Editoriali del Direttore
Andy Murray merita di essere dietro a Djokovic ma davanti a Federer
Se Novak Djokovic è stato l’indiscutibile n.1 dell’anno, per la posizione n.2 c’era incertezza fra Roger Federer, finalista in due Slam e battuto solo da Djokovic, e Andy Murray, molto continuo nelle sue performances. La vittoria in Coppa Davis ha spostato l’equilibrio a favore delo scozzese?

GENT – Andy Murray ce l’ha fatta. Ha vinto quasi da solo una Coppa Davis, come Bjorn Borg nel ’75, più di come la vinsero John McEnroe nell’82 e Mats Wilander nell’83 che pure avevano vinto tutti i loro otto singolari. Ma non avevano, a differenza di Borg e Murray, il n.100 del mondo come n.2 del proprio team. Lo scozzese è anche il primo a vincere tutti e tre i confronti della finale, singolari e doppio, da quando ci riuscì Pete Sampras in Russia (quando battè Chesnokov uscendo dal campo delll’Olimpic Stadium di Mosca portato via a braccia e con i crampi alle gambe, battè anche Kafelnikov e trascinò alla vittoria nel doppio Todd Martin…anche i russi avevano giocato la carta del campo indoor in terra battuta e lentissimo per mettere in difficoltà il n.1 americano). Insomma si tratta di un’impresa comunque tutt’altro che banale – i britannici qui vicino a me la definiscono storica se si pensa che nel 2010 dovevano giocare contro la Turchia per non finire in serie D e poi giocarono con la Tunisia in C- e per il modo in cui Andy l’ha centrata. Se l’anno scorso Roger Federer meritò i plausi di tutto il mondo per aver finalmente conquistato la Coppa Davis per la Svizzera, ma aveva al suo fianco un signor giocatore come Stan Wawrinka, quantomeno lo stesso metro di misura e identico merito va dato anche a Andy Murray.
Ora tutti i Fab Four hanno vinto la Coppa Davis e sono…eroi nazionali, se mi concedete l’iperbole. Del resto non lo diventarono un po’ anche i nostri “moschettieri azzurri”, Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che pure, un po’ come i britannici qui contro i belgi che avevano il solo Goffin n.16 mondiale di primo livello, affrontarono e batterono in finale il Cile (1976) di un ottimo Jaime Fillol ma anche di un modestissimo Pato Cornejo? Chi ha avuto la pazienza di seguirmi sul Twitter di Ubitennis ed ha magari ascoltato anche l’audio registrato con Steve Flink – della cui qualità mi scuso, la voce di Steve gracchia ma perchè lui si trova a New York e qui in questo capannone era complicato anche registrare senza disturbare centinaia di colleghi – sa già come la penso. Andy Murray meritava questa soddisfazione. E’ il n.2 del mondo e se magari quest’anno ricordando che Roger Federer ha perso due finali di Slam, Wimbledon e US Open dall’imbattibile Djokovic (che peraltro lui ha battuto 3 volte e non una sola come Murray a Montreal) potevo pensare che lo svizzero avrebbe meritato più di Andy il secondo posto, beh forse alla luce di questa Copp Davis vinta da solo, singolare e doppio, forse mi sembra giusto cambiare idea senza per questo mancare di rispetto alla straordinaria annata vissuta dal trentaquattrenne campionissimo svizzero. Ma il 2015 verrà ricordato anche per la decima Coppa Davis vinta dalla Gran Bretagna grazie al suo matchwinner Murray, e insomma…come dimenticare che erano 79 anni che ciò non succedeva?
Oggi Goffin le ha provate tutte e ha giocato anche piuttosto bene, debolezza congenita del servizio a parte: mettere dentro soltanto il 51% di prime palle contro uno che risponde come Murray non è concepibile. Nel senso che nessun se lo può permettere. Vuole dire giocare la metà dei punti sul proprio servizio soffrendo. Goffin non avrebbe dovuto puntare, a mio avviso, a fare gli aces che non sa fare – ne ha fatti solo quattro – ma avrebbe dovuto cercare di battere più prime a tre quarti di velocità, evitando quanto più possibile il rovescio di Andy che sulle seconde ci si avventava sopra come un leone famelico. Invece non lo ha fatto e sulla sua “seconda” Andy faceva tre passi in avanti, arrivava quasi a due metri dalla riga del servizio, e aggrediva il belga fin dal primo colpo. Un errore anche tattico il suo, oltre che tecnico. Il capitano Van Herck avrebbe dovuto farglielo presente. Però se sotto il profilo tecnico Goffin ha anche scontato la propria incapacità a giocare le palle corte – non ne ha indovinata una! E ne avrebbe altrimenti dovute fare molte di più invece di tentare di sfondare il miglior difensore del mondo (ex aequo con Djokovic) – Bemelmans ne aveva fatte più di 20 venerdì contro lo scozzese! – per il resto mi pare si possa dire che il biondino belga dall’aria da bravo ragazzo, così perbenino, ha fatto quello che poteva. Ha retto da fondocampo anche troppo, con il suo gioco più leggero. Certo qualche volta è finito fuori giri, ma con Murray che al momento buono metteva sempre a segno un ace (12) o un servizio vincente, era dura, molto dura. Per lui quasi impossibile. Infatti ha perso 3 set a zero anche se li ha lottati tutti e tre e se soltanto nel terzo si è permesso di strappare per l’unica volta la battuta a Murray (cedendo però subito dopo la sua…il che testimonia anche la grande solidità mentale di Murray) non si può davvero dire che abbia giocato male. Il dato statistico più significativo, alla fine, è quello più banale: Murray ha fatto 19 games e Goffin 11. Una bella differenza. Goffin ha giocato tuttavia quasi al massimo delle sue possibilità contro lo scozzese che ha vinto quest’anno Madrid battendo Nadal e che aveva raggiunto, per la terza volta, le semifinali al Roland Garros. Mica una soltanto. Perfino quando è passato a condurre 2-1 nel terzo, con quell’unico break, ha dato la sensazione di potersela ancora giocare, anche se non è sempre…venerdì. Venerdì aveva rimontato per la prima volta un handicap di due set a zero. Ma Edmund non è Andy Murray. “Se voglio diventare un top-ten devo migliorare il mio tennis in anti aspetti. Devo servire meglio per prima cosa..Devo diventare più aggressivo …”. In realtà non è che David non lo fosse, ma non seguiva quasi mai a rete i suoi affondi, e con Murray che recuperava anche l’impossibile perchè correva come un centometrista, e quindi doveva chiudere il punto 4 volte per farne uno. Chiaro che alla fine non potesse non incorrere in errori solo apparentemente gratuiti.
