Può sembrare sciocco dedicare alla sfida tra Fabio Fognini e Novak Djokovic, che incombe, più del minimo sindacale di attenzione. Il secondo turno del Masters 1000 di Shanghai che li oppone lascia poco spazio a pronostici fantasiosi: il numero uno ATP dal luglio del 2014 contro un ex top-15, 7-0 per il primo nel conto dei precedenti sul circuito maggiore e così via. Per di più, se la seconda parte di stagione di Djokovic è stata fin qui un mix di luci e ombre, quella di Fognini ha prodotto più buio che altro.
Dal matrimonio in poi, Fabio ha inanellato una non trascurabile serie di delusioni. Ha nell’ordine: gettato alle ortiche un secondo turno di Wimbledon quasi vinto (con polemica); perso il suo primo singolare casalingo di Coppa Davis dal 2008; ottenuto zero medaglie olimpiche tra singolare (c’era poco da fare) e doppi (qui magari…); perso per la decima e la undicesima volta contro David Ferrer, anzi, contro il suo fantasma; rischiato di uscire dai primi 50. Nel mezzo ci ha messo anche un paio di sconfittacce, contro Jared Donaldson e Mischa Zverev. E sì, il trofeo che ha sollevato in quel di Umago, emergendo vincitore da un tabellone di livello challenger: non proprio il riscatto del campione.
Il miracolo che gli si chiede non sembra avere troppi presupposti per avverarsi, insomma, e al netto del patriottismo – che poi nel caso di Fognini e Djokovic è una questione spinosissima, dato che non di rado gli appassionati di tennis italiani sentono più “loro” il serbo del ligure – le speranze di emozionarsi sono pochine. Qualche spunto statistico per far parlare di sé questo confronto ce lo regala pure, però si tratta di regali piuttosto deludenti. Un esempio? Shanghai è l’unico torneo dove i due si sono già affrontati più di una volta, 2009 e 2013. Ma nella prima occasione Fognini portò via appena quattro game, nella seconda giusto due in più, non una gran crescita. E nei due precedenti nei quali Djokovic si trovava in vetta al ranking, Fabio gli strappò un set, per di più giocato benissimo (era tre Indian Wells fa). Però gli altri cinque li perse con punteggi senza storia, due 6-2, un 6-1 e un bagel. Lo stesso vale per tutti gli altri set giocati contro chi al momento ricopriva la posizione numero uno: 6-1 6-1 da Federer nel 2007, 6-2 6-2 da Nadal nel 2014.
Fin qui abbiamo guardato alla sfida dal lato di Fognini, dei numeri, e anche il migliore degli ottimisti non ne è uscito rinfrancato. Proviamo a puntare le telecamere su Djokovic, adesso: è qualcosa che si fa ogni minuto del giorno, da anni. Siamo ormai abituati ad aspettarci poche sorprese, e quasi nessuna novità. Eppure, telecamera dopo telecamera, dopo telecamera…
Avevamo parlato di luci e ombre per Nole, prima. Se fino a qualche sconfitta fa le “ombre” sembravano una questione di risultati, una piccola flessione di motivazione dopo il Career Grand Slam ottenuto e il Grande Slam fallito, da qualche settimana si sono allungate sulla sua sorridente e scintillante vita privata. Voci di crisi coniugali, sportive, infortuni più seri del previsto, ritorni al muro dove palleggiava da bimbo tra le bombe. Zero match giocati, intanto, come da programmazione. Già, Djokovic non scende in campo dalla sconfitta contro Stan Wawrinka nella finale degli US Open. Da quella sera a Flushing Meadows il circuito si è di nuovo sparpagliato, fra torneini e torneucci, con qualche evento degno di nota, e poi è volato dal lato opposto del globo per il celebre swing asiatico. Finché non gli è piombata addosso la conferenza stampa del serbo: “Il numero uno del ranking o i titoli adesso non mi interessano più, non sono più la mia priorità”. E non è la risposta di un tennista soddisfatto di ciò che ha raggiunto. È la risposta di un uomo al limite, che non ce la fa più (anche) di tutte quelle telecamere.
Qualche dato, qualche acciacco, qualche cruccio dell’uomo. Finisce qui quel poco che c’è da dire sull’incontro, che arriva in un momento difficile per entrambi e che tenderà la mano soltanto a uno dei due. A cosa potrebbe aggrapparsi, lo spettatore che volesse credere nelle possibilità di Fognini? A questo poco, e a poco altro. Alle recenti vittorie su Nadal, magari, quando Nadal era ormai già in declino, perché forse un accenno di declino questo Djokovic lo sente già.
O magari a quell’ottavo precedente dimenticato, che la ATP non considera. Quando Fabio Fognini aveva diciott’anni, Novak Djokovic altrettanti e nessuna telecamera li inquadrava, nel turno finale delle qualificazioni a Roma. Fabio vinse 7-6, 1-6, 6-3, era un’altra vita. Ma forse, nelle ultime parole di Djokovic, si può leggere che quello di domani sarà per lui il primo incontro di un’altra vita ancora. Vale la pena tentare.