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La Germania multietnica tra tennis, calcio e società

Last updated: 20/02/2019 10:44
By Danilo Princiotto Published 17/07/2014
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5 Min Read
La Germania torna in finale di Fed dopo 22 anni

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TENNIS-Il successo nel mondiale brasiliano, della Germania, ha aperto le porte ad ampie riflessioni sul sistema tedesco, a partire dalla molteplicità etnica che caratterizza sia la nazionale che i tennisti teutonici (vedi Brown, Haas, Kerber ecc). Il paradosso di una delle nazioni più nazionaliste di sempre.

 

Minuto numero 112; Germania-Argentina, finale dei Mondiali di calcio: Gotze riceve ai limiti dell’aria piccola un pallone delizioso e insacca alle spalle di Romero. La nazionale è in festa, la Germania è in festa, la Merkel è in festa. Già, Angela Merkel, colei che dal 2005 ricopre la carica di Cancelliera tedesca. Forse la figura più imponente ed influenzante in tutta Europa che, per la cronaca, ha origini polacche (da parte di nonno materno). La Cancelliera, ancora prima della nazionale tedesca, è l’esempio perfetto di come la multietnicità sia entrata a far parte della società tedesca e, nonostante lo spiccato nazionalismo che storicamente ha intriso le menti di ogni tedesco, si sia perfettamente integrata con una nazione rapida, scaltra e, più che mai aperta.

Passiamo al capitolo sportivo: è stato scritto e riscritto in tutte le salse come la Germania sia arrivata al suo quarto successo mondiale con diversi giocatori con origini diverse da quella teutonica, Khedira, Ozil, Boateng, Mustafi (albanese! Una di quelle nazionalità che negli anni 30 era screditata manco fosse la peste), Podolski e anche Klose, il miglior marcatore della storia dei mondiali, hanno acquisito la nazionalità tedesca anche se con origini differenti. Un modello vincente se si getta un occhio ai risultati, almeno nel calcio. In realtà il tennis non è avulso dalla suddetta multietnicità: i vari Haas, Brown, Lisicki, Kerber, Petkovic sono giocatori provenienti dalle più disparate nazioni, Austria, Polonia, Serbia, perfino Jamaica. Prendiamo Brown, ad esempio: il soggetto in questione ha deciso di acquisire la nazionalità tedesca (nazione di nascita e residenza) anche a seguito di mancanza di fondi e supporto da parte della federazione jamaicana, dimostrando la concretezza e utilità del sistema tedesco.

Ma da dove Berlino acquista la definizione di “grande mela europea”? Tra le due storiche ondate di immigrati che hanno stravolto la struttura sociale tedesca riconosciamo anzitutto i  “Gastarbeiter”, cioè i lavoratori ospiti, provenienti soprattutto dall’Europa Meridionale, che nel dopoguerra hanno sfruttato le possibilità lavorative che la Germania offriva per poi ritornare (molti di loro non lo hanno mai fatto) nel paese di origine. E poi abbiamo gli “Auissiedler”, gente di origine tedesca, residente da molte generazioni, nei paesi dell’ex Unione Sovietica e tornata in Germania dopo la caduta del regime comunista. Grosso modo queste due correnti migratorie hanno contribuito a fare della Germania odierna un paese che vede più di 15 milioni di persone con una biografia d’immigrazione.

Ma il paradosso non è questo: il paradosso deriva dal fatto che in un Paese storicamente poco adatto all’immigrazione, come quello tedesco, oggi la società multietnica sia considerata come una risorsa e non come un problema da risolvere. Ed è qui che si instaura la differenza con gli altri paesi (perlomeno con il nostro): non è tanto l’acquisizione della nazionalità che ti fa tedesco, quanto la crescita in un determinato ambiente sportivo che ti crea, ti forgia e ti consegna agli allori. Lo “straniero tedesco” si riconosce nella sua nazione e non viene soltanto adottato per la “causa” sportiva di turno (ciò che lo differenzia dall’oriundo), è tedesco a tutti gli effetti. Va da sé che certe caratteristiche non fanno parte del nostro paese, anzitutto a livello sportivo, dove, tanto per citarne una, episodi di becero razzismo testimoniano l’arretratezza culturale di un paese che si rispecchia poi in un’arretratezza economica. D’altro canto lo sport è sempre lo specchio della società. Che poi, capiamoci bene, non che l’Italia sia un paese razzista nella forma, è la pratica che in realtà ci condanna.

Se questo possa essere un metodo per dare nuova linfa al nostro movimento sportivo è difficile da dire, visto le molteplici differenze sociali e logistiche con i teutonici, fatto sta che il ventaglio di occasioni e opportunità, nel tennis, come nel calcio, come in qualsiasi altro sport tedesco, ha dimostrato di avere un’ampiezza non paragonabile a quello dell’Italia, ma in linea con le grandi nazioni mondiali.


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