Gianni Clerici per Repubblica
In questo grande garage psichedelico, che già ho tentato di descrivere, mi è capitato di assistere a due partite, curiosamente analoghe. Si trattava di due match nei quali apparivano, favoritissimi non solo dai bookmakers, il n.1 e il n.2 del mondo, Andy Murray e Novak Djokovic. Questi due grandi tennisti dovevano incontrare, sulla strada che secondo i bookmakers potrebbe portarli alla finale ( il primo favorito a 5 contro 4, il secondo a 6 contro 5) avversari non proprio minorenni, ma giovani e non ancora famosi quanto loro, il montenegrino del Canada Milos Raonic, e il giapponese d’America Kei Nishikori. I secondi paesi, annoto per il lettore occasionale, sono quelli in cui i due hanno studiato tennis. Questi Raonic e Nishikori hanno, alla fine perduto le loro partite, ma Raonic è passato vicinissimo a una sorpresa non solo nel tie-break del primo set, in cui è giunto cinque e poi sei punti pari, ma anche nel secondo, nel quale si è rapparigliato a Djoko a 5 punti pari, sempre nel tie-break La cosiddetta sorpresa non è egualmente riuscita al giapponesino che, contro l’enfant du pays degli inglesi, Andy Murray, ha non soltanto vinto il tie-break del primo set, ma è giunto ad ottenere ben 11 palle break.
Al di là dei punteggi, si può domandarsi che cosa abbia accomunato i giovani nelle rispettive sconfitte. Sarebbe forse meglio rivolgersi da una parte al team di Raonic che, mi diceva ieri il capo-coach, Riccardo Piatti, possiede addirittura quel che è chiamato mental coach, il dottor Vercelli. Per quel che ho visto da me, impreparato psicologo, Raonic ha sofferto le 7 sconfitte subite sin qui da Djokovic. Nel vederlo peraltro, io che smemoro, attaccare un Djokovic in autentico disagio nel ribattere i suoi poderosi servizi e addirittura i rovesci tagliati, mi sono detto che non sarà una gran sorpresa il non lontano giorno in cui il risultato potrà invertirsi. Quanto al giapponesino, con Murray aveva vinto solo due volte, su nove precedenti match. Era accaduto su campi hard, come è definito questo che, per averci tentato due tiri prima di essere scacciato, definirei semi-hard. Si è visto che la capacità di imitare Agassi, testardamente suggerita da Bollettieri, è vicinissima ad un completamento. È mancata pero a Nishikori la convinzione di potercela fare contro un Murray che è – forse – al massimo delle sue umane possibilità, del suo ciclo tennistico-esistenziale. Il simil-Agassi giallo (ricorderei le dimenticate origini armene di Agassi) ha raggiunto il tie-break del primo set dopo 5 set point ……. Di fronte al nuovo Murray, faceva una scoraggiante impressione il comportamento prematuramente deluso, impressionavano le braccia spesso abbandonate…. Insomma, siamo o no pronti per il cambio generazionale? È una risposta audace, per un povero vecchio Scriba, ma credo ci stiamo arrivando.