AO 2016: Ludmilla Samsonova, possiamo sperarci? A me è piaciuta la sua personalità...

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AO 2016: Ludmilla Samsonova, possiamo sperarci? A me è piaciuta la sua personalità…

Ludmilla Samsonova vince un gran match all’esordio in un tabellone principale Slam tra le junior. Bella personalità dell’azzurra, seguita da Riccardo Piatti. Nell’articolo audio e transcript dell’intervista della giovane promessa italiana

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MELBOURNE – AUSTRALIAN OPEN. Ho visto pochissimo tennis di questa ragazza, Ludmilla Samsonova, che ha battuto qui al primo turno la testa di serie n.3 del torneo junior, la canadese Robillard-Millette dalla quale aveva preso una gran stesa la settimana scorsa (buon segno reagire così no?).

Ma me ne ha parlato molto bene Luca Baldissera, che non è solo un cronista di Ubitennis ma anche un validissimo maestro di tennis, che l’ha seguita con molta attenzione e me l’ha descritta in possesso di un gran bel servizio (chissà dove sarebbe arrivata Sara Errani se l’avesse avuto!) e di un bel dritto.

Ma devo dire che mi ha impressionato, insieme al suo fisico finalmente atletico per una giocatrice azzurra – non ne abbiamo avute tante così ben attrezzate – anche la personalità che ha mostrato nella sua prima intervista di sempre con i giornalisti. Disinvolta, simpatica, giustamente ambiziosa (“Dove voglio arrivare? Al n.1…”), e ho anche pensato che se di lei si occupa Riccardo Piatti (sia pure avanza tempo, ma da quando lei ha 10 anni e oggi ne ha 17), beh è un bel marchio di qualità.

 

Non mi è parsa così alta come dice, un metro e 79, ma se anche fosse due o tre centimetri meno, andrebbe bene lo stesso. Per qualche verso mi è apparsa come una Knapp più mobile e più matura di quanto lo fosse Karin alla sua età. Karin è arrivata a ridosso delle prime trenta del mondo.

Inutile precorrere i tempi per Ludmilla, nata in Russia ma divenuta italiana a tutti gli effetti nell’agosto 2014, in quanto è ancora lontanissima da quel ranking.

Però così come avrete letto che sono assai pessimista sul futuro del tennis italiano – e non per partito preso come magari qualcuno, Corrado Barazzutti compreso, pensa che io sia – ho abbastanza fiducia in questa ragazza perché la vedo determinata, decisa e intelligente.

Molti giudicano il potenziale di un tennista soltanto dalla sua tecnica, io valuto anche altre qualità… che secondo me non sono meno decisive se uno ha voglia di lavorare e dimostra di avere la giusta personalità.

Figlia di un professionista del ping-pong – n.40 del mondo ha detto lei – e di una laureata in economia, Ludmilla sembra un tipo deciso e in gamba.

Ha 17 anni e a differenza degli altri 4 junior portati qui (in viaggio premio?) dalla FIT, avrà un altro anno per maturare ancora fra gli junior prima di fare il salto fra le professioniste.

Ho visto qui in passato altre ragazze italiane cui proprio mancavano le basi atletiche – anche in termini di altezza e potenza muscolare (le Cibulkova sono eccezioni alla regola) – che non ho mai capito come ci si potesse puntare su.

Qui Ludmilla, che ha vinto un 10.000 a Roma, è seguita da Andrea Volpini. Di solito anche da Giulia Bruschi. Appena possibile ci parlerò.

Ludmilla ci ha raccontato del suo arrivo in Italia, Torino, Val d’Aosta, del suo amore per il pattinaggio (ma più tardi dirà che il suo idolo è Maria Sharapova, “ne sono innamorata, a Wimbledon ci ho fatto un selfie”) dei suoi allenamenti a Bordighera (ma vive a Sanremo), del suo obiettivo (“Diventare n.1” come ho già scritto sopra), delle qualificazioni mancate a Wimbledon sei mesi fa, del team Piatti con la presenza di Raonic quando si sposa a Montecarlo, ma anche con Sartori e Seppi, dei suoi studi linguistici (parla già oltre al russo e all’italiano anche inglese, francese e spagnolo… chi legge magari pensa che serva a poco, ma non è così, significa capire molto di più di tutto, avere orizzonti più ampi della gran parte delle sue coetanee italiane che a malapena spiccicano italiano e inglese), delle tre-quattro settimane passate fra l’altr’anno e quest’anno a Tirrenia (speriamo non ce la rovinino! Meno ci sta e meglio è a mio avviso… soprattutto se si rendessero conto che ha il potenziale per diventare forte, la caricherebbero di attenzioni e… pressione indesiderabile e non necessaria).

