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Reading: Jerzy Janowicz, quando ogni Paese ha la sua testa… calda! (video)
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Editoriali del Direttore

Jerzy Janowicz, quando ogni Paese ha la sua testa… calda! (video)

L'episodio d'insofferenza da parte di Jerzy Janowicz verso un giornalista del suo paese è solo l'ultimo di una lunga serie, tennisti italiani compresi. L'embargo a Rino Tommasi nel '74 da parte degli eroi di Coppa Davis e l'importanza di scrivere chiaramente quello che si pensa

Last updated: 02/07/2015 12:21
By Ubaldo Scanagatta Published 01/07/2015
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7 Min Read
Jerzy Janowicz (foto Fabrizio Maccani)


📣 Guarda il torneo ATP di Shanghai in streaming su NOW! 

Il direttore Ubaldo Scanagatta commenta la terza giornata di Wimbledon insieme al collega Steve Flink (in inglese).

Ecco invece il video commento del Direttore in italiano.

Jerzy Janowicz, n.47 Atp oggi, ma n.14 nell’agosto 2013, era l’unico tennista polacco nel tabellone maschile (tre invece le ragazze, le due Radwanska più Magda Linette). Ma ha perso al primo turno dal turco Ilhan, 7-6 6-4 6-7 6-3, e come è arrivato nella piccola sala interviste ha visto un giornalista della rivista Tenisklub, Adam Romer – un mio vecchio amico – e gli ha detto a muso duro: “Lascia questa stanza!”. L’episodio mi ha ricordato analoghi episodi accaduti con più d’un tennista italiano. Con me, con altri colleghi, anche alcuni che avevano l’unico difetto di collaborare con Ubitennis…

Naturalmente Adam Romer si è ben guardato dall’uscire da quella stanza (“Non ci penso nemmeno, sono qui per fare il mio lavoro”) e per tutta risposta allora – anche se Romer non ha fatto alcuna domanda – Janowicz ha preso a rispondere solo a monosillabi, “sì, no, non so, vedremo”, a qualsiasi domanda gli venisse rivolta. Scene già viste, peraltro. L’episodio è stato raccontato nei loro media da diversi giornalisti polacchi, solidali con il collega. E, da quanto ho poi appreso, alle prese in passato con varie bizze del capriccioso n.1 polacco. “E’ un testa calda…” me l’hanno dipinto, paragonandolo ad altri giocatori dalle caratteristiche abbastanza simili.

In Polonia – dove il tennis è ultimamente diventato molto popolare soprattutto grazie alle imprese (ora un po’ affievolitesi) di Agnieszka Radwanska ma indirettamente anche di Caroline Wozniacki e Angelique Kerber – Adam Romer è diventato un “piccolo eroe”, tutte le radio e le tv hanno parlato di lui, e in patria è oggi molto più conosciuto di quanto lo fosse fino all’altro ieri. Alcune centinaia di nuovi followers hanno preso a seguirlo. Ho saputo anche che quest’anno la Federtennis polacca aveva scelto di affidare proprio alla stessa rivista di Romer – ma non a lui personalmente – l’ufficio stampa del match di Coppa Davis Polonia-Lituania.

Janowicz, che nel 2014 ha certamente subito delle critiche per il suo crollo da n.14 a n.40 e più giù, si imbufalì: “Se date a Tenisklub l’ufficio stampa io non gioco!”. La federtennis polacca – tutto il mondo è Paese – si impaurì. Tolse allora l’incarico alla rivista Tenisklub. Non facendoci gran figura… ma raggiungendo l’obiettivo di vincere l’incontro contro il Paese del solo Berankis. Quando si dice Real Politik. Poi, per farsi perdonare in qualche modo, la Federtennis polacca ha però in seguito deciso di assegnare l’ufficio stampa di un match di Fed Cup a Tenisklub.

I rapporti fra giornalisti e giocatori del proprio Paese sono sempre stati complicati, fin dai tempi in cui Bjorn Borg concedeva interviste a tutta la stampa internazionale, ma non a quella svedese. Idem Ilie Nastase con quella rumena. E per un periodo Mikael Stich con i tedeschi, forse anche Boris Becker. Anche i nazionali azzurri che vinsero la Davis nel ’76 avevano decretato il loro ostracismo a Rino Tommasi nel ’74, perché Rino aveva sottolineato che la sconfitta patita a settembre in semifinale in Sudafrica contro un team di quasi vecchie glorie (Hewitt e McMillan erano fortissimi in doppio ma né loro né Ray Moore erano forti in singolare) era figlia delle vacanze in Sardegna cui i nostri giocatori – unici al mondo a non giocare mezzo torneo per tutto agosto – non avevano saputo rinunciare, presentandosi quindi a Johannesburg senza gare alle spalle. Vittime di piena desuetudine agonistica giocarono malissimo, battendo tutti i record di doppi falli in altitudine, ad Ellis Park. Non ricordo con esattezza i numeri, ma furono circa una ventina di doppi falli a testa quelli commessi da Panatta e Zugarelli, prescelti quali singolaristi da Mario Belardinelli, padre putativo dei nostri “moschettieri”.

I tennisti, quasi tutti, sono sempre molto suscettibili alle critiche che ricevono. Anche quando sono giustificate. Di solito non aiuta l’ambiente che sta a loro attorno, quasi sempre pronto a sobillare, a istigare frizioni (anche perché tante volte i tennisti non leggono, ma ascoltano chi ha letto e riferisce come gli pare, come crede di aver interpretato). Decine di volte, in 40 anni di professione, mi è toccato sentirmi dire da un giocatore, “perchè hai scritto questo e quest’altro?”. Al che io chiedevo: “Ma tu hai letto l’articolo?”. Il più delle volte la risposta era: “No!”. Quanto più un giornalista è indipendente, critico e non ruffiano, tanto più viene odiato. Certo, ad esempio, se io non avessi scritto – perché lo pensavo – che “regalare” demagogicamente 400.000 euro a Francesca Schiavone per il suo trionfo al Roland Garros nel 2010 mi sembrava un gesto da evitare e quasi immorale (Francesca ovviamente non aveva nessuna colpa se glielo avevano offerto e se aveva accettato: chiunque avrebbe accettato al suo posto), anche se io come tutti avevo esultato come un semi-invasato nel momento in cui lei aveva colto quel grande exploit, beh…. potete star certi che Francesca Schiavone mi avrebbe trovato più simpatico. Idem Fabio Fognini se io non avessi sottolineato più volte, come a Montecarlo 2014 nel corso del suo match con Tsonga, certi suoi comportamenti oggettivamente esecrabili, certamente non esemplari. Chi aveva necessità di conquistarne le grazie, magari per strappargli una futura intervista, fu più “buonista”.

Ma, a mio avviso, chi fa il mio mestiere deve avere il massimo rispetto soprattutto… per il mestiere che fa, per le proprie opinioni anche se scomode e per i lettori che lo ritengono credibile proprio perché lo ritengono capace di esprimere idee autonome e indipendenti.


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