Tornei scomparsi. WCT Finals Dallas, il Masters alternativo - Pagina 2 di 3

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Tornei scomparsi. WCT Finals Dallas, il Masters alternativo

Per “i tornei scomparsi” è oggi il turno delle WCT di Dallas. Storia di partite meravigliose e di fuoriclasse d’altri tempi. E del sempre meraviglioso John McEnroe

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Dopo due finali australiane, finalmente il pubblico di Dallas può dividere il proprio tifo per due connazionali. Nel 1973 sono Stan Smith e Arthur Ashe a giocarsi il trofeo e raccogliere l’eredità lasciata da Rosewall e Laver, proprio da loro eliminati nel turno precedente. Gli otto finalisti sono arrivati a Dallas dopo essere stati divisi in due gruppi e aver giocato ventidue tappe di avvicinamento; i primi quattro di ciascun gruppo hanno staccato il biglietto per il Moody. Il giovane australiano John Alexander ha superato Richey battendolo a Goteborg e quindi sorpassandolo all’ultima curva mentre Roger Taylor ha fatto ancora “meglio” in quanto è stata la vittoria nell’unico confronto diretto con il connazionale Cox a dargli la qualificazione a spese del connazionale.
Mentre Alexander paga il noviziato contro Smith e Laver regola Emerson, nella parte bassa occorrono cinque set per stabilire le vittorie di Rosewall su Taylor (che era avanti 2-1) e di Ashe su Riessen. Poi, Arthur prende Ken per sfinimento e rende vana la rimonta da 0-2 a 2-2 (6-2 al quinto) mentre fra Smith e Laver i parziali sono quattro ma tutti di straordinaria intensità: finisce 4-6 6-4 7-6 7-5 per il gigante di Pasadena, che invece avrà vita più agevole in finale.

Nel biennio seguente gli attori del circuito WCT vengono divisi in tre gruppi e giungono a Dallas i primi due di ciascun gruppo più i due che hanno totalizzato più punti dai terzi in poi. È così che nel ’74, mentre vengono sperimentati per la prima volta i rilevatori elettronici per stabilire se la palla è dentro o fuori, Borg e Kodes, terzo e quarto nel gruppo verde, volano in Texas e, non paghi, si giocano la finale dopo aver battuto rispettivamente i favoriti Ashe e Nastase in tre set. Lo svedese, che di lì a un mese farà suo il Roland Garros, non concede nemmeno una palla break e in semifinale lascia un solo set al cecoslovacco. In un Moody Coliseum tappezzato a festa con gli eleganti drappi verdi e blu, John Newcombe riporta il titolo in Australia tenendo a bada un Borg ancora acerbo ma per nulla intimorito dalla grandezza dell’evento; il baffo mette le mani sul trofeo davanti al pubblico record di oltre novemila spettatori (alcuni in piedi) ma la stella è scandinava.

Siamo al 1975 e l’orso gioca contro Ashe la seconda delle sue tre finali consecutive; la perde in quattro set perché il giorno prima ha speso troppo. Quattro ore e due minuti per aver ragione di Rod Laver in un match generazionale nel quale l’australiano cercava di inseguire l’unico grande titolo che manca alla sua invidiabile collezione. In realtà i due si sono sconfitti a vicenda. Rod, avanti 2-1, ha recuperato due break nel quarto set ma un punto contestato all’inizio del tie-break lo ha indispettito e al quinto è crollato. Bjorn però ha speso troppo per aggiudicarsi il match e contro Ashe ha mandato in campo solo la sua ombra.

Al terzo tentativo, Borg fa centro. Per la prima volta senza australiani in campo, alle Finals cambia la filosofia di gioco e sono i regolaristi ad avere la meglio sugli attaccanti. Di questi, solo l’americano Dick Stockton vince una partita ma in semifinale rimedia dieci giochi contro Vilas. Nell’altra sfida, Borg ne lascia otto ad Harold Solomon che si era distinto per la vittoria su Arthur Ashe, colui che aveva vinto a mani basse la classifica a punti della WCT. A detta dello svedese “il momento chiave della partita è stato quando mi sono trovato a due punti dal perdere il terzo set, sul 4-5 e 30-30. Superato quell’ostacolo ho capito che potevo farcela”. Una finale diversa da tutte le precedenti, con tanti palleggi (ben 85 nello scambio più lungo!) e tante rotazioni, dieci minuti per completare il primo gioco e la frustrazione di Vilas che conosce bene Borg (i due si sono allenati insieme anche qualche ora prima del match) ma nelle occasioni importanti non riesce a contrastarlo.

Dal 1977 in poi, Dallas diventa americana a tutti gli effetti. Da quella data infatti (e fino alla fine) ci sarà almeno uno statunitense finalista undici volte su tredici. I primi due sono Connors e Stockton. Jimbo è al debutto nel WCT di cui “ho sentito tanto parlare negli anni passati” e le ultime due volte che ha affrontato Dick gli hanno lasciato in eredità brutti ricordi. Nella finale di Filadelfia, con la morte nel cuore per le gravissime condizioni del padre, ha perso in cinque set mentre qualche settimana dopo a Toronto, sempre in finale, ha dovuto ritirarsi sul 6-5 del primo set per un infortunio. Stockton ha un anno e mezzo in più di Connors ed è un prodotto dei college, del Trinity per la precisione; la leggenda narra che, quando erano entrambi giovani, Stockton battesse spesso Connors tanto che mamma Gloria, una volta, avrebbe chiesto a Stockton di iscriversi alla categoria superiore così da permettere al figlio di vincere in quella inferiore.
Ma, si sa, a volte le leggende sono pura invenzione al servizio del mito. In ogni modo, i quattro americani convenuti a Dallas staccano il biglietto per le semifinali ma l’approdo dei due finalisti all’atto conclusivo avviene con modalità assai differenti. Connors non ha ceduto nemmeno un set a Panatta e Dibbs mentre Stockton ha dovuto fare le ore piccole per avere ragione sia di Drysdale che, soprattutto, di Gerulaitis. I cinque set contro Vitas e la testa sul cuscino non prima delle 3 del mattino influiscono sul rendimento del newyorchese che, pur arrivando al Moody Coliseum guidando una Cadillac Sevilles con il suo nome stampigliato sulle portiere (trattamento riservato a tutti i finalisti), è in riserva già alla fine del primo set (vinto al tie-break) e si arrende in quattro.