Mi è piaciuta anche la sua estrema sincerità nel dire – evitando totalmente dichiarazioni ruffiane quali ho sentito fare anche in un passato non troppo lontano da chi trovandosi nella condizione di scegliere un passaporto e un Paese piuttosto che l’altro magnificava ora l’uno ora l’altro a seconda degli interlocutori – che per lei la Nazionalità russa era importante, che l’aveva abbandonata con qualche rimpianto, insomma…viva l’Italia ok, ma guai a tradire del tutto le proprie origini, lei che è nata a Olenegorsk (che io confesso di non aver mai sentito nominare fino ad oggi e di ciò mi scuso profondamente).

Lo sponsor ancora non ce l’ha. Indossa i vestiti della Nike… “che me li aveva dati un anno fa”. Ma quello dello sponsor non sembra essere un problema e peraltro non credo lo sarà. Lei non ha il papà qua che la segue.

E questo è sicuro un vantaggio. Una volta Chris Evert disse di Lindsay Davenport: “Non ho mai conosciuto i suoi genitori quando lei già vinceva fra le junior… e questo è un aspetto a favore delle sue future possibilità!”. Il papà della Davenport era un ottimo giocatore di volley. Così come il papà della Samsonova, Dimitri Samsonov, era un ottimo giocatore di ping-pong.

I genitori che hanno fatto sport ad alto livello sono, per solito, garanzia di una buona attitudine sportiva. Ed educazione.

Può sembrare un tantino presuntuosa, Ludmilla, quando dice che nel tabellone junior non c’è nessuna ragazza davvero imbattibile, ma lo dice con naturalezza. Con quella genuinità di chi non si illude di batterle tutte, potrebbe perdere già al prossimo turno, ma… perché no? Magari non già quest’anno, ma il prossimo. E sempre tenendo presente il caso Quinzi…

P.S. per il lettore: se ascoltate il suo audio potrete riscontrare la freschezza delle sue parole. Ve lo consiglio davvero.

Ascolta gli audio dell’intervista di Ludmilla, e leggi il transcript! (si ringrazia Marco Lauria)

Hai battuto la no.3 (Charlotte Robillard-Millette) del tabellone, ci avevi mai giocato?
Sì, la scorsa settimana e avevo perso 6-3 6-2.

E cosa è successo?
Mi ero rotta un po’ le scatole. Ho tirato fuori la grinta necessaria.

Raccontaci un po’, ti allena Riccardo Piatti?
Mi alleno nella scuola di Piatti, lo vedo spesso durante la preparazione invernale. Mi allenano Andrea Volpini e Giulia Bruschi, sono due collaboratori di Riccardo, Andrea segue gli uomini e Giulia le donne. Ora però sono qui con Andrea.

Tuo padre?
Mio papà giocava a ping pong, è stato no.40 del mondo (Dimitri Samsonov).

Perchè hanno scelto di venire in Italia?
In Russia era molto molto difficile, gli hanno offerto nel ’99 un contratto per giocare a Torino e ci siamo trasferiti. Avevo un anno.

Quanto sei alta?
1.79.

I tuoi migliori risultati?
La vittoria di un 10.000 a Roma.

La tua storia?
Dopo Torino ci siamo trasferiti in Val D’Aosta, c’era poca scelta, a me piaceva tanto pattinare, ma era difficile, allora ho provato col tennis, mi è piaciuto ed ho cominciato a giocare a Chatillon, con il maestro Alessandro Molise. Durante un raduno a Torino, ho conosciuto Riccardo, avevo 10-11 anni. Così ci siamo trasferiti a Sanremo. Vivo lì, ma mi alleno a Bordighera.

Il tuo obiettivo è fare la tennista professionista, il tuo sogno?
Arrivare al no.1.

È il primo Slam che giochi?
Ho giocato le quali a Wimbledon lo scorso anno, ho perso all’ultimo turno.

Sai chi è la prossima avversaria?
Una wild card o una qualificata (una WC).

