucraino nella storia a riuscirci) è sicuramente lecito pretendere, sportivamente parlando, molto di più in termini di continuità, come ha dimostrato di saper fare in questi ultimi tempi.

D’altro canto in questa generazione la completa maturazione per i tennisti sembra arrivare piuttosto in la’ con l’eta e comunque non prima dei 25 anni (vedi Fognini e Wawrinka tanto per fare due nomi); per cui arrivasse adesso come sembra, almeno in questo non farebbe troppo eccezione rispetto ai colleghi. Qualcosa in più ci si aspetta specialmente nei tornei dello Slam dove i suoi risultati non sono entusiasmanti, per usare un eufemismo: ad eccezione del torneo australiano infatti (nel quale si permise di battere al quinto un certo Tsonga, prima di ripetersi con Soderling) l’ucraino mette insieme un quarto turno a New York e 3 terzi turni tra Parigi e Londra. Probabilmente il suo gioco dispendioso (in termini di gratuiti e pazienza nei confronti di se stesso) deve in qualche modo trovare un punto di equilibrio per poter rendere al massimo delle sue potenzialità. E in questo sembra averlo aiutato molto il suo nuovo coach, ovvero il padre Oleksandr Dolgopolov che prima del figlio ha seguito Andrei Medvedev (quindi non si può dire che sia un novellino), motivo per il quale si può essere ottimisti sulla sua definitiva consacrazione.
Fu proprio Oleksandr a mettere la prima racchetta in mano a “the dog” a soli tre anni e a farlo girare da piccolo per il circuito facendolo palleggiare con gente del calibro di Jim Courier; tuttavia probabilmente ( e fortunatamente per Aleksandr) non raggiunge i livelli di ossessione del padre di Agassi. D’altra parte come coach sta plasmando un giocatore sempre alla ricerca del punto e capace di mixare colpi piatti ad un gioco in back e chop in grado di mandare fuori ritmo l’avversario; una scuola tennistica “vecchia” rispetto ai robot sfornati negli ultimi anni, capaci di eseguire un dato colpo allo stesso modo un’infinità di volte (si tratta di un’iperbole, fino a un certo punto, e comunque a suo modo di un complimento).

In questo senso se Dolgopolov riuscirà a trovare costanza di rendimento e riuscirà a sfoderare i suoi colpi con un po più di margine (come sta chiaramente facendo negli ultimi tempi) senza incappare nei tanti errori che lo contraddistinguono, potremo vedere partire diverse da quelle cui ahimè ci hanno abituato i tennisti della nuova generazione; un giovane tennista con un gioco all’antica insomma; ora la curiosità più grande sarà vedere se finirà di fare “beneficenza” e riuscirà a concretizzare (e monetizzare) tutto il suo talento. Chissà che per farlo non diventi anche lui un po’ regolarista, “ringiovanendo” il suo gioco e manifestandosi infine come “Il Curioso Caso di Aleksandr Dolgopolov”.

Andrea Mario Conte e Orlando Ricciardi

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