US Open 2016, chi non molla si rivede, riecco gli Harrison e Laura Robson

US Open

US Open 2016, chi non molla si rivede, riecco gli Harrison e Laura Robson

I fratelli Harrison e Laura Robson: tre facce non nuove, ma tre piacevoli ritorni al tennis che conta da parte di chi non si è lasciato scoraggiare dalle avversità e dagli infortuni

Pubblicato

il

Ryan Harrison al torneo ATP di Acapulco 2015
 

Forse è l’onda lunga di del Potro, eroe ritrovato delle Olimpiadi di Rio. Forse è un segno che il karma esiste. O forse è il risultato di lavoro, sudore e dedizione. In questa fine di agosto a Flushing Meadows i rinnovati ground del Billie Jean King National Tennis Center hanno rivisto alcune facce che qualche anno fa erano indicate come l’immagine del tennis futuro, una generazione di sicuri campioni, che poi per sfortuna o altro non sono riusciti a diventare o a rimanere inquilini fissi nei piani alti del ranking.

Le storie dei fratelli Harrison sono diverse, ma accomunate da una carriera per il momento molto al di sotto delle attese e da un’età dei protagonisti che lascia loro ancora ampi margini per recuperare il tempo perduto. Ryan e Christian Harrison, figli di Pat Harrison, buon giocatore di tennis a livello di college ed ora coach alla Bollettieri Academy in Florida, erano stati additati da parecchi addetti ai lavori come grandi speranze del tennis a stelle e strisce, ma sono inciampati nelle tante difficoltà che rendono il cammino verso l’Olimpo del tennis uno di quelli che solo in pochi riescono a completare.

Ryan, classe 1992, si era affacciato al tennis professionistico a 15 anni, diventando il primo giocatore dopo Rafael Nadal a vincere un match a livello ATP prima del sedicesimo compleanno. Dopo aver fatto registrare diversi altri record di precocità, nelle stagioni 2011 e 2012 aveva consolidato la propria posizione all’interno dei Top 100, raggiungendo il proprio best ranking al n.43 nel luglio del 2012, partecipando alle Olimpiadi di Londra ed entrando a far parte della squadra americana di Coppa Davis. Poi una involuzione tecnica, un servizio che non era più quell’arma esplosiva dei primi anni, un rovescio non all’altezza e soprattutto un carattere particolarmente irascibile lo avevano mancare i primi appuntamenti con il salto di qualità, così disperatamente atteso dal tennis americano in cerca di un nuovo messia dopo il declino e l’eventuale ritiro di Roddick. Dissapori con il padre, continui cambi di allenatore, alcuni dei quali anche forniti dalla USTA (uno su tutti, Brad Gilbert), non hanno aiutato la carriera di Ryan, che a parte una estemporanea semifinale all’ATP 500 di Acapulco nel 2015 (vittoria su Dimitrov e sconfitta poi contro Ferrer), si era dovuto arrabattare tra i tornei Challenger, rimediando soltanto una vittoria in Australia ad Happy Valley.
Dopo l’annuncio la primavera scorsa del suo fidanzamento con Lauren McHale, sorella della tennista Christina, Ryan ha iniziato a risalire la classifica (dopo essere per un breve periodo persino uscito dai primi 200) ed ha infilato alcuni buoni risultati al Masters 1000 di Toronto ed all’ATP 500 di Washington. Agli US Open ha passato le qualificazioni per poi superare anche al primo turno il francese Adrian Mannarino, procurandosi quindi un’occasione per incontrare di nuovo un suo quasi coetaneo, Milos Raonic, che invece si è già stabilito con successo nel Gotha della Top 10. “Sono molto contento di come ho giocato, a parte la vittoria, perché sono riuscito a tradurre alcune delle esperienze e delle situazioni che ho provato in allenamento e nel World Team Tennis quest’estate in questa partita”. Ryan ha giocato con i San Diego Aviator nella competizione-esibizione che vede squadre competere l’una contro l’altra in match disputati su campi colorati, mentre il pubblico fa rumore e viene sparata musica a tutto volume tra un punto e l’altro. “La gente non si rende conto di quanto rumore ci sia sui campi laterali, con tutta la gente che si muove ed i suoni che vengono dall’Arthur Ashe. Aver giocato nel World Team Tennis mi ha aiutato a gestire meglio questa situazione”.