A celebrare il trionfo britannico erano venuti qui, su oltre 200 giornalisti accreditati internazionalmente, una sessantina di inviati fra stampa scritta, fotografi e radiocronisti. Oltre cento invece gli inviati (senza contare i tecnici) delle due tv che avevano i diritti tv, Bbc e Eurosport, più altre sette network televisivi con tutte le loro troupes. Insomma per il Regno Unito un evento davvero storico nel weekend in cui un pugile inglese, Tyson Fury, ha anche conquistato il titolo mondiale dei pesi massimi, primo dai tempi di David Haye. Murray si era eccitato a vederlo in tv e oggi i pugni decisivi li ha tirati lui al povero Goffin.
Il colpo con cui Andy Murray ha chiuso l’incontro e tutta la stagione tennistica dei grandi, un lob liftato magnifico dopo l’ennesimo recupero fantastico, potrebbe essere il colpo dell’anno. Un simbolo a sigillo del miglior anno di Andy Murray che chiude per la prima volta da n.2. Un risultato, ripeto, che mi pare meritato. E ciò anche se il passante in corsa con il qualeha chiuso il secondo set è da cineteca. Fantastico, così come altri passanti da posizioni impossibili che hanno dissuaso ulteriormente Goffin dall’affacciarsi a rete.!
Leon Smith, il capitano che Andy aveva praticamente imposto 5 anni fa – perchè Leon era stato il suo coach dacchè lui aveva 5 anni fino agli 11 e Leon esordì proprio in quel match che servì ad evitare la retrocessione in serie D- ha definito questa vittoria come una vittoria di squadra. Beh, più che a quest’anno quando è stato Andy ad essere decisivo, Leon si riferiva probabilmente anche agli anni passati, ad esempio al 2103 quando in aprile anche Evans e Ward rimontarono la Russia che conduceva 2-0.
Va detto infine che se battere il Belgio può non essere considerata un’impresa storica – se fosse stato il primo turno nessuno ci avrebbe fatto gran caso – la Gran Bretagna aveva avuto in tempi non troppo lontani due giocatori arrivati al quarto posto delle classifiche ATP, Henman e Rusedski, e quindi se ha avuto fortuna quest’anno era stata abbastanza sfortunata in passato con i sorteggi ed alcune sfide. Non avevano vinto una Davis dal 1936 eppure avevano avuto ottimi giocatori come Mike Sangster e Mike Davies, come Mark Cox e Roger Taylor, e anche John Lloyd non era stato un cattivo giocatore (finalista all’Australian pen 1977, quando quel torneo però era la gamba zoppa dei 4 Slam, secondo una felice definizione di Rino Tommasi).
Scrivo tutto questo perchè chi dicesse che l’Italia non ha avuto la fortuna della Gran Bretagna, dovrebbe avere anche l’onestà di ammettere che purtroppo tutti quei buoni giocatori noi, dai tempi dei 4 moschiettieri azzurri che vinsero in Cile, non li abbiamo più avuti. Quindi, insomma, ci meritiamo quel che ci meritiamo. Se poi l’anno prossimo, stante le varie indisposizioni dei Fab Four ormai appagati, ci girasse tutto per il verso giusto…meglio no?
Editoriali del Direttore
Roland Garros: ma Sinner sapeva che nei quarti poteva incontrare Medvedev? Un martedì da leoni, emozioni indicibili, Vavassori, Zeppieri, Monfils
Tutte pernici ieri al Roland Garros. Maratone con rimonte incredibili, battaglie all’ultimo sangue, spettacolo continuo. E il tennis italiano, 3 vittorie su 4, 11 su 15 al primo turno, si è fatto onore

Era solo il primo martedì del Roland Garros 2023, ed è stato un martedì da leoni. Sì, una di quelle giornate – peraltro dopo le tante maratone già seguite domenica e lunedì – che chi le ha vissute non potrà mai dimenticarle. È la forza di questo straordinario sport. Sempre più popolare perfino quando si rischia di essere soffocati dalla troppa folla, dalle troppe code attorno ai campi aperti ai possessori dei cosiddetti biglietti “annexes” o “ground”. Meglio queste code, tuttavia, di quelle che si devono fare ai servizi igienici del Foro Italico…che sono tutto fuorchè igienici. Non mi stancherò mai di sottolinearlo. Prima o poi spero che qualcuno ci metterà mano. Diego Nepi, ci pensi tu?
