Federer si separa da Edberg e sceglie Ljubicic (Viggiani). Se Federer è tuttora "il tennis", è anche merito di Edberg (Giua)

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Federer si separa da Edberg e sceglie Ljubicic (Viggiani). Se Federer è tuttora “il tennis”, è anche merito di Edberg (Giua)

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Federer si separa da Edberg e sceglie Ljubicic (Mario Viggiani, Corriere dello Sport)

La domanda viene spontanea: Ivan Ljubicic su Twitter si comporterà con Roger Federer così come faceva con Milos Raonic, con il quale ha lavorato fino a novembre? Del tipo: una sua foto mentre mima il dritto con la mano destra, spiegando al canadese «Ecco, questo è esattamente il modo in cui tu NON devi colpire la palla, ok?». Battute a parte, l’anno tennistico si chiude con l’ennesima novità tecnica, e neanche di poco conto. Ovvero la fine del rapporto di collaborazione tra il Genio di Basilea e Stefan Edberg, il suo idolo di quando soltanto sognava di diventare anche lui un campione. E l’inizio di quello con Ivan Ljubicic, che invece fino all’aprile 2012 è stato protagonista nel circuito Atp, chiudendo con un bilancio di 3-13 nelle sfide con Federer. Sarà quindi il croato ad accompagnare lo svizzero verosimilmente fino a conclusione di una carriera che tra gli obiettivi comprende di certo l’Olimpiade di Rio 2016 (singolare, doppio con Stan Wawrinka e misto con Martina Hingis) e la conquista di almeno un altro Slam (è primatista con 17) finché il fisico resterà tirato a lucido come è accaduto ancora in questo 2015 ormai passato in archivio.

«Grazie a Stefan Edberg. Sei stato coach inestimabile per due anni e sarai il mio idolo per la vita». Con questo Tweet, ma soprattutto con un testo più esteso e circoscritto su Facebook e sul proprio sito, Roger ha dato l’annuncio ufficiale alla mezzanotte di martedì. Ancora entusiasta per «il sogno diventato realtà», da principio per il 2014, come da accordi originari, e poi rinnovato quest’anno. «Mi ha insegnato tanto, la sua influenza sul mio gioco resterà anche in futuro». Un futuro nel quale Severin Luthi continuerà a essere il capo-allenatore di Federer, appunto «affiancato da Ivan Ljubicic», in un team che comprenderà sempre gli altri fedelissimi, e cioè il croato, che ha un ottimo rapporto con l’ex n. 1, fino a novembre ha lavorato con Raonic il fisioterapista Daniel Troxler e il preparatore atletico Pierre Paganini. Lo svedese ha affidato le sue parole all’Atp: «Con Roger sono stati due anni fantastici: una collaborazione speciale, con quello che è il maggiore ambasciatore di sempre del tennis. Lavorando con lui nel circuito, ho potuto prendere atto dei progressi di questo sport, della qualità di gioco mai così alta. L’ho fatto per un anno in più rispetto al previsto, Roger invece ha ancora molto da dare al tennis: siamo grandi amici, farò sempre parte del suo team, e quando potrò lo seguirò di persona nel circuito».

Con Edberg, lo svizzero aveva impostato ancora di più il suo gioco sul serve and volley, sugli scambi rapidi, sugli attacchi improvvisi, nel tentativo di accorciare le fasi di gioco. Con Ljubicic, proseguirà con questa filosofia agonistica, anche perché ad agosto gli anni diventeranno 35.. II rapporto tra Roger e Ivan, separati non di molto all’anagrafe, è sempre stato eccellente. Nel marzo 2008 fu Federer, dopo averlo appena eliminato negli ottavi, a offrire a Ljubicic una splendida torta di compleanno a Indian Wells. A Wimbledon 2014 scherzava, ovviamente su Twitter, sulla foto che lo ritraeva proprio con la coppia Federer-Edberg: «Noi tre facciamo insieme ventiquattro Slam», tutti conquistati dagli altri due… Brillante, ironico, veloce di testa fuori dal campo come di braccio e piedi quando giocava, “Ljubo” ha tutto per essere anche lui prezioso per Roger (…)

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Se Federer è tuttora “il tennis”, è anche merito di Edberg (Claudio Giua, repubblica.it)

Dopo 24 mesi, 11 titoli ATP e nemmeno uno Slam, si sono lasciati. Dei due, è Roger Federer a soffrire di più la separazione. L’altro, Stefan Edberg, aveva già metabolizzato il lutto del distacco: da tempo andava dicendo che alla fine del 2015 sarebbe tornato ad occuparsi delle proprie attività imprenditoriali, ma nessuno gli aveva creduto (“… chi può rinunciare a fare il coach di Federer?”). Non scherzava, invece. Oltre a seguire il proprio rilevante patrimonio personale, il numero 1 ATP per 72 settimane tra il 1990 e il 1992 è proprietario, con Bo Pettersson e Fredrik Svensson, di Case Asset Management, una società con sede a Stoccolma che gestisce miliardi. Un business complesso – prestiti a imprese con elevato rating – che mal si concilia con l’impegno come coach di Federer, undici mesi lontano dalla Svezia, l’inverno tra Golfo Arabico, Australia e poi America – quella dove dove non soffiano i venti polari -, la primavera tra Spagna, Italia e Francia, l’estate a Wimbledon e poi ancora oltreoceano, l’autunno la spola tra estremo Oriente ed Europa.

Ora Stefan torna stabilmente a Vaxjo, 420 chilometri a sud della capitale, dove con moglie e figli abita in una casa colonica. Ha scritto ieri: “Io e Roger abbiamo passato insieme due anni meravigliosi”. Non sono parole di circostanza: chi li ha visti lavorare testimonia l’alto tasso di complicità umana e l’eccezionale sintonia tecnica. Verosimilmente continueranno a frequentarsi da amici, quando Federer si deciderà a chiudere con l’attività agonistica.

Di Edberg restano a Roger parecchi insegnamenti. Gli ha fatto recuperare la grinta dei primi anni da professionista, con la rinuncia ai lunghi scambi da fondo campo e la maggiore propensione all’attacco. Il simbolo di questa trasformazione è il celeberrimo SABR, acronimo di Sneak Attack By Roger, traducibile come “inatteso attacco di Roger”, messo a punto l’estate scorsa, prima a Cincinnati e poi durante gli UsOpen. Ben descritto così da un collega americano: “Si tratta di un movimento fluido che porta Federer – dopo aver servito – ad avanzare, a colpire in anticipo la palla di risposta profondamente e violentemente, a impedire all’avversario di ritrovare la corretta posizione”.

Il ruolo di Edberg è stato soprattutto decisivo nella crescita personale di Federer. Tutt’altra storia rispetto ai coach precedenti, tecnici certo capaci di gestire un fuoriclasse nel pieno delle forze ma niente più. Difficile che Peter Lundgren e Paul Annacone, buoni giocatori ma mai Top Ten, potessero immedesimarsi in un campione stabilmente al vertice mondiale; Tony Roche, classe 1945, fu un grandissimo della sua epoca ma era già pensionato quando Federer doveva ancora nascere. Stefan invece vinceva a Melbourne, a Wimbledon e a Flushing Meadows quando Roger prendeva confidenza con campi e racchette, ed era stato, nell’approccio psicologico al tennis dei nuovi materiali e della preparazione atletica sempre più specializzata, l’anello di congiunzione tra gli anni settanta e ottanta e il nuovo millennio: più di chiunque altro, direi. Ha aiutato Roger a ottenere, dai 32 ai 34 anni d’età, risultati impensabili (…)

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