Tutti nascono pazzi, alcuni lo restano. Il caso di Marat Safin

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Tutti nascono pazzi, alcuni lo restano. Il caso di Marat Safin

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TENNIS PERSONAGGI  – È frustrante quando tutti ti dicono che sei uno dei più ricchi di talento di sempre, ma devi mettere la testa a posto. Molto meglio sentirsi dire che hai una seconda di servizio che fa schifo. Come si lavora sulla testa? E come si fa a non ascoltare gli altri? Ti convinci che è vero: non sei bravo quanto vorresti

A cura di Lorenzo Gandolfi

Spesso l’avversario più difficile da affrontare non si trova al di là della rete, e non gli si può stringere la mano alla fine della partita sperando che il finale del prossimo incontro sarà diverso.
Spesso l’avversario più temibile è lo stesso che sgrana gli occhi riflesso nello specchio della toilette di una fredda camera d’albergo, a notte fonda, prima del meritato riposo al termine di un match impegnativo. Il problema principale è che si tratta di una sfida senza un inizio né una fine, va soltanto giocata.

“Genio e sregolatezza” è un modo troppo semplice di spiegare ciò che di davvero complesso passa per la testa di un predestinato, un soggetto dotato di un qualcosa in più rispetto agli altri, ma che per una serie di ragioni sembra non riuscire a sfruttare appieno il suo potenziale. Jim Morrison mise a repentaglio la carriera dei Doors per colpa di Jimbo ­ il suo alter ego ribattezzato in questo modo dai compagni della band – capace di palesarsi nei momenti di ubriachezza molesta del cantante, ed esistono infiniti esempi riguardanti personalità di diversa estrazione che impegnati nella loro sfida più difficile dimenticano il resto.

Il talento sconfinato di quel Marat Safin capace di stordire ed annichilire un incredulo Pete Sampras in tre set, a soli vent’anni, l’ha obbligato a giocare prima di tutto contro se stesso. Senza nulla togliere a Thomas Johansson ed alla sua vittoria agli Australian Open del 2002, il buon Marat perde quell’incontro la sera precedente, quando il suo solito rivale che non figura in tabellone è ben presente durante i festeggiamenti del suo ventiduesimo compleanno, e nessuno meglio di lui conosce quali sono gli ingranaggi in cui far scivolare qualche granello di sabbia. Vodka e Safinette fanno il resto.

Infortuni e sorte completano un quadro che dà forza al “Jimbo” safiniano, ed ogni volta è sempre più difficile accettare di dover fare diversi passi indietro per poter ricominciare.
Prima che un altro Jimbo a cui piace parecchio stare in televisione portasse Marco Castoldi a diventare giudice di Xfactor, l’altro Marco Castoldi (in arte Morgan) cantava con i suoi Bluvertigo “Sto vivendo una crisi e una crisi è nell’aria ogni volta/che mi sento solo/(…)/so che rimarrò un po’ assente da scuola/forse non andrei nemmeno a lavoro/(…)/molto spesso una crisi è tutt’altro che folle/ è un eccesso di lucidità”, e basterebbero queste poche righe per descrivere il settembre 2007 di Marat Safin.

L’annata non è esaltante, il polso sinistro scricchiola e Marat occupa il numero 28 in classifica ATP quando si avvicinano settembre e la semifinale di Coppa Davis contro la Germania. Lui da forfait e le sue ragioni si possono leggere all’interno di una busta proveniente da Katmandu diretta ai suoi fan. Marat capisce che il problema non è fuori, non è tecnico o tattico, non c’entra il tennis, c’entra solo e soltanto lui.

Il nove settembre il russo si è unito ad una spedizione di connazionali alpinisti con l’obiettivo di conquistare una delle vette “più accessibili” dell’Himalaya, il Cho­Oyu, in tutti i suoi 8201 metri.

Niente di più iconico di una vetta innevata può rappresentare il desiderio dell’uomo di conoscere e misurarsi con se stesso, una dimensione ascetica del viaggio a tu per tu con quella sorta di irrazionale ed autolesionista Penelope che tesse la meravigliosa tela di dritti e rovesci giocati in anticipo e con i piedi sulla linea di fondo, e che la distrugge nottetempo con la stessa sapienza con cui l’ha saputa creare.

Troppo banale il lieto fine che vorrebbe il ritorno del tennista padrone di una nuova consapevolezza e capace finalmente di tornare ai piani alti della classifica, meglio il Marat che si presenta all’avvio della sua ultima stagione con il volto segnato da una rissa che l’ha visto protagonista qualche giorno prima a Mosca, pronto a vivere l’ultimo anno nel circuito ATP come un lungo e rilassato tour d’addio.

“Sapete quante volte alla settimana mi sento ripetere: ‘Avresti dovuto vincere di più’? Ma io me ne frego. Sono stato numero uno del mondo, fra i top­5 per cinque anni, ho vinto due Slam, due Coppe Davis. Se avessi avuto una testa diversa forse non ci sarei mai riuscito”.

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