Giornate di emozioni indescrivibili, anche perché ci vorrebbero ore e ore per raccontarne una minima parte. Sia che fosse un appassionato italiano, o anche un serbo seppure con minor gioia e felicità, quelli che hanno visto e sofferto per 5 ore e 10 minuti l’epica battaglia sul campo 8 fra Vavassori e Kecmanovic, non la dimenticheranno. Papà coach Vavassori, e non solo lui, avrà rischiato l’infarto con i 4 matchpoint annullati al serbo nel terzo set e poi pure con il quinto nel terzo tiebreak consecutivo. La partita – ricordo a chi non avesse letto la cronaca puntuale – si è conclusa soltanto al ventesimo punto del tiebreak finale. E’ stata una delle più incredibili rimonte…almeno fino a quella ancora più pazzesca che ha concluso la nottata ben dopo la mezzanotte…
Sì, alludo a quella vinta da Gael Monfils, il più showman degli showman, e talvolta con eccessi border-line –come ricorderanno tutti coloro che videro quel quarto di finale dell’US open di qualche anno fa che fu vinto da Matteo Berrettini – che alla fine sono costati cari al malcapitato argentino Baez. Già stato vittima di Zverev qui al Roland Garros nel 2022: si era procurato, invano, il matchpoint. Stamattina è rimasto vittima – quando era calata la notte e si era fatto anche molto freddo dopo una giornata invece caldissima come tutte queste prime tre degli Internazionali di Francia – di una atmosfera divenuta per contrasto assolutamente incandescente.
Monfils, in vantaggio due set a uno, aveva perso il quarto set 6-1 e si trovava sotto 4-0 30-40 nel quinto. Insomma aveva fatto un solo game su 11. Non so come abbia fatto, giuro, ma sebbene avesse la testa sott’acqua, è riuscito miracolosamente a risalire la corrente. Certo il pubblico letteralmente impazzito per lui gli ha dato un’incredibile energia. Lui che era rimasto praticamente fermo e senza tennis da un anno per i vari acciacchi fisici. Eppoi mica è più un ragazzino mr Svitolino. Non c’è oggi che spenda più di lui con quel suo tennis da “rematore” di fondocampo eppur anche con quelle incredibili improvvise accelerazioni, cambi di ritmo, dropshots, tutto un repertorio imprevedibile e affascinante.
Ma alla fine, in mezzo al delirio collettivo e nonostante i crampi che sembravano averlo implacabilmente attanagliato, è riuscito ad evitare il supertiebreak nel quale avrebbe probabilmente finito per soccombere. Se non faceva scena, se non recitava come tante altre volte – lui che ha vinto al Roland Garros 11 volte al quinto set su 15 – sembrava non reggersi proprio più in piedi. E invece, ancora una volta, ha finito per vincere 7-5 al quinto. Pazzesco! Non so chi abbia visto i francesi sullo Chatrier…sembravano tutti fuori di testa. Come dicevo partita davvero indescrivibile. 3 ore e 51 minuti di lotta furibonda, tremenda, appassionante. Una meraviglia indimenticabile. Anche se gli argentini preferirebbero dimenticarla.
Quindi dopo i tifosi italiani e serbi, anche gli appassionati francesi e argentini hanno vissuto emozioni grandissime. E che dire allora di quegli altri italiani che hanno seguito per 5 set e 3 ore e 20 minuti Zeppieri e contro quel matto di Bublik? Ci sarà stato anche qualche tifoso kazako no? Io la partita l’ho rivista un po’ su Discovery Plus, che ce la fa vedere tutte. E di cui su Ubitennis ritrovate gli highlights.
Ma vogliamo parlare di quanto successo per 4 ore e un quarto fra il campione di Roma nonché n.2 del mondo Daniil Medvedev e un brasiliano, Thiago Seyboth Wild, che in tre apparizioni al Roland Garros aveva sempre perso al primo turno delle qualificazioni?
Beh, era dai tempi delle tre vittorie di Guga Kuerten a Parigi che la torcida brasileira non godeva così. Sotto di due set a uno, il ragazzo di 23 anni, ex speranza mondiale junior che giocava soltanto il suo secondo Slam dopo quello disputato nel 2020 a New York, ha rimontato e battuto il russo che aveva scalzato Djokovic dalla seconda posizione mondiale. Medvedev grazie all’inatteso trionfo romano su una superficie che non ha mai fatto mistero di non amare _”Meno male che la stagione sulla terra battuta è finita” ma non è che quella sull’erba lo ispiri troppo di più – aveva reso possibile il maligno sorteggio che ha messo nella stessa metà del tabellone i due principali favoriti del torneo, Alcaraz e Djokovic.
I due giocheranno sempre nello stesso giorno, fino a quando dovessero eventualmente scontrarsi. Giocano oggi sul centrale uno dopo l’altro, Alcaraz con il giapponese Taro Daniel, Djokovic in sessione notturna con Fucsovics. Nessuno dei due dovrebbe rischiare di perdere, sebbene il Djokovic di Roma e Montecarlo non sia stato il vero Djokovic. Se giocheranno sempre negli stessi giorni la colpa è di Medvedev.
Non so se Sinner e il suo team guardino i tabelloni, a volte dicono di no, altre volte dicono di sì. Certo la strada verso i quarti di finale, quando teoricamente Sinner n.8 e Medvedev n.2 avrebbero potuto incrociare i loro destini, è oggi ancora lunga.