Ma l’aspetto più speciale di questa sua avventura agli US Open 2016 è che Ryan la sta vivendo insieme a suo fratello Christian, di due anni più giovane, che da teenager prometteva forse ancora di più del fratello, ma che alla dea bendata deve aver fatto qualche dispetto, perché ha passato più tempo infortunato che in campo. “Ho dovuto affrontare sette operazioni, infezioni alle ossa, addominali, spalla, polso – ha detto Harrison jr dopo la sua dura sconfitta al primo turno contro Paul Henri Mathieu – ho avuto due lunghe pause nella mia carriera, circa 18-19 mesi per la prima, e due anni e mezzo per la seconda”.

Quando si parla di Christian, gli occhi di Ryan si illuminano: “Non potrei essere più orgoglioso di mio fratello e di quello che sta facendo. Non so dirvi quanto tempo abbiamo passato al telefono dopo le 11 e mezzo di sera perché Christian non riusciva a dormire e voleva sapere da me cosa si prova a vivere tutte quelle esperienze da atleta professionista che lui vuole disperatamente vivere in prima persona, ma che temeva di non poter raggiungere a causa dei suoi problemi fisici. Ora che riesce a giocare ed è sulla via del pieno recupero, deve capire come l’esperienza che ha vissuto lo può aiutare a diventare un giocatore migliore. Dover affrontare una palla break è nulla rispetto a quello che ha dovuto affrontare lui.

Il rapporto tra i due fratelli sembra davvero splendido: Ryan è stato tra i primi a chiamare Christian dopo la sua vittoria nell’ultimo turno di qualificazione agli US Open 2016, mentre lui era ancora a bordo campo. “L’unico potenziale aspetto negativo di avere un fratello nel Tour è che può capitare di doversi incontrare, cosa che davvero non vorrei fare, perché io voglio che mio fratello vinca – dice Ryan – preferirei incontrare Novak piuttosto che Christian. Anche se lui sembra di parere diverso”.

Ora l’obiettivo principale di Christian è gestire il suo corpo in modo tale da non infortunarsi più ed imparare a gestire la vita nel tour, con le vittorie e le sconfitte. “Dopo il primo infortunio, non riuscivo ad accettare di non poter tornare subito quello di prima. Perdevo con ragazzi che avrei dovuto battere facilmente, e questo era inaccettabile per me. Di conseguenza lavoravo molto di più, finendo per infortunarmi ancora e più gravemente. Ora so che non posso agire in questo modo, che devo rispettare il mio corpo ed ascoltare i messaggi che mi manda”.

L’obiettivo di breve periodo è quello di ottenere un ranking per entrare nelle qualificazioni degli Australian Open o nei French Open, “ma soprattutto voglio rimanere in salute”.

Obiettivo che sicuramente rimane la priorità anche di Laura Robson, la tennista inglese che vinse Wimbledon Juniores a 14 anni nel 2008 e che conquistò la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra in doppio misto in coppia con Andy Murray, arrivando fino al n.27 del ranking WTA nel luglio del 2013. Da allora un’operazione al polso destro ed un lentissimo recupero che l’ha vista uscire dalla classifica e che le ha permesso di disputare solo una manciata d’incontri negli ultimi tre anni.
La vittoria nel Challenger di Landsville, Pennsylvania, qualche settimana fa le ha procurato una wild card per il tabellone di qualificazione degli US Open, in maniera così sorprendente che Laura ha dovuto tornare negli USA immediatamente dopo aver raggiunto Napoli per una vacanza con gli amici, dove si era recata direttamente da Landsville.
Sapevo che le chance per una wild card erano basse – ha dichiarato Laura Robson al podcast NCR – per cui avevo deciso di andare in Italia in vacanza con alcuni amici. Appena arrivata là, ho accompagnato i miei amici in albergo e poi sono tornata subito indietro”.

Tra un paio di giorni quando penserò a questo torneo, mi renderò conto di tutte le cose positive che mi ha dato – ha detto Laura dopo la sconfitta al primo turno del tabellone principale contro la Broady – però per il momento sono piuttosto delusa”. Certo si tratta di un ottimo risultato, per chi un anno fa era di fatto fuori dal tennis che contava. “Ora ho 10 tornei per arrivare alla fine dell’anno – ha spiegato la Robson – chiaramente non li giocherò tutti, dipende da quante partite riesco ad accumulare in ogni torneo. La wild card ottenuta qui è stato un bonus, ma ora devo giocare bene a livello Challenger per costruire un ranking tale da poter tornare qui senza aver bisogno una wild card. Il mio obiettivo è soltanto vincere partite, molto semplice. Vincere partite e rimanere in salute”.

Bentornata Laura, bentornato Christian ed in bocca al lupo a Ryan: il tennis ha bisogno anche di voi, grandi talenti che tanto possono dare a questo sport. Per dare una speranza a tutti quelli che, in ogni ambito della loro vita, combattono le avversità per raggiungere i propri sogni.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement