Crollo Djokovic, rabbia ed errori: “Devo ritrovarmi” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Un paio di settimane fa, durante una conferenza stampa, aveva affermato che «il numero 1 al mondo e i tornei non sono più una priorità». Indubbiamente Novak Djokovic è uomo di parola, tanto che al Masters 1000 di Shanghai, nella semifinale contro il numero 19 al mondo Bautista Agut, ha perso in due set. A giudicare dalla racchetta spaccata, la maglietta strappata, i battibecchi col giudice di sedia («voleva essere la star dello show», dirà), sembra che Nole attraversi un periodo in cui la tensione, la pressione e la rabbia stiano avendo il sopravvento. E così il numero 1 al mondo se ne torna a casa dalla campagna d’Asia senza nemmeno un trofeo, cosa che non gli accadeva dal 2008. Una fase passeggera, forse, dopo il 2015 dei record e il 2016 in cui è riuscito a sfatare il tabù parigino. E’ possibile che giocare con la pancia troppo piena al serbo non abbia fatto bene. Il tabellino della semifinale di questo penultimo 1000 della stagione parla chiaro: 29 gratuiti di Nole e soltanto due palle break trasformate su nove. A fine partita ammetterà: «Non c’è dubbio che debba ritrovarmi soprattutto dal punto di vista mentale ed emotivo». Voci sempre più insistenti, alimentate anche da una sua frase di qualche giorno fa («Con Boris non abbiamo ancora parlato dell’anno prossimo») parlano addirittura di una possibile rottura con il coach Becker, che è stato fondamentale per la sua salita all’Olimpo. Insomma un Djokovic da riprogrammare, a quanto si è visto da dopo il Roland Garros: «Probabilmente si tratta solo di stanchezza per la quantità di partite che ho giocato negli ultimi 15-20 mesi. Prima o poi doveva succedere — analizza il vincitore di 12 Slam —, sapevo che non avrei potuto mantenere sempre un livello così alto, ma ora ho bisogno di prepararmi al meglio per la stagione indoor in cui ho sempre avuto ottimi risultati». Per un Djokovic deluso c’è un Bautista Agut pazzo di gioia per aver raggiunto la prima finale di un 1000 in carriera, e per di più battendo il numero 1 del mondo: «Ho cercato di essere aggressivo, di forzare il suo gioco. Mai nella mia vita avrei pensato di raggiungere un risultato come questo – ha detto il valenciano -. Ma non sono una star, sono un buon giocatore che cerca di lavorare e sforzarsi al massimo per riuscire». Oggi la finale contro Murray sarà l’esame di maturità.
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Djokovic irriconoscibile, Murray verso il sorpasso (Angelo Mancuso, Il Messaggero)
A Shanghai cercava di ritrovare serenità e certezze, invece ha trovato rabbia e frustrazione. Novak Djokovic non solo ha perso nettamente in semifinale (doppio 6-4) con il 28enne spagnolo Roberto Bautista Agut, n.19 del ranking. Il n. 1 ha anche spaccato una racchetta e si è strappato la maglietta in un impeto d’ira. Quindi a fine match, dopo che Bautista si era preso il quarto match point con uno splendido passante lungolinea centrando la più bella vittoria della carriera, ha avuto un battibecco col giudice arbitro Carlos Bernardes, reo di avergli inflitto un “time violation”. E in conferenza stampa ha rincarato la dose. «Ha voluto essere la star dello show», ha polemizzato, segno di un nervosismo non da lui. E intanto Murray continua ad avvicinarsi: Nole saltando Pechino aveva consentito al rivale di recuperargli 1.000 punti. Se lo scozzese dovesse vincere, come probabile, pure a Shanghai (in semifinale ha superato per 6-4 6-3 Simon) si avvicinerebbe di altri 1.280 punti. In due settimane il solco passerebbe da 4.695 a 2.415 punti. Con meno di 1.000 lunghezze nella Race, la classifica stagionale, e con ancora da giocare Parigi-Bercy e il Masters a Londra. Il primato nel ranking vacilla dopo una prima parte di stagione da dominatore assoluto, culminata nel trionfo al Roland Garros: sembrava il passo per sfatare il tabù Grande Slam. Dopo Parigi, invece, Djokovic si è smarrito di colpo, inanellando una serie di ko: Wimbledon, le Olimpiadi di Rio, gli US Open. «Ci sono degli aspetti che devo sistemare dal punto di vista mentale – ha ammesso – e forse sono esausto per i tantissimi match negli ultimi 15-20 mesi. Prima o poi mi doveva succedere: sapevo che non avrei potuto giocare al massimo ogni settimana per tanti anni». La macchina perfetta del 29enne campione di Belgrado comincia a mostrare segni di usura (gomito, schiena, spalla) e le inattese battute a vuoto hanno aperto squarci nella sua fiducia: si vocifera di un possibile “divorzio” da Becker. Il suo tennis è dispendioso, senza punti facili, e richiede una condizione fisica al top e una concentrazione spietata. Il “consigliere” Boris, che pure lo ha accompagnato alla conquista di sei Slam, non riesce ad offrirgli altre soluzioni per risolvere le carenze offensive: non è con il suo servizio o con qualche discesa a rete in più che può uscire dalle corde. E vero che nel 2016 ha vinto due Slam, ma da Parigi si è imposto solo a Toronto ad agosto. E per un “cannibale” come Nole tutto ciò ha il sapore di un fallimento.
