Claudia Coppola in esclusiva: “Mi hanno portato via 6 mesi ma non la mia passione”

Interviste

Claudia Coppola in esclusiva: “Mi hanno portato via 6 mesi ma non la mia passione”

Non esistono solo Djokovic e Serena Williams e non ci sono solo le grandi promesse come Kyrgios o Zverev. Claudia Coppola è una ragazza italiana che ha attraversato mille vicissitudini, compresa una squalifica che sembra assurda. Abbiamo incontrato una ragazza solare, forse a disagio in un mondo che “è un brutto ambiente. Senza i soldi non vai da nessuna parte”

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Claudia Coppola ha 21 anni ed occupa la posizione 1026 nel ranking mondiale (career high 869 nel settembre 2013). La ragazza di origini napoletane, trapiantata in Germania fin da ragazzina, è salita, suo malgrado, alla ribalta nel 2013. Non per i suoi risultati sportivi, bensì per essere stata squalificata dalla Tennis Integrity Unit in seguito ad un presunto tentativo di combine nel corso di un torneo ITF disputato a Sharm el-Sheikh.

Claudia è una ragazza semplice e spontanea. Non le manca l’ambizione ed è animata da un grande desiderio di rivincita. Vuole riscattarsi agli occhi del mondo del tennis che troppo facilmente l’ha giudicata perché “io sono innocente, ma nessuno mi ha mai creduto”. E adesso vuole prendersi la sua rivincita. Soprattutto nei confronti di chi l’ha lasciata sola nel momento più difficile. Perché nonostante tutto, nonostante la squalifica, le accuse, la solitudine e gli infortuni che hanno minato la sua carriera fin da giovane, ha trovato dentro di sé la forza di reagire, di darsi una seconda possibilità. Voleva dire basta Claudia, mollare tutto, perché per lei “il tennis è divertimento, è libertà” mentre in quel momento tutto ciò che provava era delusione.
Ha deciso di raccontarci la sua versione dei fatti sulla nota squalifica, ci ha descritto i suoi primi passi sul campo da tennis, ci ha parlato della scelta di essere seguita da suo padre, dei problemi avuti con le Federazioni, della difficoltà di mantenere una carriera agonistica. Ci ha inoltre rivelato di non amare l’ambiente tennistico ma di avere una passione smisurata per il gioco e non ci ha nascosto le sue ambizioni né le sue fragilità.
La giovane azzurra sta vivendo un periodo complicato dal punto di vista sportivo. La stagione 2016 non è iniziata nel migliore dei modi: ha fallito le qualificazioni a Grenoble (dove dopo un ottimo primo incontro è stata eliminata al secondo turno da Cristiana Ferrando) e Trnava. Dopo la trasferta in Slovacchia si è spostata in Tunisia, dove ha partecipato a cinque tappe del torneo di Hammamet. Bottino risicato per Claudia, che è ancora alla ricerca della prima vittoria stagionale in un main draw. In Tunisia ha fallito due volte la qualificazione al tabellone principale e nelle altre tre tappe è stata sconfitta al primo turno.
Insomma, la risalita è lunga, il tempo perso molto, ma Claudia si è finalmente lasciata il passato alle spalle. La rincorsa verso la sua personale rivincita è appena iniziata, ma siamo sicuri che non si arrenderà tanto facilmente. La voglia e la passione non le mancano di certo.

Ciao Claudia, che ne dici di iniziare raccontandoci qualcosa di te, in modo che i nostri lettori possano iniziare a conoscerti meglio? Come ti sei avvicinata al mondo del tennis?
Nella mia famiglia l’unico ad aver giocato a tennis è mio zio. Il vero sportivo però è stato mio padre, pilota di Formula 3. Ci siamo trasferiti in Germania poco dopo la mia nascita per volontà di mio padre. Avevo quattro anni, ero seduta sul divano di casa con mio padre e stavamo assistendo ad una partita della Williams. A quel punto lui mi chiese se volevo provare a giocare a tennis. “Certo, perché no? Buttare una pallina sopra la rete è facilissimo. Domani vedrai anche me in televisione” risposi io. Così il giorno seguente ci recammo su un campo e provammo a giocare. Cercando di prendere la pallina mi resi subito conto che non era così facile come sembrava. Da lì ho iniziato a giocare nel club della mia città e non mi sono più fermata. Il tennis è divertimento, è libertà. Quando gioco a tennis mi sento bene.

Qual è per te l’aspetto più complicato del gioco?
Quello mentale. Finché giochi e non pensi va tutto bene. Il problema è quando inizi a pensare. E non va più bene niente. Le pause fra un punto e l’altro, quando sei seduta a bordo campo… Ti fermi a pensare agli errori precedenti, alle occasioni mancate. L’aspetto mentale è quello che distingue i grandissimi dai buoni giocatori. Ed è il mio problema più grande.

Che tipo di giocatrice sei? Quali sono le tue caratteristiche principali e su quale superficie ti senti più a tuo agio?
Sicuramente sul veloce. Non amo molto la terra, soprattutto perché odio scivolare. E prediligo gli scambi corti e rapidi. Sono una giocatrice di attacco, gioco soprattutto di dritto e cerco di venire a rete il più possibile. Spingo molto con il servizio cercando di prendere subito in mano lo scambio.

Sei allenata da tuo padre. È sempre stato così o in passato hai lavorato anche con altri tecnici?
Sì, in passato ho lavorato anche con altri coach. Da bambina sono stata seguita da un allenatore specializzato fino a quando sono stata notata da un coach del mio circolo che mi è stato davvero utile. È stato lui ad insegnarmi i fondamentali e la tecnica e ha reso il dritto il mio punto forte. Però mio padre mi è stato sempre vicino. Ho lavorato anche con alcuni tecnici federali ma non è andata benissimo. Né con la Federazione tedesca, né con quella italiana. Da piccola mi allenavo spesso con Annika Beck. Dopo averla battuta una volta in allenamento non mi hanno più permesso di giocare con lei. E da quel momento lei ha iniziato a giocare soltanto con il suo allenatore. Per l’Italia ho giocato da ragazzina la Coppa Belardinelli vincendo tra l’altro tutte le partite. Quella è stata l’ultima volta che mi hanno chiamato. Da lì in poi non ho più sentito nessuno. Ho persino chiesto degli aiuti in passato, ma niente. Per i tedeschi sono italiana e per gli italiani sono tedesca. Mi sono dovuta arrangiare da sola.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi derivanti dal fatto di essere allenata da tuo padre?
La cosa più importante è che lui non ha interessi nascosti. Se lui mi dice una cosa è per il mio bene e basta. Però litighiamo spesso. Come tennista e allenatore. Mai come padre e figlia. Lui a volte mi mette sotto pressione per cercare di stimolarmi, ma io spesso mi irrigidisco. Mi capita di piangere, di farmi prendere dallo sconforto, dalla paura di non riuscire a fare quello che lui mi chiede. Ma mio padre conosce meglio di chiunque altro il mio potenziale e cerca continuamente di tirarmelo fuori. “Non bloccarti, tu sei forte! Sai quello che puoi fare” mi ripete sempre.

Quali sono i tuoi margini di miglioramento dal punto di vista tecnico, tattico, mentale e fisico?
Fisicamente sto benissimo. Mi alleno da sola, senza preparatore. Faccio piscina, palestra, atletica, molta resistenza. Ho iniziato da poco a praticare anche la boxe, molto utile per migliorare la rapidità nell’avambraccio al momento di colpire la palla. Inoltre ti costringe a stare bassa e a muoverti sempre sulle punte dei piedi. Fare altre cose mi permette di distrarmi un po’, di non focalizzarmi solo sul tennis. Per quanto riguarda la tecnica, sto cercando di lavorare su precisione e profondità del dritto mentre sul rovescio ho lavorato molto nel periodo in cui mi sono allenata da Castellani. Da un punto di vista tattico, l’obiettivo è quello di essere sempre più aggressiva e comandare lo scambio, non subire il gioco dell’avversaria. Anche se questa impostazione mi porta a commettere qualche errore di troppo, ma ci stiamo lavorando. Ovviamente stiamo cercando di migliorare anche la fase difensiva e gli spostamenti in avanti su cui ho qualche difficoltà in più, mentre mi muovo molto bene in laterale. Stiamo provando anche ad inserire qualche variazione, come la palla corta ad esempio. Ma l’aspetto su cui stiamo lavorando maggiormente è quello mentale. Sulla ricerca della concentrazione e sull’essere positivi anche nei momenti di difficoltà. In passato mi sono avvalsa anche dell’aiuto di uno psicologo sportivo.

C’è stato un momento della tua carriera, quando eri ancora molto giovane, in cui sembravi davvero lanciata verso grandi obiettivi. Poi è arrivato il grave infortunio alla spalla che ti ha tormentato per molto tempo. Come stai adesso?
Parto dal principio. Considera che a dieci anni inizia a giocare i tornei europei a livello under 14. E arrivai al numero 90 in Europa. A tredici anni passai subito a giocare i tornei Open. Disputai quattordici tornei in un anno; ne vinsi dodici e feci finale negli altri due. Fu un anno bellissimo. A quindici anni ero nelle prime 900. Poi è arrivato l’infortunio alla spalla che in pratica mi ha bloccato per quasi quattro anni. Non ero completamente ferma ma non riuscivo a giocare più di due tornei a stagione. Dopo terapie su terapie decisi di operarmi. Tutto inutile. Il dolore continuava a tormentarmi. Ma non mi sono mai arresa. Ci sono voluti anni per capire che in realtà il problema non è nell’articolazione ma nei nervi. Ho una cassa toracica troppo piccola che finisce per comprimere il nervo della spalla. La conseguenza è che il nervo si infiamma causandomi intorpidimento delle dita. In realtà è una cosa con cui ho ormai imparato a convivere, non ho altre possibilità. A volte mi fa ancora un po’ male ma tutto sommato riesco a tenerlo sotto controllo.

A PAGINA 2 Claudia racconta la sua verità sulla squalifica del 2013

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