Santiago: quarant’anni dopo tanta ipocrisia. E oggi tanta nostalgia per l’unica Davis - Pagina 2 di 2

Editoriali del Direttore

Santiago: quarant’anni dopo tanta ipocrisia. E oggi tanta nostalgia per l’unica Davis

LA STORIA – I ricordi del direttore. Il momento storico e la battaglia politica. La vittoria arrivò prima dell’arrivo a Santiago. “Non si giocano volée contro il boia Pinochet”

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Io che pure avevo seguito già per il mio giornale tutti i match precedenti alla finale – e cioè Italia-Polonia (a Firenze dove realizzai anche il Programma Ufficiale dell’evento), Italia-Jugoslavia (Pilic e Franulovic) a Bologna (con l’ex capitano di Coppa Davis Vanni Canepele che portammo in macchina e ci fece passare in quattro davanti ai “bigliettai” sbigottiti del circolo bolognese annunciandosi come “squadra italiana di Coppa Davis”!), Gran Bretagna-Italia a Wimbledon (confinati sul vecchio campo n.1 perché non era il caso di aprire il mitico “centre court” all’invasione “dei camerieri italiani dei ristoranti del West End”) con l’”erbivoro” Tonino Zugarelli alle prese con i fratelli Lloyd, la semifinale Italia-Australia a Roma contro l’imbattibile Alexander, il battibile Newcombe e Roche – non potei andare a Santiago. Con mio grande dispiacere naturalmente. Mio padre era ricoverato in ospedale per una grava malattia e io facevo le notti con lui, ex seconda categoria (quando ce n’erano pochi…) e grande appassionato. Insieme sentimmo le radiocronache che arrivavano dal Cile, commuovendoci per le vittorie dei nostri. Era una squadra straordinariamente omogenea, poche nazioni (fatta eccezione per Stati Uniti e Australia, e in tempo più moderni prima Svezia e poi Francia) avrebbero mai avuto tre giocatori capaci di arrivare a n. 4 del mondo, Panatta proprio quell’anno, Barazzutti n.7 un paio d’anni dopo, Bertolucci n.12 tre anni prima, con il quarto, Tonino Zugarelli best ranking n. 27.

Fu un 3 a 0 senza troppi patemi. Io firmai gli articoli come Archibald Smith (stessa firma che avevo usato all’epoca della trasferta non affrontata in Sud Africa). Barazzutti vinse il singolare d’apertura contro un irriconoscibile Fillol, probabilmente emozionato per la grande responsabilità di non poter perdere, Panatta che pure alla vigilia non veniva annunciato in gran forma dal preoccupato Belardinelli, vinse il secondo singolare sul modesto Cornejo e poi anche il doppio con il fido Bertolucci (che, emozionato, giocò meno bene del solito) per un 3 a 0 che non lasciò scampo ai cileni. Ma il pubblico applaudì gli azzurri alla “vuelta” finale, attorno al centrale, quella che chiese lo sportivissimo pubblico di Santiago ai tennisti azzurri quando, in maglietta rossa per una “provocazione” voluta da Adriano, Panatta e Bertolucci si aggiudicarono contro Jaime Fillol e Pato Cornejo il doppio che procurò all’Italia il 3-0 e il trionfo. Panatta scese in campo anche sul 3-0 per battere dopo tre ore un Fillol orgoglioso e deciso a vendere cara la pelle (10-8 al quarto set) e poi Zugarelli scese in campo ma perse con la riserva cilena Belus Prajoux.

Dopo il 4-1 ecco il ritorno in patria, un ritorno in sordina. Quasi sembrava che l’Italia si vergognasse di celebrare una vittoria che era giunta alla fine di un percorso invece eccellente. Oggi soltanto sembra che tanti si siano resi conto della grandezza di quell’impresa. Perché a quei tempi non era come oggi. I migliori giocavano la Davis e anche se i nostri avversari in finale, soprattutto il n.2 cileno, Pato Cornejo, non erano fenomeni – ma comunque Jaime Fillol era un ottimo giocatore e probabilmente superiore a Ray Moore e Bob Hewitt che ci avevano battuto due anni prima a Johannesburg – l’Italia aveva una signora squadra. Una squadra capace di raggiungere altre 3 finali in Australia, Stati Uniti e Cecoslovacchia. Quattro finali in 5 anni quando, ripeto, l’Australia di Alexander, Roche e Newcombe ci avrebbe poi battuto sull’erba di Sydney, gli Stati Uniti di McEnroe e Gerulaitis indoor a San Francisco, la Cecoslovacchia di Lendl e Smid (più un arbitro ladrone, il signor Bubenik… per le cui malefatte l’ITF introdusse dal 1981 una terna di arbitri neutrali anche se per vedere arrivare l’Occhio di Falco si sarebbe dovuto aspettare ancora un quarto di secolo), insomma nessuno snobbava la Davis.

Sono passati 40 anni e ha ragione Paolo Bertolucci che ho intervistato nel dire “chissà perché quest’anno tutti rievocano quel trionfo, quando allora fu del tutto misconosciuto e poi anche dieci, venti, trenta anni dopo non ne ha più parlato nessuno…”. Io penso che forse a risvegliare le coscienze per quell’impresa abbiano contribuito non poco i francesi quando hanno, a primavera, invitato Adriano Panatta a effettuare la premiazione al Roland Garros, 40 anni dopo il suo trionfo parigino. Da lì in poi si è trovata quasi costretta ad accodarsi la nostra federazione per celebrare – a seguito del costante e insistente pressing di Malagò sul recalcitrante Binaghi – l’unica nostra vittoria in Davis. Ciò, meschinamente, per non aver voluto il presidente federale dare al “nemico” Panatta la soddisfazione e il riconoscimento della sua vittoria al Foro Italico in quel magico 1976. La cerimonia “commemorativa” della vittoria, fu celebrata al Foro Italico – senza che Binaghi stringesse la mano a Panatta e giocatori – fra la fine del singolare femminile e l’inizio del doppio, a spalti quasi deserti.

Al Roland Garros invece Adriano avrebbe consegnato la coppa del vincitore a Novak Djokovic, davanti a 15.000 spettatori e con tutte le tv a riprenderlo in mondovisione. In questi giorni sono usciti invece libri, articoli rievocativi sui giornali. Servizi televisivi. Quaranta anni dopo. Forse se avessimo vinto un’altra Coppa Davis nei 40 anni successivi non sarebbe successo. Ma il problema è un altro: ci riusciremo mai più? Nicola Pietrangeli ha detto:”Ahimè, mi sa che è un sogno proibito”. Oggi, che con tanti big che non la giocano più, e che hanno smesso di giocarla dopo averla vinta (vedi Federer e Wawrinka, ma non solo loro), dovrebbe essere teoricamente molto più facile. Nicola ha 83 anni, io 16 anni di meno. Chissà se farò a tempo a vedere il nome Italia scritto una seconda volta sulla base della Coppa. Oggi come oggi non mi pare possibile.

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