Conosci il livello delle altre?
Sono tutte battibili, non c’è un fenomeno (glissa sul discorso no. 1 in Italia tra junior).

Punti di forza e debolezze?
Punti di forza servizio e dritto, rovescio continuo a lavorarci.

A rete?
Un po’ meglio, ma scendo una volta ogni morte di Papa.

Studi?
Sì, frequento due-tre volte a settimana un Liceo Linguistico privato. Parlo l’italiano, il russo, l’inglese e lo Spagnolo.

I tuoi genitori ti seguono?
Prima veniva spesso con me mio padre, ora no. La mia mamma non è molto interessata al tennis. È laureata in economia.

Piatti ? Quante volte lo vedi?
L’Accademia è sua, lo vedo spesso durante la preparazione invernale, altrimenti qualche settimana a marzo, o in estate.

Com è il tuo rapporto con la FIT?
Buono, sono stata a Tirrenia per la prima volta lo scorso anno. Sono diventata italiana da poco, agosto 2014.

È stata una scelta difficile scegliere la nazionalità italiana?
È stata una decisione difficile. Vorrei tornare spesso in Russia, tutti i miei parenti sono lì, ma non lo faccio mai. Sono di Olenegorsk, polo nord, circolo polare artico.

(si scherza sul nome della città)

Quando sei stata a Tirrenia?
Sono stata a Tirrenia prima di venire in Australia e qualche settimana l’anno scorso. Mi allenavo con la Matteucci e c’era anche la Garbin.

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ATP

Fratelli & Sorelle del tennis: non solo Berrettini. Da McEnroe a Williams, passando per Safin e… Monfils

Mentre ad Acapulco Matteo avanza e Jacopo si è fatto valere, riviviamo le parentele di maggior successo. Tra fratelli ritirati o troppo indietro in classifica come i Djokovic o gli Tsitsipas, in ATP ora comanda la famiglia Cerundolo, mentre in WTA…

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Jacopo e Matteo Berrettini (foto via Twitter @AbiertoTelcel e @AustralianOpen)

Ci aveva provato quattro volte, ma era sempre stato eliminato al primo turno del tabellone cadetto. Ad Acapulco, finalmente, Jacopo Berrettini ha superato le qualificazioni battendo i ben più quotati Blancaneaux (n. 155) e Darderi (n. 184). A quel punto, la wild card ricevuta era già ampiamente onorata, ma Jacopo non si è certo accontentato e ha battuto anche Oscar Otte, complice un ginocchio tedesco, mettendo così a segno la sua prima vittoria ne Tour al primo tentativo. In singolare, perché in doppio con il fratello Matteo (qui subito battuti), aveva già preso parte all’ATP di Cagliari nel 2021, dove hanno raggiunto le semifinali, e all’ATP di Firenze l’anno scorso con sconfitta all’esordio. Il best ranking di Jacopo, n. 388, risale all’estate 2019, mentre ora la classifica lo vede alla posizione 842, che in ogni caso migliorerà di parecchio lunedì prossimo, assestandosi attorno al 475° posto dopo la sconfitta contro de Minaur.

Matteo e Jacopo Berrettini – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Di due anni e mezzo più giovane di Matteo, il classe 1998 romano è al momento decisamente lontano dalle vette raggiunte dal fratello, ma la sua impresa in Messico ci offre lo spunto per una carrellata (inevitabilmente non esaustiva) su fratelli e sorelle del tennis, campioni o meno che siano (stati) o saranno. Jacopo e Matteo, anch’egli vittorioso all’esordio, sono però stati sconfitti in doppio e dunque, almeno per quest’anno, non aggiungeranno nell’albo d’oro di Acapulco i propri nomi a quelli dei Bryan, degli Zverev e degli Skupski.

Top Bros: i fratelli migliori

Francisco Cerundolo – Bastad 2022 (Twitter @NordeaOpen)

 

Juan Manuel Cerundolo – Cordoba 2021 (Foto Twitter @CordobaOpen)

Tra i tennisti in attività, Francisco (classe 1998) e Juan Manuel Cerundolo (2001) sono quelli che attualmente vantano il miglior ranking combinato, rispettivamente numero 32 (best n. 24) e 108 (79). Dei due di Buenos Aires, Fran è quello che tira e Juanma quello che rema; non a caso, la classifica di quest’ultimo è nettamente migliorata da quando ha deciso di rinunciare alla racchetta usata dal fratello per passare a un modello che perdona di più. Per quanto riguarda i testa a testa ufficiali, al Challenger di Campinas nel 2021 vinse Fran in due set ma, se entrambi vantano un titolo ATP, il primo a metterlo in bacheca è stato il più giovane. Come duo, hanno preso parte solo a eventi dei circuiti minori.

