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Belgio sotto protezione, i due Murray sono al gelo (Boldrini). Intervista alla Schiavone: “I miei piccoli tornei con lo zaino in spalla” (Rossi)

Last updated: 25/11/2015 12:36
By Alberto Giorni Published 25/11/2015
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9 Min Read


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Belgio sotto protezione, i due Murray sono al gelo (Stefano Boldrini, Gazzetta dello Sport)

L’ultima vittoria della Gran Bretagna in Coppa Davis risale al 1936. La finale più recente è datata 1978. Ritrovarsi 37 anni dopo a giocarsi il trofeo in casa del Belgio è un evento quasi storico, ma è la Storia con la maiuscola, quella dei giorni nostri, che sta oscurando l’aspetto sportivo e caricando di significati diversi l’evento: l’angoscia del terrorismo. Il Belgio è sotto assedio. Bruxelles è una città in stato di guerra. Le scuole sono chiuse. Il calcio lo scorso fine settimana è stato fermato. I giornali internazionali descrivono il paese come Belgistan, una terra al centro dell’Europa dove sono stati allevati potenziali jihadisti e da dove, secondo le stime ufficiali, sarebbero partiti in 380 per andare a combattere in Siria.

Eppure, la finale di Coppa Davis si giocherà. Ok, Gand — la seconda città del Belgio per numero di abitanti — è lontana 56 km da Bruxelles, figurarsi però se queste distanze possono essere considerate rassicuranti. Ma è stato deciso di andare avanti seppure come è logico attendersi, con la cornice scontata di poderose misure di sicurezza che porteranno a perquisire tutti gli spettatori che affolleranno la Flanders Expo per seguire i tre giorni di gare, da venerdì a domenica. L’impianto pub accogliere tredicimila spettatori, ha ospitato i concerti delle rock star mondiali come U2, Tina Turner, Elton John, Simple Minds, Paul McCartney e nel 1988 è stata sede della Final Four della vecchia Coppa Campioni di basket vinta da Milano a spese del Maccabi Tel Aviv. La squadra britannica, atterrata in Belgio lunedì pomeriggio, con un giorno di ritardo per questioni legate alla sicurezza, ha definito l’impianto «freddo, una specie di frigorifero». Ed è il gelo, paradossalmente, il problema numero di questa finale.

Lo scozzese Andy Murray, 28 anni, è l’uomo di punta. Suo fratello Jamie, 29 anni, lo affiancherà nel doppio. Anche il capitano è scozzese: Leon Smith. L’intera squadra è composta da quindici persone: sette giocatori, il capitano, due coach, un preparatore atletico, un fisioterapista, l’addetto stampa, un incordatore di racchette e un collaboratore. Murray ieri ha usato parole rassicuranti: «Qualche giorno fa eravamo preoccupati, ma qui è tutto tranquillo. Ci sentiamo a nostro agio. A Gand mi pare tutto ok. L’unico problema è il freddo. Si gela». Jamie Murray ha aggiunto: «Quello che è accaduto nei giorni scorsi ha creato apprensione, ma siamo pronti per giocare». Ma la questione di sicurezza in Belgio resta il problema principale del Paese tant’è che la partita Bruges-Napoli di Europa League di calcio sarà giocata a porte chiuse. Proteggere una squadra di quindici elementi non richiede un’impresa titanica: il problema maggiore sarà garantire la sicurezza ai milletrecento tifosi in arrivo dalla Gran Bretagna (…)

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Intervista alla Schiavone: “I miei piccoli tornei con lo zaino in spalla” (Paolo Rossi, La Repubblica)