Jannik dovrà prima liberarsi domani del tedesco Altmaier, n.79 ATP, ma pericoloso quando in giornata con il servizio, poi probabilmente di Dimitrov, quindi di Tiafoe o di Zverev (mi fa più paura il tedesco perché prima o poi ritroverà l’antico splendore: inciso, anche lui come Medveved perse al primo turno a Parigi nel 2017 poco dopo aver trionfato a Roma). Tiafoe sulla terra rossa mi pare più limitato, anche se la personalità per produrre più d’un exploit non gli manca davvero.
Nell’area originalmente presidiata da Medvedev le teste di serie sopravvissute al primo turno sono Nishioka, De Minaur e Coric. Ma ci sono anche due argentini come Cachin (vittorioso su Thiem) e Etcheverry da non sottovalutare. Un altro argentino a Roma ha giocato un brutto scherzo a Sinner.
Però, e non solo i ragazzi vestiti da Carote (e da Lavazza che li ha portati a Parigi dove averli visti a Roma) in onor di Pel di Carota Jannik Sinner – che di Pel di Carota, nomignolo che gli aveva affibbiato il sottoscritto, non aveva mai sentito parlare, tantomeno letto – per Sinner cominciano a sognare cose grandi, nonostante lo choc romano che di nome fa Cerundolo.
Fra i tanti spettatori che non dimenticheranno mai la giornata vissuta ieri a Porte d’Auteuil non vanno dimenticati i tedeschi che hanno visto il loro Hanfmann (quarti di finale a Roma e ottimo protagonista anche a Cagliari) prevalere 6-4 al quinto sull’altro brasiliano Monteiro il quale, rimontati due set era avanti 40-0 sul 4 pari al quinto, ma ha perso il servizio proprio in quel momento.
Insomma, per i brasiliani ieri è stata una giornata di gioie e dolori. Forse conviene affidarsi alla Haddad Maia. Anche i finlandesi, se c’erano (? Non li ho visti), si saranno entusiasmati per il loro Ruusuvuori venuto a capo in 5 set del francese Barrere. Così come i giapponesi – c’erano, c’erano, ne ho visti tanti – per Nishioka che ci ha messo anche lui 5 set per battere Mister Muscolo, l’americano Wolf. Ribadisco: sono state giornate intense, intensissime, indimenticabili, per chi le ha vissute.
Ho accennato alle gioie e ai dolori di tanti Paesi e chissà quante ne ho dimenticati. Anche perché ho trascurato colpevolmente il tennis femminile. Mi sono eccitato quasi soltanto per la vittoria schiacciante della sedicenne (compiuti il 29 aprile) enfant prodige russa (non so come si dice in russo enfant-prodige, e se lo sapessi non potrei scriverlo con la mia tastiera, Gianni Clerici le chiamava tutte Lolita) Mirra Andreeva che ha lasciato soltanto 3 game alla Riske Amritray in un giorno in cui sono saltate diverse teste di serie:Kalinina con Parry, Bouzkova con Wang Xin, la campionessa di due anni fa Krejcikova con l’ucraina Tsurenko, la Azarenka con la Andreescu, la Cirstea con la nostra Paolini, la Rogers con la Martic.
Allora adesso chiudo qui ripetendo quanto ho detto ieri sera a caldo intorno alle 20 sia sull’Instagram di Ubitennis – seguiteci ragazzi, se volete ..uova fresche, siamo solo a 16.000 followers vorrei arrivare almeno a 20.000 per Wimbledon…sbrigatevi! – sia sul rituale video quotidiano di fine giornata: 11 italiani sui 15 in tabellone hanno passato il primo turno. Molti contro pronostico, come le tre vittorie su quattro ottenute questo martedì: Vavassori con Kecmanovic, Zeppieri con Bublik, Paolini con Cirstea. La sola a non compiere il miracolo è stata la campionessa di Rabat, la Bronzetti. Ma chiederle di battere la Jabeur era chiederle troppo.
Oggi 6 azzuri affrontanto il secondo turno. Il mio pronostico l’ho già “azzardato” come faccio sempre su Instagram, peggio per voi se non vi siete ancora iscritti. “Chi non li azzarda i pronostici non li sbaglia”, era solito ripetere Rino Tommasi, spesso con l’aria di rimproverare un po’ l’amico Gianni Clerici che invece non amava sbilanciarsi.
Gianni però quasi tutte le sere veniva da me in sala stampa e mi chiedeva: “Ubaldo, ma Ubitennis le ha già pubblicate le quote degli incontri di domani?”. Stavolta allora lo chiedo io alla redazione. E vediamo se i miei quattro favoriti, sui sei che scendono in campo oggi, hanno quote favorevoli oppure no. Serve per capire se i bookmakers la pensano come il sottoscritto oppure no. Più tardi verifico.
Editoriali del Direttore
ATP/WTA Roma: cronaca del SuperSaturday più bagnato per gli spettatori più sfortunati: quelli del serale…
Rybakina ha giocato un solo set dopo mezzanotte. Kalinina dà forfait con la kazaka come Swiatek e Kalinskaya. Rune e Ruud han dato spettacolo. Il danesino è fortissimo e…furbetto. Medvedev avrà 6 ore in meno di recupero. Ma a Tsitsipas ha “restituito” il balletto irridente

Il torneo di Wimbledon, anzi “The Championships” come lo chiamano con sussiego gli inglesi facendo intendere che l’unico torneo che conta è… il loro in Church Road, fra le tante tradizioni conosciute nel mondo vanta anche quella della pioggia che raramente risparmia “the fortnight”, dei tanti match sospesi e rinviati, dei giorni cancellati per pioggia.