Alexander e Mischa Zverev – ATP Montpellier 2017 (foto via Twitter, @OpenSuddeFrance)

Mischa Zverev – Montecarlo 2018 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

Alexander Zverev – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Se gli argentini sono i migliori in questo periodo, Alexander (classe 1997) e Mischa Zverev (1987) vincono a mani basse quando si prendono in considerazione i best ranking. Il fratellone, ora sprofondato dalle parti del 1500° posto, è stato n. 25 nel 2017, mentre Sascha ha occupato la seconda piazza. Due titoli vinti in coppia. Il più giovane ha vinto l’unica sfida a livello ATP, vendicando le due sconfitte “minori”, tra cui quella nelle qualificazioni del Challenger di Dallas 2 addirittura nel 2012. In quell’occasione texana, Mischa gli rifilò un 6-0 6-1. Un game lasciato al fratellino ancora quattordicenne, bravo.

Elias Ymer – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Mikael Ymer – Davis Cup Finals Madrid 2021 (Photo by Mateo Villalba / Quality Sport Images / Kosmos Tennis)

Il classe 1998 Mikael Ymer, n. 59, ha perso le due sfide con il maggiore di due anni Elias (n. 170, best 105), ma pare ormai avviato verso una carriera più fortunata. In coppia hanno preso parte a una decina di eventi, ma non sono mai riusciti a replicare il successo del 2016 con il titolo ATP di Stoccolma. C’è anche un fratello del 2007, attivo nel circuito junior e dal nome promettente che compare come coach nell’apposito spazio della pagina ATP di Elias. Vedremo se Rafael saprà superare i fratelli.

Stefanos Tsitsipas – ATP Finals, Torino 2022 (Credits Photo Giampiero Sposito:FIT)

Stefanos Tstisipas e Petros Tsitsipas – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Stefanos Tsitsipas dà il suo abbondante contributo alla classifica di fratellanza, ma il n. 3 del mondo non è aiutato da Petros, n. 1396 (best 727). Una sola partecipazione nel Tour (con netta sconfitta) per il classe 2000, grazie alla wild card di due anni fa a Marsiglia nella classica situazione win-win e ancora win: Stef si specchia nei generosi panni del fratello maggiore, il torneo ottiene la partecipazione di chi altrimenti non potrebbe permettersi, Petros gioca con i grandi. Insomma, vincono tutti. Magari non sul campo: Petros racimola due game con Davidovich Fokina e perde il doppio con il fratello che in singolare viene battuto al secondo incontro. Una ventina di apparizioni in doppio per i due, tra cui quattro nei Major con la ciliegina di un secondo turno. Stef ha anche un altro fratello, il diciassettenne Pavlos, e una sorella, la quattordicenne Elisavet (Tsitsipa), ancora impegnati nel circuito junior dell’ITF.

A pagina 2 – Sono sempre i peggiori ad andarsene

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evidenza

L’ultimo match di Sania Mirza, la regina del tennis indiano che ha superato pregiudizi e convenzioni

Dopo 6 Slam e 43 titoli conquistati, l’ex numero uno del mondo in doppio ha concluso la sua carriera al fianco di Madison Keys a Dubai

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Dopo essere andata vicina ad arricchire la sua collezione di titoli dello Slam poche settimane fa a Melbourne, Sania Mirza ha disputato l’ultimo incontro ufficiale della sua carriera. Lo ha fatto a Dubai che per lei è diventata casa da più di dieci anni e dove ha fondato due accademie di tennis, alle quali ne va aggiunta un’altra aperta nella sua terra natìa a Hyderabad. Qui ha iniziato a prendere confidenza con la racchetta all’età di 6 anni, dopo aver visto i cuginetti divertirsi sui campi da tennis durante una vacanza di famiglia negli Stati Uniti. A casa in India, invece, i campi per giocare erano una rarità assoluta e Sania ha raccontato che la superficie su cui ha mosso i primi passi non era nessuna di quelle su cui si giocano i tornei internazionali: niente terra, niente erba e nemmeno cemento, ma sterco di vacca. Da lì è partito il viaggio di una bambina che, vincendo e rompendo schemi consolidati, è diventata l’indiscussa regina del tennis indiano.

