Tornei scomparsi: I maestri dell'anno prima da Connors a Lendl

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Tornei scomparsi: I maestri dell’anno prima da Connors a Lendl

Con quest’articolo comincia una nuova rubrica che ogni 15 giorni ci ricorderà i tornei scomparsi dal calendario. Iniziamo però più che con un torneo, con uno stadio e un periodo che non ci sono più: ecco il master che si giocava a gennaio

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Il giorno precedente, i New York Knicks si erano congedati dal loro pubblico perdendo per tre punti una rocambolesca gara con i Lakers di Los Angeles (120-117). Era, quella, la prima stagione senza Red Holzman in panchina e la pesante eredità del coach dei due anelli era finita sulle spalle robuste di Willis Reed, uno che quei due anelli li aveva vinti da MVP delle finali. Bei tempi, ma la Grande Mela del basket soffriva già di nostalgia perché dopo il titolo del 1973 la sua squadra aveva arrancato nelle retrovie e nelle ultime due stagioni aveva addirittura fallito l’accesso ai play-off.
E non parliamo di football, per carità! Le due squadre di NY erano finite ultime nelle conference di appartenenza (i Jets nella AFC East, i Giants nella NFC East) e avrebbero guardato in tv l’imminente Superbowl tra Dallas e Denver. Restavano giusto gli Yankees a tenere alto l’onore della città con la vittoria, a distanza di tre lustri dall’ultima, ottenuta in ottobre nelle World Series, chiuse battendo 4-2 i Los Angeles Dodgers.

Insomma, è questa la New York sportiva che il 4 gennaio 1978 apre i cancelli del Madison Square Garden per ospitare il Masters di tennis, ovvero il torneo che chiude statisticamente una stagione e apre virtualmente quella successiva. Gli otto qualificati sono anche i primi otto della classifica del Grand Prix, sponsorizzato dalla Colgate. Vitas Gerulaitis, che abita a due passi dal Madison, è volato in Australia per cercare di raccattare gli ultimi punti a disposizione ma non gli è bastato aggiudicarsi il quinto slam del 1977 (quell’anno gli Australian Open si svolsero due volte, a gennaio e dicembre) per scalzare il connazionale Connors dall’ottavo posto.
Jimbo ha giocato pochi tornei del Grand Prix (appena nove) ma è stato finalista sia a Wimbledon che agli US Open, disputati per l’ultima volta al West Side Tennis Club di Forest Hills e in procinto di trasferirsi a Flushing Meadows. Il dominatore della stagione è stato Vilas, che però ha edificato la sua fortezza in particolar modo sulla terra battuta. L’argentino ha già vinto un Masters sul veloce (l’erba di Melbourne, nel 1974) ma il Supreme Court steso all’interno del Madison non sembra proprio la superficie che fa per lui. Il tris d’assi è completato da Bjorn Borg, il campione di Wimbledon, mentre gli altri cinque invitati non godono di grosso credito.
La particolare formula del torneo (due gruppi da quattro e primi due di ogni gruppo in semifinale ad eliminazione diretta) consente di aggiudicarsi il titolo anche dopo aver perso una o due partite e puntualmente è ciò che accade: Connors perde da Vilas nel round-robin ma si laurea maestro battendo Borg in finale, con lo svedese che aveva a sua volta chiuso il triangolo imponendosi a Guillermo in semifinale. Così è se vi piace.

Le storture della formula (che avrebbe lo scopo di assicurare agli spettatori di poter vedere i loro beniamini almeno tre volte) sono evidenti e, pur cercando i correttivi negli anni a venire, gli organizzatori devono fronteggiare in qualche maniera le critiche degli addetti ai lavori. Borg che sceglie di non scendere in campo contro Gottfried sapendo che in quel modo affronterà Vilas in semifinale (anziché il più temuto Connors) o lo stesso argentino che rinuncia a sfidare Dibbs perché già certo del primo posto nel gruppo non aiutano di sicuro la promozione del tennis nella casa del basket.
Il Masters si giocherà al Madison in gennaio per nove edizioni, fino al 1986, e quasi ogni anno verranno apportate modifiche alle modalità di svolgimento.

Nel 1979 viene introdotta la regola che, in caso di forfait o ritiro, c’è l’automatica esclusione dal torneo. Borg e Vilas disertano la manifestazione in aperta polemica con gli organizzatori del circuito in quanto, non avendo giocato il numero minimo di tornei, gli è stato negato il bonus di fine stagione. Anche Connors è nelle stesse condizioni (a lui, da primo della classe, sarebbero spettati 300 mila dollari, che invece finiscono nelle tasche di Eddie Dibbs) ma alla fine decide di partecipare. Forse però al mancino dell’Illinois non viene spiegato bene il regolamento e probabilmente è ignaro del fatto che, ritirandosi dopo un set della sfida con McEnroe (a causa di una vescica al piede), si preclude la possibilità di giocare il terzo incontro del round-robin contro Ashe. Sarà proprio il 35enne Arthur a “salvare” un’edizione sotto tono del torneo: in finale, il campione di Wimbledon ’75 ha due match-point e sul secondo risponde vincente a una prima di McEnroe che però viene chiamata fuori dal giudice di linea. “Scommetterei tutti i miei soldi che quella palla era in campo” dirà Ashe in conferenza stampa. Ma il maestro è McEnroe, che resuscita e vince il suo primo Masters.