E nel libro che viene stampato annualmente dall’All England Club, c’è tutta una sezione, assai corposa, in cui si trovano tutte le date delle cancellazioni e, ovviamente, quelle date in cui il torneo si è concluso al terzo lunedì, con il numero dei giorni rovinati dal maltempo.
Se un libro del genere esistesse anche per gli Internazionali d’Italia – che pure di finali rinviate al lunedì ne hanno avute più d’una – forse Angelo Binaghi avrebbe dato retta a Sergio Palmieri che -lo rivelò con grande onestà lo stesso presidente FIT rispondendo a una mia domanda che manifestava perplessità sul SuperSaturday – aveva suggerito di comportarsi come fanno ormai tutti i 4 Slam e anche il “minislam” di Miami (ma non il minislam di Indian Wells): e cioè semifinali maschili al venerdì, finale femminile al sabato con la finale di doppio maschile.
Se è vero che, sia pur senza l’ausilio di un libro, ho la quasi certezza di non aver assistito a un torneo più costantemente “bagnato” di questo in 50 anni che vengo al Foro Italico, è anche vero che tanto per il concorso ippico di Piazza di Siena che per gli Internazionali d’Italia si sono sempre sprecate le battute sulla pioggia immancabile che perseguitava le due manifestazioni nonostante la primavera ben inoltrata. Insomma, il rischio pioggia non era del tutto così imprevedibile da non doverlo minimamente prendere in considerazione.
Tant’è che mi permisi – con le cautele del caso onde non smorzare il grande entusiasmo che comprensibilmente aleggiava perche Roma aveva finalmente ottenuto il prolungamento del torneo – di porre quella domanda sul Supersaturday e i rischi che comportava nella mattinata del 28 aprile in cui fu presentata l’edizione extralong degli Internazionali.
Un po’ perché la domanda l’avevo fatta io e per solito a Roma -oltre ad aver dovuto sempre aspettare pazientemente il mio turno per porne una (in passato si è spesso aspettato che cessasse la diretta con Supertennis per concedermi di porre la mia domanda) – devo dire che mi sorprese l’estrema trasparenza con cui il presidente federale raccontò il diverso parere di Palmieri e la sua decisione contraria che alla fine prevalse.
Essa non venne giustificata da motivi di incasso, anche se fu opinione comune che quella potesse essere in realtà la motivazione principale, ma dall’esigenza di non avere un sabato “fiacco”, quando per tutti gli anni in cui il torneo si era sviluppato lungo una sola settimana…il sabato era stato quasi il giorno più desiderato: meglio la giornata delle due semifinali (per il calcolo delle probabilità che almeno una venisse fuori bene) piuttosto che una finale che poteva anche deludere.
Ma cosa fatta capo ha e oggi non ha senso piangere sul latte versato né recriminare su quel che poteva essere e non è stato.
Il meteo viene comandato solo… Lassù. Consoliamoci con l’aver visto un gran bel primo set, il primo fra Ruud e Rune. Straordinario. Spettacolare. Vario. Per 69 minuti i protagonisti del derby scandinavo hanno dato il meglio di sé. Entrambi.
Fino a un’ora e 51 minuti di gioco, cioè fino al 4-3 con il primo break della partita conquistato da Ruud due game prima (cioè nel quinto gioco per salire sul 3-2), il norvegese che alla vigilia del torneo sembrava assai poco in forma e in fiducia, era stato quasi perfetto. Aveva sbagliato poco o nulla. Sembrava esser tornato quello che era arrivato in finale al Roland Garros.
Ma lì, sul 4-3, ha invece – dopo un doppio fallo e un errore inconsueto di dritto (fino a quel momento quasi inarrestabile) ha concesso la sua prima palla break. Cui, avendo cacciato fuori un rovescio gratuito, ha fatto seguito il break.
Da lì in poi, mentre Rune prendeva coraggio, Ruud si è trasformato nel giocatore incerto che aveva perso da Arnaldi a Madrid, da Cerundolo a Barcellona, da Struff a Montecarlo, da Van de Zandschulp a Miami, da Garin a Indian Wells, da Daniel a Acapulco.
Figurarsi se Rune si faceva pregare. Il danese era stato ancora una volta birichino. Aveva chiesto un MTO, medical time out, sul 3-2, per un presunto dolore ad una spalla. Torcicollo? Boh, non si saprà mai. Fatto sta che quel fisio deve essere stato un mago. E che Rune era stato doppiamente birichino perché il MTO si dovrebbe poter chiedere soltanto prima di un proprio game di servizio. Altrimenti si costringe l’avversario a battere a freddo, dopo magari 5 minuti di stop.Ma l’arbitro non ha detto nulla. Ruud ha tenuto il servizio, ma le conseguenze di quello stop che gli ha spezzato il ritmo fino ad allora vincente si sono viste dopo: dal 4-2 per lui ha perso 8 game su 9, 6-4 e 4-1 per Rune. A quel punto il bel Ruud del primo set non c’era più, mentre Rune trovava via via l’abituale spavalderia.