In quanto donne, nella società indiana ci viene data una lista di cose che possiamo e non possiamo fare. Nessuno pensa a incoraggiarci e sostenere i nostri sogni”. Quando Sania ha partecipato ai primi tornei della sua vita, il tennis non era certo uno sport sconosciuto in India. Il movimento maschile aveva già una buona tradizione alle spalle grazie ai Krishnan (padre e figlio) e ai fratelli Amritraj. Di lì a poco sarebbero poi venuti fuori anche altri giocatori importanti come Bhupathi e Paes. Mancava, in ogni caso, un sistema in grado di accompagnare in modo sistematico i giovani e, soprattutto, per le donne un percorso simile non era nemmeno lontanamente ipotizzato. Sania, però, ha potuto contare sull’appoggio dei genitori e in particolare sull’esperienza di papà Imran, editore di una rivista sportiva e giocatore di cricket. Solo così il suo talento è potuto sbocciare in un contesto se non ostile, di sicuro impreparato.

Ad 8 anni Sania fece suo un torneo statale battendo in finale un’avversaria che aveva il doppio della sua età. Indubbiamente, il livello in patria non poteva essere paragonabile a quello che avrebbe incontrato in campo internazionale. Ma Sania si dimostrò in grado anche di fare il grande salto: nel 2003, a 18 anni, vinse il torneo di doppio junior a Wimbledon e fu questo il presupposto per un’ascesa rapidissima. Nel 2005 disputò a Melbourne il suo primo torneo dello Slam tra le grandi: era la prima donna indiana a farlo e arrivò fino al terzo turno, dove fu battuta da Serena Williams. Nello stesso anno, poi, raggiunse gli ottavi allo US Open. Questo è rimasto il suo risultato migliore nei major in singolare (il best ranking, risalente al 2007 è invece il numero 27), anche perché decise di dedicarsi sempre di più al doppio (fino a farlo a tempo pieno dal 2013), ricavandone grandissime soddisfazioni.

 

Ha infatti conquistato 6 titoli dello Slam, di cui tre in misto, e un totale di 43 tornei nella specialità. Questi traguardi l’hanno portata al primo posto della classifica riservata alle doppiste e nel novero delle migliori interpreti della storia della disciplina. Il suo marchio di fabbrica è sempre stato un dritto potentissimo, unito però all’eleganza dei movimenti e dei colpi al volo. Proprio per questo motivo, la coppia che ha formato insieme a Martina Hingis tra il 2015 e il 2016 (vincendo tre Slam e 14 tornei in totale) è stata una delle più forti e piacevoli da guardare di sempre.

Come ha spiegato lei stessa in uno speciale che Wimbledon le ha dedicato lo scorso anno, però, Sania sentirebbe di aver completato il suo percorso non tanto per le vittorie ma se ci fosse “anche solo una persona che è stata ispirata dalla mia storia”. Parte integrante di questa storia è anche la maternità nel 2018. L’ex numero uno del mondo in doppio ha raccontato che fino a quando non è diventata madre, le chiedevano continuamente quando lo avrebbe fatto: “C’erano giornalisti che mi facevano questa domanda nella conferenza stampa dopo una vittoria Slam, con il trofeo appoggiato sul tavolo. Sembrava che non potessi essere una donna completa fino a quando non fossi diventata madre, a prescindere dai risultati sul campo”. Dopo aver partorito Izhaan, Sania è tornata a giocare anche per dimostrare che famiglia e carriera non si devono escludere a vicenda e quindi, ancora una volta, per ispirare altre donne.

Critiche e minacce non sono ovviamente mancate nella sua carriera e vita privata da donna libera e pronta a tutto per realizzare i suoi obiettivi. Nel 2005 fu oggetto di una fatwa emessa da un gruppo di teorici musulmani che consideravano il suo abbigliamento in campo contrario ai precetti islamici. Nel 2010, invece, fu molto chiacchierato in India il suo matrimonio con il giocatore di cricket pakistano Shoaib Malik. Il partito nazionalista indù di destra, il BJP, chiese a Mirza di “riconsiderare” la sua decisione di sposare un pachistano, mentre nel Paese del marito in molti celebravano queste nozze come una sorta di conquista del Pakistan ai danni dell’India. In realtà era solo un altro momento della vita di Sania in cui le sue personali priorità hanno prevalso sulle convenzioni culturali e sociali. E’ questa l’eredità che ci lascia, all’interno di una cornice fatta di successi tennistici, passanti di dritto e volée vincenti.