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Ora Camila non sa più vincere (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Camila Giorgi, come sei caduta in basso. In classifica, s’intende: era il 27 luglio 2015 quando la bionda di Macerata toccava il suo best ranking al n. 30 del mondo, chiudendo poi la stagione da n. 34. Oggi, quasi alla fine di una stagione iniziata benino – finale a Katowice, e quarti a Praga – ma continuata male, senza più un guizzo e con tante delusioni, è scivolata fino al n.85. Ben dieci sconfitte al primo turno – anche se, ammettiamolo, spesso con sorteggi sfortunati, vedi l’ultimo di Linz contro Madison Keys – qualche occasione persa e soprattutto l’impressione che quella giocatrice capace di far paura a tutte le big abbia perso fiducia, smalto, sicurezza. Una stagione storta può capitare e Camila è ancora giovane (compirà 25 anni il 30 dicembre), ma quello che è certo è che il traguardo delle Top 10 si è allontanato di parecchio. A inizio anno, complice la grande incertezza che regna nel tennis femminile, sembrava un obiettivo possibile, ora Camila lo guarda dentro un cannocchiale rovesciato. Sarà un caso ma lo sprofondo è iniziato fra aprile e maggio, quando i Giorgi, ovvero Camila e il papà-coach Sergio, hanno deciso rifiutare la convocazione in Fed Cup per il play-off salvezza contro la Spagna, tagliando così i ponti con la Federtennis. Da cui hanno ricevuto in passato aiuti non indifferenti sia sul piano logistico che economico, ma con la quale era evaporata o, per meglio dire, non si era mai creata, la giusta armonia. Da circa un anno inoltre Camila fa coppia fissa con Giacomo Miccini, ex speranza del nostro tennis, e qualcuno ha pensato che le ragioni del cuore abbiano contribuito a confondere il suo gioco tutto istinto, ma i veri motivi dell’involuzione vanno ricercati altrove. La rottura con la Fit le ha tolto serenità, di sicuro le avversarie hanno iniziato a conoscerla meglio. E a studiare le contromosse. «Ultimamente io e mio padre ci siamo concentrati maggiormente sulla tattica – ha ammesso Camila in una intervista a Sportface.it – sebbene il mio gioco resti istintivo lavoriamo su schemi da applicare in certe situazioni del match». Che a Camila sia mancato nel corso degli anni un po’ di ondine proprio a livello tattico, e magari un coach con un po’ di esperienza in grado di insegnarle qualche contromossa tattica, è storia vecchia, ma guai a dirlo a papà Sergio. Che ha avuto il grande merito di fare – da solo – di Camila una giocatrice e stenta a compiere un passo indietro come tecnico. «Mi è molto dispiaciuto quanto accaduto in Fed Cup – spiega Camila – ma ormai sulla Nazionale ci ho messo una pietra sopra. Non cambierò mai passaporto, ma c’è gente con cui non voglio più avere a che fare. Purtroppo non mi sono mai trovata bene, sono persone negative, non sono stata accolta bene sin dall’inizio». Peccato, per tutti. Perché se un paio di anni fa Camila era la terza o quarta opzione di un movimento che poteva contare su grandi fuoriclasse, con il ritiro, o la crisi delle veterane (Pennetta, Vinci, Errani, Schiavone, Knapp) oggi avrebbe potuto essere la punta di diamante del nostro tennis femminile. «La Fit sembra un clan», dice papà Sergio, duro e insieme possibilista. «Ma a determinate condizioni io potrei lasciar perdere le faccende legali. Il lato positivo di quest’anno è che Camila non è uscita dalle prime 100 e che nel 2017 non avremo molti punti da difendere. A volte annate così servono per crescere. Il tempo c’è, basta restare tranquilli». E magari imparare dagli errori del passato.