Pasionaria. Rivoluzionaria. Di Francesca Schiavone s’è detto tutto e il contrario di tutto: prima Slammer (Roland Garros 2010), migliore azzurra di sempre: n.4. E oggi, a 35 anni, che fa? Si ritira? «Vi posso già dare il titolo: io non mi ritirerò mai». Ma la Permetta, la Vinci… «Flavia l’aveva già deciso. E Robertina… lo voglio vedere…». Ma quei capelli bianchi… «Assai… ma da due anni…». E non si ritira, neanche dopo un 2015 mogio mogio. «Qualcuno mi ha detto: gli artisti hanno il 250% in più delle frustrazioni della vita. Tocchi il cielo, ma vivi anche questo». Cosa ha vissuto? «Sono stati anni così tosti, così duri, che si mi guardo allo specchio oggi mi stringo la mano, me la batto sulla spalla». Vincere uno Slam, e poi… «Una volta realizzato il sogno devi essere bravo a trovare un altro. A trovare nuove motivazioni». Ma i Federer/Djokovic/Nadal? Come fanno? «Altra educazione». Quindi è caduta. «Succede se non sei bravo a saper vivere quel momento, a saperti proteggere, a volerti bene, a crescere e poi affrontare una nuova stagione della vita».

Come è cominciato? «Piano piano, che quasi non te ne accorgi. Difficoltà mie personali, poi scelte sbagliate». E la classifica ne risente. «La classifica scende. Poche partite vinte, il livello di frustrazione sale alle stelle». E i rimedi? Quali sono? «Ci sono due modi di vivere questo. Il primo: sono 125 del mondo, ma cosa sto facendo? Guarda dov’ero… chi me lo fa fare, ho 35-36 anni, non mi va di vivere in hotel cosi, risentire quella frustrazione, giocare per dodici persone». E il secondo? «Tornare a sentire te stessa, giocare con emozione, sentire il tuo sudore. Desiderare di farlo in pace con te stessa. Perché non è un numero che fa differenza, la differenza la faccio io, nel momento in cui sento che mi emoziono». Immagino che abbia scelto la seconda opzione. «Non so quante persone sarebbero oggi qui. Ad affrontare un torneo da 100mila dollari. A volersi mettere lo zainetto sulle spalle e giocare una qualificazione di uno Slam».

Una scelta non di comodo. «Oggi scelgo, per il 2016, di voler fare cose straordinarie. Voglio il record dei Grand Slam giocati, 62 consecutivi, e giocare anche i tornei piccoli, con lo zainetto in spalla». Cos’è successo? «Succede che riordini la tua vita, cambi team e persone nuove, con la gioventù che porta energia. Energia pura». Un bel messaggio. «Il tennis mi ha dato tantissimo. È arrivato il momento di trasmettere di dare ciò che conosco e ho ricevuto. Una cosa bellissima». Le è scattato un clic. «Me ne sono resa conto a luglio: iniziavo a guardare l’altro dall’altra parte della rete. La cosa mi ha stuzzicato, e mi si è aperto un mondo. L’accorgermi dei difetti ha fatto venire la voglia di allenare». Attenzione… «Piano… rispetto al passato, ho cambiato approccio. Prima magari mi facevo i fatti miei, ora scambio due chiacchiere con i giovani, faccio domande. Mi piace vedere cosa succede dall’altra parte» Allenare… «Dovessi iniziare un progetto, penso che dal ragazzino vada tirato fuori il meglio. E poi la forza fisica, far vedere al ragazzo il campo a 360°». Si avverte la passione. «Sono cose stupende, di cui prima non m’accorgevo. Ecco, io riparto con questa visione. E voglio prima di tutto amare me stessa, e poi quello che faccio».

Il 2016 è dietro l’angolo. «Sogno di essere, voglio essere la rivale di Serena Williams. Ecco, quando lo leggeranno diranno che sono fuori di testa». Le arriverà qualche whatsapp dal gruppo magico. «Il gruppo whatsapp con Pennetta, Errani e Vinci. Mai far leggere i nostri testi». Un’iniziativa simpatica. «Sarà l’età, quello che è successo, la gioia che ho sentito, la curiosità di starle dietro, il dare carota e bastone, caratteristica del mio rapporto con loro, ma ora ha un significato diverso rispetto a prima. Io più morbida, elastica. Ci tengo. Siamo cresciute insieme. Avere una chat in comune è per stimolarsi, chiedere aiuto, confrontarsi (…)


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