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ATP

ATP Rotterdam: Omar Camporese nel 1991 unico italiano vincitore in Olanda, fu il primo titolo del bolognese

Prima di Jannik Sinner, solo il bolognese aveva raggiunto l’ultimo atto. Memorabile la finale vinta contro l’allora n. 3 mondiale Ivan Lendl. L’azzurro rimontò vincendo due tie-break consecutivi con tanto di match point cancellato nel terzo set

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Omar Camporese - Rotterdam 1991

Nella storia del torneo di Rotterdam (qui l’intero albo d’oro), denominato ufficialmente con la dicitura ABN AMRO Open e appartenente alla categoria dei ‘500’, solo un tennista azzurro si era spinto sino all’ultimo atto prima di Jannik Sinnercome abbiamo già ricordato anche sulla nostra pagina Instagram. Si tratta di Omar Camporese, al quale non solo l’impresa nel 1991 riuscì ma addirittura fu enfatizzata dalla conquista del titolo. Per il bolognese, quella in terra olandese fu la seconda finale della carriera a livello ATP; la prima l’aveva disputata un anno prima vicino casa a San Marino perdendola contro l’argentino – nativo di Tandil come Juan Martin Del Potro – Guillermo Perez-Roldan. Successivamente, l’ex n. 18 ATP – suo best ranking – ottenne fino al termine della sua vita di professionista della racchetta – che appese nel 2001- una sola altra finale: nel febbraio del 1992, quando a Milano sconfisse Goran Ivanisevic alzando al cielo meneghino il secondo ed ultimo trofeo della sua carriera.

All’inizio dell’evento orange, Omar era n. 54 del ranking mondiale: vinse il primo turno in tre parziali contro il tedesco Eric Jelen, a cui invece seguirono due successi senza perdere set ai danni dell’austriaco Alex Antonitsch e del ceco Karel Novacek. Dopodiché fu la volta della grande battaglia in semifinale con l’idolo di casa Paul Haarhuis, che attualmente ricopre il ruolo di Capitano di Coppa Davis dei tulipani, sconfitto al tie-break del terzo.

 

In finale ad attenderlo, c’era il n. 3 del mondo e prima testa di serie del tabellone Ivan Lendl, già vincitore delle sue 8 prove dello Slam: l’ultima nel 1990 in Australia contro Stefan Edberg. Perso il primo set, Camporese vinse il secondo 7 punti a 4 nel sempre dirimente dodicesimo gioco ed infine dopo aver anche cancellato un match point sul 5-4 e servizio; si aggiudicò pure il tie-break finale – ancora per 7-4 – che suggellò il suo primo storico trionfo in carriera sublimato dall’essersi dimostrato superiore nel confronto, valevole per il titolo, con uno dei mostri sacri della storia di questo sport.

Ma soprattutto, quello storico successo italico maturato a Rotterdam 32 anni fa assunse connotati emotivamente ancora più intensi grazie alle voci che accompagnarono le gesta di Camporese nel suo straordinario cammino e che fanno riecheggiare tutt’oggi il ricordo delle emozioni vissute nel cuore di quelli appassionati che ebbero la fortuna di poter assistete all’evento o che l’hanno recuperato successivamente tramite la piattaforma di YouTube – per quei pochi che non l’avessero fatto, potrete rimediare a fine articolo -. Al commento, infatti, di quell’incredibile finale contro il campione ceco in postazione telecronaca, rigorosamente dal vivo sul posto e non da tubo – come si suol dire in gergo giornalistico – per Tele+ c’erano il Direttore di Ubitennis Ubaldo Scanagatta e il compianto Roberto Lombardi.

(match completo con commento lo trovate nel video in basso)

I followers Instagram di Ubitennis potranno seguire il “Punto di Ubaldo” in un minuto a caldo appena conclusa la finale odierna.
Circa 30 minuti dopo la conclusione, Ubitennis pubblicherà sul sito e sul canale YouTube di Ubitennis un commento più articolato del direttore.

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