I due anni seguenti (1980 e 1981) incoronano Bjorn Borg. Lo svedese, respinto dall’altra New York (quella degli US Open: quattro finali e altrettante sconfitte), trova sotto il tetto del MSG le condizioni migliori per sfatare mezzo tabù. Mentre la prima vittoria è senza macchia, quella dell’81 arriva al termine di un torneo accidentato. L’orso è nervoso, evidentemente, tanto che nel match di round-robin contro l’eterno (ma acciaccato) rivale John McEnroe inscena una clamorosa quanto ostinata protesta nei confronti di Mike Lugg, il giudice di sedia, che gli infligge ben due penalty-point. Borg perde quel tie-break ma vince lo stesso la partita e, forse infastidito, si fa battere senza combattere da Gene Mayer nell’ultimo incontro del gruppo, quello che stabilisce solo chi arriva primo tra i due.
Nell’altro gruppo invece, Ivan Lendl smette di lottare dopo aver perso il primo set con Connors e lascia all’americano (che non gli risparmia giudizi pesanti) l’incombenza di vedersela con Borg in semifinale. Il cecoslovacco ha fatto bene i suoi conti ma il calcolo non gli risparmia una severa lezione in finale.

Quello del 1982 è l’ultimo Masters con il round-robin al Madison. New York è stretta nella morsa del gelo e il due volte campione in carica, intenzionato a ridurre ulteriormente l’attività dopo un ’81 con appena 9 tornei all’attivo, preferisce starsene in Svezia a giocare a hockey su ghiaccio, attività che potrebbe tranquillamente svolgere pure a Central Park.

Stavolta gli organizzatori la combinano grossa e a fare le spese di un regolamento nebuloso è John McEnroe. Il mancino affronta Teltscher (e ci perde) nell’ultimo incontro del gruppo con la certezza (stando a Jerry Solomon) di chiudere al primo posto e quando Ray Benton, direttore del torneo, lo informa più correttamente, si viene a scoprire che la sua leadership dipende dall’esito della sfida tra Connors e Tanner. La vittoria di Roscoe spedisce automaticamente McEnroe al secondo posto dato che Teltscher ha i suoi stessi punti ma ha vinto lo scontro diretto.
In un colpo solo McEnroe vede sfumare i 30 mila dollari riservati al vincitore del gruppo mentre sul suo cammino si profila l’ombra spaventosa di Ivan Lendl, proprio colui che avrebbe voluto evitare. E ne ha ben donde. La finale anticipata (sulla carta) la stravince Lendl mentre nella finale vera ci finisce Gerulaitis, che questo Masters non avrebbe dovuto nemmeno giocarlo in quanto ha preso il posto di Borg. Vitas però dimostra di non essere lì per caso e si arrende a Lendl in cinque set non prima di essere stato a un punto dal titolo.

Dopo tanti pasticci, nel 1983 si cambia e si passa dal round-robin all’eliminazione diretta. I qualificati sono dodici con i primi quattro che accedono direttamente ai quarti, dove se la vedranno con i vincitori del primo turno. Anche se vengono banditi i calcoli, non è che la nuova formula faccia strappare i capelli dall’entusiasmo perché i quattro ottavi di finale riservano scarse emozioni allo scarso pubblico del Madison. La situazione si ripeterà quasi analoga nelle due edizioni successive e pure i finalisti, sempre gli stessi, contribuiranno alla monotonia. Lendl si conferma campione a spese di McEnroe che si vendicherà nell’84 e ’85.

Infine il 1986, nono e ultimo anno di sforamento del Masters nella stagione successiva. Allo scopo di evitare che alcuni partecipanti vengano privilegiati con un bye, si stabilisce di allargare la partecipazione ai primi sedici della classifica con ottavi, quarti e semifinali al meglio dei tre set e la finale giocata sulla lunga distanza. Il maestro è Lendl a spese dell’uomo nuovo, il tedesco Boris Becker (il più giovane campione di Wimbledon della storia). Il cecoslovacco alza raggiante lo splendido trofeo in argento creato da Tiffany e chiude l’era del Masters in gennaio. Il torneo continuerà a disputarsi al Madison Square Garden fino al 1989 (di nuovo con il round-robin) prima di emigrare in Germania. Nel frattempo i New York Knicks hanno annaspato nelle retrovie della NBA e si sono dovuti accontentare di un paio di semifinali di Conference. La loro casa continuerà ad ospitare un Masters (quello femminile) fino alla fine del millennio poi chiuderà con il tennis ufficiale.

Peccato, è stato bello.

ALBO D’ORO

1977 04-08/01/1978 Jimmy Connors b. Bjorn Borg 6-4 1-6 6-4
1978 10-14/01/1979 John McEnroe b. Arthur Ashe 6-7 6-3 7-5
1979 09-13/01/1980 Bjorn Borg b. Vitas Gerulaitis 6-2 6-2
1980 14-18/01/1981 Bjorn Borg b. Ivan Lendl 6-4 6-2 6-2
1981 13-17/01/1982 Ivan Lendl b. Vitas Gerulaitis 6-7 2-6 7-6 6-2 6-4
1982 18-23/01/1983 Ivan Lendl b. John McEnroe 6-4 6-4 6-2
1983 10-15/01/1984 John McEnroe b. Ivan Lendl 6-3 6-4 6-4
1984 08-13/01/1985 John McEnroe b. Ivan Lendl 7-5 6-0 6-4
1985 13-19/01/1986 Ivan Lendl b. Boris Becker 6-2 7-6 6-3

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