Non c’è quasi stata più partita. E Rune è approdato alla finale come a Montecarlo. Sembrerebbe approdarci come nel Principato da favorito – anche se poi invece perse da Rublev – perché a Montecarlo aveva battuto Medvedev nell’unico confronto diretto e perché il russo per sconfiggere 7-5,7-5 Tsitsipas (e improvvisargli un irridente balletto sfottò …per restituirgli pan per focaccia; era stato il greco a fargli un balletto quando lo aveva battuto a Cincinnati…se non erro) aveva conquistato la finale 6 ore e mezzo dopo Rune e avrà quindi meno tempo per recuperare. Vero che Medvedev ha vinto in due set, ma la sua partita con Tsitsipas è stata infinita per via della pioggia che smetteva e ricominciava obbligando sia lui sia Tsitsipas a cinque o sei operazioni di riscaldamento sui 15 minuti ciascuno. Un bello stress. “Anche perché dove ci trovavamo non vedevamo né il cielo né correttamente la situazione sul centrale – avrebbe spiegato Daniil – e non si poteva capire se saremmo davvero scesi in campo a breve oppure no”. Intanto il russo che qui perdeva sempre al primo turno è in finale e se vince risale a n.2 ATP, lui che era uscito dai top-ten.
Anche per il pubblico, che ha pagato biglietti decisamente salati soprattutto per chi è venuto da fuori con qualche familiare, è stato un calvario. Apri gli ombrelli, chiudi gli ombrelli, lascia lo stadio, ritorna allo stadio, fai le code ai bagni (per i quali, apro un inciso, va fatto qualcosa anche se capisco possa non essere semplice) che devono devono essere assolutamente aumentati e migliorati come numero di accessi, manutenzione e pulizia. E fai delle gran code anche per comprare una fetta di pizza a 7 euro, un panino a 9 euro, un mini-cono gelato a 5 euro.
Sfortunati davvero soprattutto quelli che avevano comprato il biglietto serale, perché arrivati per le 19, sono dovuti restare fuori da cancelli e sotto la pioggia per quasi due ore finchè sono stati fatti entrare e almeno poco dopo le 21 hanno potuto vedere la finale del doppio femminile opportunamente spostata sul Pietrangeli fino a che alle 22,30 Medvedev ha trasformato il matchpoint contro Tsitsipas e si è liberato il centrale per la finale femminile fra Rybakina e Kalinina. Poi però andava fatta sfollare la gente che aveva il biglietto pomeridiano sul centrale per far sistemare chi aveva il biglietto serale. Insomma un discreto ambaradan, non facile obiettivamente da gestire avendo a che fare anche con gente inevitabilmente spazientita. Con alcuni che addirittura si erano presentati convinti di poter assistere a una semifinale maschile…che non era per loro.
Quelli che avevano resistito alle intemperie, all’umidità e ai ritardi, senza un tetto che li coprisse, erano chiaramente o i più appassionati irriducibili o quelli che non volevano rassegnarsi ad aver buttato via un centinaio (o più centinaia) di euro. E così hanno atteso che Rybakina e Kalinina potessero fare il loro ingresso sul campo centrale.
Ma la finale così a lungo attesa è durata solo un set e un game. Più sfortuna di così! Forse è gente che meriterebbe un qualche compenso. Sarebbe un beau geste da parte di una federtennis molto ricca, no?
Anhelina Kalinina si è procurata una contrattura alla coscia sinistra a fine primo set –un po’ come Iha Swiatek contro la stessa Rybakina nei quarti; e Kalinskaia si era arresa dopo 7 games sempre per un problema muscolare; tanti i ritiri: colpa dell’umidità del Foro Italico alla sera? – e, con le lacrime agli occhi si è dovuta ritirare dopo il primo game del secondo set, sul 6-4,1-0 per la tennista kazaka. Lacrime hanno rigato il volto della ragazza ucraina che la sera prima ci aveva raccontato delle bombe russe che cadevano e cadono ancora a pochi passi da casa, a Kiev, dei nonni che hanno lasciato la cttà d’origine dopo 65 anni…e lacrime anche del marito coach. Anhelina giocava la sua prima grande finale e non avrebbe mai voluto concluderla a quel modo. Forse è riuscita a sorridere ugualmente per quanto è accaduto nel corso dell’improvvisata premiazione. Hanno chiamato per la premiazione prima la vincitrice e non lei finalista, hanno sbagliato nel consegnare i premi e in chi li doveva consegnare, il microfono è andato in panne e a un certo punto la Ribakina ha fatto segno a una hostess che sì, quel trofeo che era rimasto lì sul tavolino lo aveva vinto lei e che – se proprio non c’era nessuno altro che potesse farlo– fosse lei a consegnarglielo. Altrimenti sarebbe rimasto lì. E lo speaker si era rivolto alla Rybakina dicendosi dispiaciuto per la sua sconfitta. La Rybakina appariva trasecolata. Beh, devo dire che scene così buffe non ricordo di averle mai viste in tornei di questo livello. Ma probabilmente la giornata difficile aveva confuso e stressato un po’ tutti. E mi dispiace. ma quando Elena Ribakyna si è presentata in conferenza stampa per l’intervista di rito alle 1,27 del mattino non ce l’ho fatta ad aspettarla. Se ne erano andati da un pezzo anche i due giornalisti polacchi che erano venuti a Roma nel weekend sicuri di poter raccontare le gesta della loro Iga (Swiatek). Ma lei si era fatta male qualche giorno prima della Kalinina. E loro si sono consolati andando a visitare il Vaticano, da bravi cattolici osservanti. Un discreto gruppo di appassionati presi in contropiede dal cambio di programma che era stato peraltro segnalato a febbraio credeva di poter vedere tennis maschile nel pomeriggio ma aveva i biglietti solo per il serale. E non hanno potuto far altro che arrendersi. Non potendo assistere a una semifinale maschile si erano consolati …culturalmente, andando a visitare la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Quel biglietto costava meno.
