US Open: Lo Slam della noia

Statistiche

US Open: Lo Slam della noia

Pubblicato

il

 

TENNIS – Contrariamente a quanto si potrebbe pensare lo slam americano è quello che negli ultimi 15 anni ha offerto meno sorprese rispetto agli altri con i migliori sempre pronti a dominare, come si spiega questo fedele rispetto delle gerarchie a New York?

L’afoso luglio volge ormai al termine e tutti ci apprestiamo a entrare nel vivo delle sfide sul cemento americano che conducono allo Us Open.

Lo slam più incerto, vero? Perché è alla fine dell’anno, perché molti hanno voglia di mettere in cascina l’ultimo major a disposizione, perché i big sono stanchi, perché la superficie è più rapida rispetto all’Australia e quindi i risultati sono meno scontati?

Nemmeno per sogno.

Gli Us Open sono incontrovertibilmente lo slam più noioso degli anni 2000, una fiera dell’ovvio che dal 2000 al 2013 ha portato in finale soltanto 11 giocatori diversi (su 28 posti “disponibili”). E di 11 solo 2 non sono mai stati numeri 1.

Le prove a dimostrazione della tesi che lo Us Open sia il major più ovvio dal 2000 a oggi sono parecchie. Vediamone quattro particolari ma assai significative nello specifico, partendo dall’unica in cui lo Us Open non è in testa.

Vincitori 2000-2013: 9 diversi per lo Us Open (Safin, Hewitt, Sampras, Roddick, Federer, Del Potro, Nadal, Djokovic e Murray), 6 per l’Australian Open (Agassi, Johansson, Federer, Safin, Djokovic, Nadal), 6 per il Roland Garros (Kuerten, Costa, Ferrero, Gaudio, Nadal, Federer), 7 per Wimbledon (Sampras, Ivanisevic, Hewitt, Federer, Nadal, Djokovic, Murray). C’è più alternanza in chi solleva il trofeo quindi, in America.

Questa statistica sfata parzialmente il mito degli Australian Open come slam delle sorprese: infatti ci sono stati vari pluridecorati nel periodo preso in esame, Agassi con 3 successi, Federer e Djokovic con 4. Sul Roland Garros e Wimbledon poco da dire, si sono alternati nomi diversi finchè non sono piombati sulla scena Nadal e Federer a togliere ogni dubbio su chi dovesse monopolizzarne l’albo d’oro.

Come avete letto più volte su questo sito, sono impressionanti le statistiche relative ai Fab Four e in modo particolare rispetto a Federer e Nadal. Un oligopolio che non ha eguali nell’era open: di 45 slam giocati dalla prima vittoria di un Fab Four a oggi (6 luglio 2003 Federer a Wimbledon) ben 40 sono stati vinti dai magnifici quattro, e nello specifico ben 38 da Federer, Nadal e Djokovic e addirittura 31 solo dalla coppia Federer-Nadal.

Finalisti 2000-2013: Soltanto 11 diversi a New York e più recentemente soltanto 3 nel quadriennio 2010-2013, ovvero Nadal, Murray e Djokovic. In Australia ci sono stati 14 finalisti diversi (4 diversi dal 2010 al 2013, i 4 Fab Four); al Roland Garros 14 finalisti diversi (con ben 5 finalisti dal 2010 al 2013 nonostante il dominio di Nadal, che ha quindi cambiato spesso il runner up); a Wimbledon solo 12 i finalisti diversi (4 finali Federer-Nadal, 3 finali Federer-Roddick) con 5 finalisti differenti nel periodo 2010-2013.

 

Numeri uno ATP in finale: Le statistiche più impressionanti riguardo la “prevedibilità” dell’ultimo slam dell’anno sono quelle relative ai numeri uno. Partiamo dai numeri uno in finale. In 14 finali dal 2000 a oggi, sono arrivati all’atto conclusivo a stelle e strisce soltanto due giocatori mai stati numero uno nella loro carriera: due pezzi da novanta però, ovvero Juan Martin del Potro (vincitore 2009, best ranking n° 4) e Andy Murray (finalista 2008 e vincitore 2012, best ranking n° 2).

Molte più sorprese negli altri slam. In Australia ben 7 finalisti non sono mai stati numeri uno, di cui 6 mai top 4: Clement (finalista 2001, B.R. n° 10), Johannsson (vincitore 2002, B.R. n° 7), Schuttler (finalista 2003, B.R. n° 5), Baghdatis (finalista 2006, B.R. n° 8), Gonzalez (finalista 2007, B.R. n° 5), Tsonga (finalista 2008, B.R. n° 5) e Andy Murray. Al Roland Garros, terreno di specialisti, addirittura 9 i finalisti mai numeri 1 al mondo: Norman (finalista 2000, B.R. n° 2), Corretja (finalista 2001, B.R.  n° 2), Costa (vincitore 2002, B.R. n° 6), Verkerk (finalista 2003, B.R. n° 14), Gaudio e Coria (finalisti 2004, B.R. n° 5 e n° 3 rispettivamente), Puerta (finalista 2005, B.R. n° 9), Soderling (finalista 2009 e 2010, B.R. n° 4) e Ferrer (finalista 2013, B.R. n° 3). A Wimbledon invece, poche sorprese, ma sempre più che in America: solo quattro finalisti dal 2000 a oggi non hanno mai raggiunto al vetta del ranking, ovvero Ivanisevic (vincitore 2001, B.R. n° 2), Philippoussis (finalista 2003, B.R. n° 8), Berdych (finalista 2010, B.R. n° 5), Murray (finalista 2012 e vincitore 2013, B.R. n° 2).