Sempre una Cadillac, ma il nuovissimo modello Eldorado, insieme a un anello con diamante e 50.000$ è invece quanto riceve Gerulaitis nel 1978, l’anno in cui la doppia defezione di Connors e Sandy Mayer permette a Stockton e Barazzutti di entrare nei primi otto. Il favorito è Borg ma lo scandinavo non scende in campo per la semifinale a causa di un infortunio e Vitas può traghettarsi tranquillamente in finale dove si toglie la soddisfazione di strapazzare il connazionale Dibbs, che l’aveva battuto nei due precedenti.

Dal 1979 al 1984, Dallas diventa la seconda casa di John McEnroe. Sei finali consecutive, di cui quattro vinte, rappresentano il record del torneo. Nel ’79 si gioca per l’ultima volta al Moody e l’addio al mega-impianto universitario è in stile con la grandezza della manifestazione. Il lotto dei finalisti è quanto di meglio possa offrire al momento il tennis maschile e le tappe di avvicinamento all’evento hanno indicato nella triade magica Borg-McEnroe-Connors i principali se non unici favoriti. John è l’uomo nuovo e quando deve scontrarsi con il connazionale Connors in semifinale sa di non averlo mai battuto veramente (l’unica volte che è successo, al Masters di New York, Jimbo si è dovuto ritirare) in sette partite. Le finali iniziano male per lui; John è nervoso, si tira contro il pubblico con alcune sceneggiate delle sue ma alla fine John Alexander rimedia sei giochi. Connors ha perso un set con Gene Mayer, secondo cui “Jimmy ha il miglior passante del circuito ma credo che il suo gioco non sia più al livello di qualche anno fa”, e ne perde tre senza attenuanti contro McEnroe. Il match non è mai in discussione tranne due palle-break salvate da John nel terzo, la seconda con un passante di rovescio di quelli che lasciano il segno.
Dalla parte bassa del tabellone emerge Borg, spietato con l’australiano Masters e in difficoltà contro Gerulaitis. In vantaggio 2-0 (7-5 7-6), lo svedese ha totalizzato due punti in meno dell’amico. Vitas fa suo il terzo ma nel quarto Borg torna se stesso e va in finale. “Quando giochi con uno come McEnroe devi essere al meglio per pensare di batterlo” dichiara Bjorn che interrompe a quota 17 la striscia di vittorie consecutive. Solo Tanner (Albany 1972) e Ashe (Wimbledon 1975) avevano battuto Connors e Borg nello stesso torneo. Adesso sono in tre.

Il primo cittadino di Dallas, Bob Folsom, ha da poco terminato il suo discorso nell’ampio parcheggio antistante la struttura quando, il 28 aprile 1980, il sudafricano Johan Kriek e lo statunitense John Sadri aprono le danze e inaugurano con la loro sfida la Reunion Arena. Quella che, fino al 2001 sarà la casa dei Mavericks e nel 1999 vedrà assegnare la Stanley Cup ai Dallas Stars per la prima e unica volta nella storia della franchigia texana di hockey ghiaccio, diventerà la sede delle finali per il decennio successivo.
Non è un esordio particolarmente fortunato e Hunt sottolinea il suo disappunto proprio in occasione del match inaugurale. Nonostante siano stati venduti 15.000 biglietti, sugli spalti ci sono appena 7.000 spettatori: “Non mi meraviglio, a Wimbledon questo sarebbe un primo turno. E lo metterebbero nel campo 12!”. Tutto questo perché l’assenza del numero 1 del mondo Bjorn Borg (e quelle di Gerulaitis, Vilas, Dibbs, Tanner, Gene Mayer, etc…) pesa non poco ma la finale riscatta un’edizione sotto tono e premia Jimmy Connors, che impedisce a McEnroe di eguagliare Rosewall e confermarsi campione. Jimbo mette sul campo il suo temperamento e vuole dimostrare al più giovane connazionale che il suo tempo non è ancora scaduto. John domina il primo set ma il tie-break del secondo favorisce Connors e da quel momento la finale sterza decisamente verso l’Illinois.

Il 1981 è l’anno dello scisma. Il 30 aprile Lamar Hunt, in una conferenza stampa a Dallas, annuncia che la sua creatura deve ritrovare l’identità smarrita nelle ultime stagioni e le “nozze” con l’ATP non hanno portato niente di buono. Dal prossimo anno il WCT tornerà a correre per suo conto: diciotto tornei ciascuno con un montepremi di 300.000$, di cui un terzo riservato al vincitore. L’Associazione dei Tennisti Professionisti e la Federazione Internazionale si dicono dispiaciuti ma non fanno molto per cambiare lo stato delle cose e di conseguenza la rottura è inevitabile.

Intanto, anche se non sembra, ci sono le Finals da giocare. Connors e il francese di colore Yannick Noah dovrebbero essere della contesa ma infortuni di diverso tipo li mettono ko e vengono rimpiazzati da Sandy Mayer e Sammy Giammalva. Nel deserto, John McEnroe concede una media di tre giochi a set e diventa il primo campione ad alzare il trofeo senza aver perso nemmeno un set.

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