Editoriali del Direttore
ATP Roma : i dispiaceri del giovane Sinner in crisi di crescenza. Quanto è davvero forte? Al Foro Italico un… rinascimento che non c’è stato
Il maltempo è stato più protagonista dei giocatori più attesi, Alcaraz, Djokovic, Sinner. Un peccato perché la cornice unica al mondo e i tanti progressi organizzativi meritavano più fortuna. Sempre meglio che il Masters 1000 di Madrid…

Dispiace davvero che nel torneo che per la prima volta si avvicina come giorni di gara ai due Masters 1000 più prestigiosi, quelli del Sunshine Double Indian Wells e Miami, il maltempo abbia fatto di tutto per rovinare la festa del Foro Italico. Che è diventato sempre più bello, ma con il sole lo sarebbe stato molto di più. Speriamo nei prossimi giorni di poterlo ammirare in tutta la sua bellezza, anche se i tennisti italiani si vedono ormai solo su Supertennis e Sky. Era meglio vederli giocare.
Già, dispiace proprio che a turbare quella che poteva essere una quindicina davvero memorabile – anche se la programmazione degli incontri poteva essere a mio avviso migliore e la situazione dei campi anche (ieri a Djokovic è scappato un “Questi sono campi di m…” all’ennesimo cattivo rimbalzo) – ci abbiano messo uno zampino stavolta maldestro anche i tennisti italiani che purtroppo, loro malgrado, non sono stati all’altezza delle aspettative e per la prima volta dal 2019 – e come già nel 2016 e nel 2017 – non ci hanno regalato neppure un rappresentante azzurro fra uomini e donne nei quarti di finale. Altro che sfiorare il trionfo di Panatta nel ‘76, la finale di Zugarelli nel ’77 con Gerulaitis e quell’altra di Panatta nel ’78 con Bjorn Borg.
Facendo percorso a ritroso, Jannik Sinner aveva raggiunto i quarti un anno fa, sconfitto da Tsitsipas (7-6,6-2). Lorenzo Sonego era stato in semifinale nel 2021: aveva battuto Thiem e poi Rublev, si era arreso a Djokovic in 3 set. Matteo Berrettini raggiunse i quarti nel 2020 quando perse con Ruud.
Insomma abbiamo fatto purtroppo il passo del gambero dopo essersi tutti – noi compresi – riempiti la bocca con proclami sul Rinascimento del tennis italiano.
Se andiamo in profondità tuttavia non si può certo colpevolizzare Matteo Berrettini per aver saltato per due anni di fila gli Internazionali d’Italia a causa dei suoi ripetuti infortuni, né criticare Sonego e Musetti per aver ceduto in due set al n.5 del mondo Stefanos Tsitsipas che sulla terra battuta è da qualche anno uno dei migliori specialisti del mondo, con le due vittorie di fila a Montecarlo, e le finali raggiunte al Roland Garros 2021 e a Roma 2022. E Cecchinato è stato bravo a dar segni di risveglio per aver battuto Bautista Agut, ma certo quello del 2018 a Parigi oggi sarebbe nei quarti contro Medvedev… Quanto alle ragazze per ora quando perdono Trevisan e Giorgi siamo… sott’acqua.
Sonego ha avuto anche due setpoint nel secondo set, sul 4-5 e sul 5-6, e non se li è giocati benissimo, mentre Musetti è stato anche avanti di un break nel secondo set (2-0,3-1) ma ha ceduto per due volte in ciascun set la battuta sul 5-6: la differenza fra i giocatori più forti rispetto a quelli meno forti emerge sempre quando i punti diventano più importanti.
Non c’è dubbio che la grande delusione è legata alla inattesa sconfitta di Sinner con Cerundolo, tennista capace di battere già 3 top-ten in carriera ma non così irresistibile da giustificare il duplice 6-2 che gli ha inflitto.
Grande delusione perché le aspettative nei suoi confronti erano enormi, dopo due semifinali e una finale nei primi 3 Masters 1000 dell’anno.
Sembrava quasi che se non avessero vinto il torneo i primi due favoriti, Alcaraz e Djokovic, oppure Djokovic e Alcaraz a seconda dei gusti, il terzo favorito fosse lui, Sinner, anche a causa di un inizio d’anno non travolgente di Tsitsipas e, ancor più, di Ruud. Mentre Medvedev, che ora che deve affrontare il qualificato (e n. 101 ATP) Hanfmann, ha legittime ambizioni di dire la sua anche per il titolo, in 4 partecipazioni romane non aveva vinto una partita e non poteva davvero godere di grandi aspettative.
Allora questo Sinner è davvero forte come si suol dire nei nostri confini oppure no? La risposta la potrebbe dare Albert Einstein: è tutto relativo.
Certo che è forte. E’ n.8 del mondo. E resterà probabilmente fra i top-ten a lungo. Molto più a lungo di Panatta, Barazzutti e Fognini. Probabilmente anche di Berrettini che c’è già stato di più di quei tre appena citati, anche se aiutato in parte da qualche circostanza favorevole, come il congelamento delle classifiche per via del Covid.