Vincitori tra i numeri uno ATP più longevi: Un’altra statistica particolare: dal 2000 a oggi hanno vinto gli Us Open ben 6 giocatori che sono nella top ten dei più longevi per settimane al numero uno del mondo: parliamo di Federer (1°), Sampras (2°), Nadal (6°), Djokovic (8°), Agassi (9°), Hewitt (10°). Insomma, i migliori numeri uno dell’ultimo decennio hanno tutti vinto a New York, mentre lo stesso non si può dire di Wimbledon (negli anni 2000 Agassi non ci ha mai vinto), dell’Australian Open (mancano all’appello Sampras e Hewitt) e del Roland Garros (non ci sono Sampras, Djokovic, Agassi e Hewitt).

Ci sono poi altri dati, un po’ più equilibrati. Uno è quello delle teste di serie numero 1 campioni: sono 6 in 14 finali dal 2000 a oggi negli Stati Uniti (ripetiamo che non si considera il 2014 ancora incompleto), 7 in Australia, 6 a Wimbledon e 2 soltanto al Roland Garros dove il dato è viziato da Roger Federer, spesso numero uno, spesso finalista, ma solo una volta campione e per giunta in una delle poche occasioni in cui si è presentato da numero 2 (il 2009). Nel complesso agli Us open hanno vinto 11 giocatori compresi nelle prime 4 teste di serie: gli altri tre vincitori però sono stati due fuoriclasse come Safin e Sampras e l’unica vera sorpresa negli States degli ultimi 14 anni, Juan Martin Del Potro. Agli Australian Open c’è stata leggermente meno incertezza (12 vincitori compresi nelle prime 4 tds), mentre molto più incerti sono stati sia gli Open di Francia (11 vincitori tra i primi quattro del tabellone, ma anche un n° 20 e un n° 44 come Puerta). Wimbledon è il più regolare con 13 campioni su 14 tra le prime 4 teste di serie, anche se l’unico che non lo era ha vinto grazie a una wild card perché era fuori dai 100, Goran Ivanisevic. Dal 2008 al 2013 però a Wimbledon non ha mai vinto la testa di serie numero 1 (è ri-successo quest’anno con Djokovic), al Roland Garros nello stesso periodo solo Nadal nel 2011 era n° 1 del tabellone, più regolari gli Us Open (2 tds n° 1 campioni) e gli Australian Open dove dal 2008 al 2013 solo due volte non ha vinto il primo del ranking.

Freddi numeri, dicevamo, ma che smentiscono alcune convinzioni popolari, retaggio di altre epoche evidentemente: Australian Open e Us Open negli ultimi 14 anni sono i due slam meno avvezzi alle sorprese. E gli Open degli Stati Uniti in particolare hanno rispettato i campioni del tennis moderno, regalando spesso l’alloro ai numeri uno del momento e riducendo al massimo il ricambio nelle finali, ancora di più negli ultimi quattro atti conclusivi. Nell’ultimo quadriennio 2010-2013, infatti, certe caratteristiche si sono addirittura accentuate: è vero che al Roland Garros ha sempre vinto Nadal e che a Wimbledon non ci sono mai state sostanziali sorprese, ma i finalisti si sono alternati maggiormente e hanno vinto meno numeri uno del tabellone rispetto allo slam down under e a quello a stelle e strisce, ritenuti da sempre i due più adatti ai ribaltoni.

Perché? Le risposte potrebbero essere molteplici.

Di terra rossa ed erba bisogna essere specialisti, per questo emergono giocatori che durante l’anno non hanno la costanza di rimanere ai vertici ma che si esaltano su quelle superfici. Oppure l’omologazione dei cementi ha fatto sì che sia molto più semplice adattarvisi, e quindi è logico che emergano comunque i più forti, che non hanno problemi nel giocare su superfici simili e che trovano sulla loro strada durante tutto l’arco della stagione.

Ancora, si diceva che gli Us Open, arrivando al termine di stagioni spesso estenuanti, potessero per questo accogliere sorprese: ma questo è forse un indizio a favore della stabilità. In condizioni di stanchezza, fisica e nervosa, i migliori fanno spesso valere la loro maggior classe e la loro abitudine a giocare sotto qualsiasi tipo di stress.

Potrebbero essere tante le spiegazioni: fatto sta che fino al 2000 agli Us Open vincevano spesso i favoriti ma riuscivano a issarsi alla finale autentiche sorprese (Martin, Philippoussis, Rusedski, o anche Pioline, Stich, Chang per citare alcuni ottimi giocatori su altre superfici ma non certo campioni del cemento), mentre dal 2000 in poi si hanno più outsider in finale negli altri slam rispetto agli Stati Uniti.

Sarà questo l’anno della svolta? Dopo un decennio di triarchia forse ne avrebbe bisogno non solo lo slam newyorchese, ma tutto il movimento tennis.

 

 

 

 

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement