Patty Schnyder, guerriera fragile, torna in campo a 36 anni

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Patty Schnyder, guerriera fragile, torna in campo a 36 anni

La 36enne svizzera, ex numero 7 del mondo, torna a giocare un torneo professionistico a quattro anni dal ritiro. Ripercorriamo la sua travagliata storia personale, dalla quale la Schnyder sembra potersi essere completamente ripresa

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L’ufficialità si era già avuta il mese scorso: Patty Schnyder tornerà a calcare i campi del circuito, seppur minore, del tennis mondiale. Grazie ad una wildcard, la 36enne svizzera parteciperà al Reniert Open, torneo ITF tedesco con montepremi di 25.000 dollari: tra le avversarie che la Schnyder dovrà fronteggiare per tornare a mettere in borsa punti validi per il ranking ci saranno, tra le altre, Jabeur, Oprandi e Voracova. Al primo turno troverà Sophia Kovalets, qualificata ucraina di quindici anni più giovane. Il matrimonio con l’attuale compagno Jan Heino, e i buoni risultati nella German Bundesliga di cui ha fatto parte recentemente hanno convinto la Schnyder a tuffarsi nuovamente nelle competizioni che contano.

Non si vincono 11 titoli in singolare per caso, né si tratta di fortuna se come best ranking si ottiene il settimo posto WTA. Patty Schnyder ha sempre rispecchiato fuori dal campo il suo stesso stile di gioco, fatto di variazioni e tagli, cambi di ritmo e fendenti in contropiede che insieme al suo mancinismo fecero sprecare paragoni con John McEnroe quando l’elvetica era al top della propria carriera. Una tecnica superiore ma a tratti ingestibile, parallela ad una serenità personale che a diciassette anni la Schnyder decise di mettere a repentaglio. “Ho un fidanzato perfetto, una bella carriera, amici, una famiglia. Non mi manca niente” diceva mentre teneva la mano al suo compagno di allora Petr Tschudin; la Svizzera e il mondo intero sparavano i propri riflettori sulla stella Martina Hingis, numero uno e regina indiscussa di tutto il movimento tennistico, mentre la Schnyder si godeva la sua normalità dorata. Poi all’improvviso lo scossone, come un immaginaria frustata di polso per trovare un’uncinata stretta di dritto, una delle sue: l’incontro con Rainer Harnecker, un guaritore tedesco di 42 anni che di fatto prende il controllo sulla vita della giovane campionessa. Emblematiche le parole di Robert Finn sul New York Times, nel 1999: “La principessa del tennis e il suo guru hanno scelto un tavolo al sole, consumano un pranzo a base fagioli, verdure e succhi di guava. Secondo il suo ex allenatore, il suo ex preparatore atletico e i suoi ex genitori (visto che l’hanno messa alla porta) la tennista ha subìto un lavaggio del cervello ed è stata virtualmente rapita. Rainer Harnecker, guaritore tedesco, è sotto inchiesta in Germania per aver praticato medicina alternativa senza le dovute autorizzazioni”. Il santone era infatti ricercato dalle autorità tedesche per aver sottoposto una paziente malata di cancro ad una sua terapia, a base di dieta vegetariana ed effetti placebo di ogni sorta, che aggravarono le condizioni della donna, fino a portarla al decesso.

Patty crolla, sia per peso che per risultati, trascinata in una misteriosa spirale da quello che diventa prima il suo coach, poi il suo compagno: visibile il deperimento muscolare, dovuto anche alle idee di Harnecker che ritenevail succo d’arancia una panacea contro qualsiasi male, compresi AIDS e formazioni cancerose, e invece portarono la sua protetta (se così si può definire il loro rapporto) al decadimento, che la stessa Schnyder avrebbe voluto descrivere nel suo libro “The White Mile”, precursore della stampa tennistica pseudoscandalistica che ha trovato la ribalta con “Open” di Agassi, ma ancora non uscito sul mercato a causa di ulteriori spallate che la vita della semifinalista di Melbourne 2004 (miglior risultato Slam) ha sofferto. La stessa famiglia che l’aveva minacciata di disconoscerla, infatti, le mette sui talloni l’investigatore privato Rainer Hoffman, ex professionista di biliardo: Hoffman lavora così bene da sostituirsi al Rainer precedente, depurando la vita della Schnyder dalla guava e dall’oppressione del guaritore, e allontanando le nuvole dal cielo tennistico della svizzera: Patty sposerà Hoffman nel 2003, dopo che quest’ultimo era stato incriminato e condannato per frode ai danni di una compagnia telefonica tedesca, e pochi mesi dopo centrerà il già citato piazzamento in Australia. Nel mentre, il ritorno ai livelli che le sarebbero stati consoni più a lungo, la vittoria al Tier I di Zurigo nel 2002 sulla Davenport, fino al 2005 in cui conquista cinque finali, vincendone due (Gold Coast e sopratutto Cincinnati, da testa di serie numero uno). L’ultimo acuto a Singapore nel 2008, con il fragoroso successo su Tamira Paszek in una finale in cui smarrisce appena tre games. L’addio arriva nel 2011, in seguito ad una inopinata sconfitta al primo turno del Roland Garros contro Sorana Cirstea per 6-1 6-3.

Non ha comunque smesso di stupire, Patty, adesso con le sue dichiarazioni piuttosto che con le sue improvvise accelerazioni con cui infilava le avversarie chiamate a rete con un dropshot: quando a Novembre dello scorso anno diventò mamma, si rifiutò di far sapere chi fosse il padre della piccola Kim-Ayla, appoggiandosi ad un sognante ma serafico: “Ci stiamo godendo questo bellissimo momento”. Così come sorprendente è stato il declino personale che fino ad oggi l’aveva accompagnata, oppressa da debiti che scollinano oltre i 300mila franchi svizzeri, a fronte di più di 4 milioni guadagnati in carriera.

Che non fosse una ragazza ordinaria lo si capiva già dal suo modo di giocare. Che potesse aspirare a diventare una protagonista del firmamento tennistico lo si poteva comprendere quando nel ’95 scalò oltre 600 posizioni in classifica, e due anni dopo, diciannovenne, abbattè il muro della Top10. Che potesse tornare a competere, dopo le burrascose vicende della sua vita, si poteva solo sperare, e adesso per vederla ad alti livelli, non resta che sperare ancora.

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