Ma quanto è forte? Beh dipende con chi lo si confronta. Per motivi forse influenzati dal certificato anagrafico lo si è fin qui spesso posizionato – in Italia eh – sui livelli di Carlitos Alcaraz e Holger Rune.
Ecco, per ora si può, si deve dire che forse si è esagerato per amor patrio e per digiuno di campioni azzurri da… Panatta in poi. Perché i risultati di Alcaraz, uno Slam e 4 Masters 1000, già n.1 ATP passato e prossimo, sono ben diversi e il fatto che Jannik lo abbia battuto in 3 occasioni su 6, a Umago, Wimbledon e Miami dopo averci perso con il matchpoint a favore all’US open significa che Alcaraz soffre il suo tipo di gioco, il bombardamento da fondocampo, e che quindi la distanza non è enorme sul piano personale, ma conta anche tutto il resto. E a vederli giocare si vedono tante altre differenze, tanti più limiti in Jannik piuttosto che in Carlitos.
Quali limiti ha Jannik se comparati? Cito in ordine sparso (e confuso) le qualità di maggior completezza di Alcaras per: tocco di palla, fluidità naturale del gioco, esplosività dei colpi, forza fisica, atletismo e capacità di recupero, varietà e quindi imprevedibilità, duttilità tattica, dal serve&volley (anche con continuità come ha saputo dimostrare contro Medvedev senza mai sembrare un pesce fuor d’acqua sottorete), alla resilienza del maratoneta. Anche quando serve Carlitos è capace di alternare battute potenti a quelle con il kick, variando di continuo gli angoli, lo spin. I suoi dropshot non sembrano mai costruiti, innaturali… al contrario di quelli di Jannik, il cui tennis spesso dà la sensazione di essere robotico, anche se è indubbio che nell’ultimo anno i progressi siano stati tanti.
Io ho paragonato Jannik Sinenr a Ivan Lendl, come tipologia di tennista, perché Ivan è uno la cui filosofia d’approccio era lavoro, lavoro, lavoro, ma non aveva certo il talento naturale di un John McEnroe. Solo che alla fine ha vinto più di McEnroe e questa deve essere la speranza, l’obiettivo di Sinner e del suo team.
Rune e – non lo dice solo il suo Pigmalione Mouratoglou – è un altro talento decisamente più naturale di Jannik. È più completo, serve meglio, smorza meglio, sa alternare pallate a cambi di ritmo… alla Gattone Mecir, ha un tennis intelligente, istintivo a momenti ma anche ben ragionato in altri.
Ha già vinto un Masters 1000 –anche se quello di Bercy è il più farlocco dei Masters 1000 – è in anticipo sulla tabella di marcia di Jannik, ha certamente grande personalità, anche se non sempre atteggiamenti gradevoli. Ma mi ricorda abbastanza McEnroe. La gente non aspettava altro che Mac sbroccasse. Sarà così anche con Rune. Il modo in cui ha disposto di Djokovic, nonostante la interruzione dovuta al piovasco che gli è forse costata il secondo set, la dice lunga sulle sue qualità mentali, di testa. Anche il modo in cui batté Sinner a Montecarlo del resto lo dimostrò.
Lui ha già centrato obiettivi che Jannik ha solo sfiorato. Jannik sembra anche essere spesso (troppo spesso?) vittima di guai fisici. Non è un tennista naturale, non è un atleta naturale. Ma ha talmente voglia di arrivare che potrà sconfiggere questi handicap. Lo abbiamo visto in grado di esprimere notevolissime qualità di combattente in certe situazioni, ma purtroppo anche di sembrare talvolta incapace di reagire quando – come contro Cerundolo – è incappato in una cattiva giornata. Come se non riuscisse a liberarsi psicologicamente da una situazione che lo sorprende e lo trova impreparato.
Alcaraz ha perso con Marozsan ma prima di perdere le ha provate tutte. Èstato avanti 4-1 nel tiebreak poi perso 7-4, perché anche lui è giovane e ha delle pause. Ma ha lottato e cercato di cambiare tattica. Mentre Jannik è sembrato sgonfio, si è lasciato andare, senza trovare in sé la forza di reagire. Anche lui è giovane, probabilmente prima o poi supererà queste situazioni, le rovescerà. Ma per ora non è così. Sono ancora tante le cose, anche tecnicamente, che non gli riescono. Sul servizio deve ancora lavorare tantissimo, sulle volée anche. Il salto di qualità che tutti sognano, lui per primo, deve ancora avvenire. Sta imparando, non è… ancora imparato.
Saltando di palo in frasca… chi si lamenta per l’eliminazione prematura dei grandi favoriti(del ranking per i primi due, del pubblico per il numero 8) rilegga però quello che era successo al Masters 1000 di Madrid. A Roma Medvedev, Ruud, Tsitsipas, Rune, n.3,4,5 e 7 sono ancora in gara (se Cerundolo non fa fuori anche il n.4). A Madrid avrebbero pagato per avere un cast dello stesso livello nelle fasi finali, anche se il personaggio Struff ha entusiasmato per la sua storia..quasi romantica. Il lucky loser che arriva in finale e fa soffrire perfino Alcaraz. Qui a Roma siamo messi meglio. A me piacerebbe assistere a una finale Rune-Tsitsipas. E a voi?
Chiudo esprimendo tutto il mio dispiacere per il forfait di Rafa Nadal al Roland Garros. Non sembrerà il vero Roland Garros. Roma avrà un nuovo campione quest’anno. Forse anche il Roland Garros.