IW interviste, Federer: "La felicità è la ricerca della normalità"

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IW interviste, Federer: “La felicità è la ricerca della normalità”

Indian Wells secondo turno, interviste. [9] R. Federer b. S. Robert 6-2 6-1. L’intervista del dopo partita a Roger Federer

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Hai dato l’impressione di muoverti splendidamente sul campo. Stai bene? Come va il ginocchio?
Bene. Molto felice. Il ginocchio è una cosa del passato. Il che va bene. Non devo più neppure parlarne o pensarci. Il match è andato molto bene. Inizio in salita, per trovare il ritmo e la sensibilità sulla palla. Sono contento di come è andata. Il prossimo incontro sarà diverso. Un confronto diverso. Perciò dovrò adattarmi di nuovo.

Sembri più veloce che mai sul campo. Mi chiedo se sia proprio così e come sono i tuoi test fisici attuali rispetto a 10 anni fa.
Non ne faccio. Grazie al cielo ho superato quella fase. Li odiavo, soprattutto da ragazzino. Facevamo sempre la corsa di 12 minuti in cui devi dare tutto te stesso. Non so se si facciano anche altrove. Poi test sull’elasticità e cose del genere e ti rendi conto che sei messo male. Cosa vuol dire, che non posso giocare a tennis? Poiché lavoro con lo stesso coach per la parte fisica da molto tempo, lui sa esattamente cosa devo fare e cosa no, se mi muovo bene oppure no. Fa gli aggiustamenti opportuni e così, grazie al cielo, non devo fare i test. È vero che mi sento molto bene. Mi sento veloce. Il grande lavoro che ho fatto fuori stagione ha funzionato. È stato eccitante farlo per un periodo di tempo così lungo e credo che ancora ne sto beneficiando.

Cos’ha apportato Ivan Ljubicic al tuo gioco ed in cosa è diverso rispetto a ciò che Edberg faceva per te?
Beh, difficile a dirsi perché siamo ancora all’inizio della nostra collaborazione, dal momento che lo scorso anno ho giocato così poco. Lo scorso anno ho giocato un solo torneo in cui mi sentivo bene. All’Australian Open. In tutti gli altri c’era qualche cosa che non andava, il ginocchio o altro. Con lui ho fatto solo due tornei. Ma siamo stati molto insieme ultimamente e ci siamo allenati molto. Ha fame di successo. Ha una grande etica del lavoro ed un atteggiamento molto positivo verso il tennis. Eravamo molto amici anche prima che incominciassimo a lavorare insieme. Credo ci tenga molto al fatto che io faccia bene e ciò mi fa stare bene. Mi piace il suo modo di fare in campo. È intenso, concentrato. E mi dà ottimi consigli. Come a Stefan, io non chiedo molto ai miei coach. Giusto il consiglio buono al momento buono. Stefan lo ha fatto tante volte nella mia carriera. Ivan mi ha aiutato a restare positivo nei momenti più difficili ed all’Australian Open mi ha dato suggerimenti chiave durante il torneo e, a pensarci bene, è molto importante

L’altro giorno mentre riflettevi sulla tua carriera e sui momenti di pausa, hai detto una cosa molto interessante, ovvero che hai bisogno di poco per essere felice.  Che cos’è veramente per te la felicità e come si concilia con l’adulazione che ricevi e tutte le tue vittorie in campo?
Io sono felice quando sono circondato dalla mia famiglia e dai miei amici. Per me quello è sufficiente. Onestamente, vincere aiuta ad essere felici perché perdere non è divertente quando viaggi per il mondo e giochi una brutta partita e ti dici: e adesso? Adesso ti devi sedere ed aspettare la prossima opportunità che ti si presenta. Non ti fa sentire bene. Ma, a parte questo, io sono davvero felice con poco. Cosa sia quel poco esattamente, direi che potrebbe essere qualunque cosa. Una cena con amici. Rivedere qualcuno, leggere un libro ai miei figli.  Non so cosa sia. Potrebbe essere la più semplice delle cose. Credo sia il desiderio di normalità che cerchiamo di creare dovunque andiamo perché viviamo in questa strana bolla, ovvero il mondo del tennis, gli hotel ecc. Sono cosciente del fatto che tutto ciò non sia la norma.  Cerchiamo di uscirne e di scoprire le cose. Mi rende felice allontanarmi da tutto ciò.

Quando c’è da parte dei fan tutta quella frenesia, tipo Beatles, come durante il tuo allenamento di ieri, cosa ti passa per la testa?
È grandioso. Sono contento per il torneo e per il tennis che ci sia dell’eccitazione e poi sono contento che così tante persone comprino, che so,  i miei berretti o le magliette, oppure una racchetta e si sentano così coinvolti. Io approfitto per fare autografi o farmi una foto con loro, oppure realizzare un loro desiderio perché forse molte persone non rivedranno un torneo di tennis, per via del costo o perché vengono da lontano. Cerco sempre di ripetermi che forse non rivedrò più la persona con la quale sto facendo la foto. Per questo cerco di rendere quel momento memorabile per la gente. Purtroppo non posso firmarli tutti. Penso che la maggior parte degli appassionati lo capisca e per questo non mi fischino quando corro via avendone firmati magari solo il 10%. Sono contento che soprattutto qui così tanti tifosi vengano agli allenamenti e si mettano in coda  per una foto o un autografo. Lo apprezzo.

Il tuo diciottesimo Slam è stato il più speciale per il modo in cui hai recuperato dall’infortunio?
Forse. È nei primi cinque tra gli Slam. Non so se batte il primo, perché quello fu un sogno diventato realtà e quindi li batte tutti, credo. L’Open di Francia. L’ho inseguito e quando ce l’ho fatta fu incredibile ciò che significò per me ed il sostegno che ebbi a Parigi. Non so. Vincere gli US Open contro Agassi, una delle mie più grandi e migliori prestazioni probabilmente, con quella atmosfera, quella pressione, essendo il numero 1 e dovendo difendermi da lui, che forse si sarebbe ritirato se avesse vinto, come molte persone credevano. Questo dopo il mio rientro dall’infortunio è stato di gran lunga il più sorprendente. Più del mio primo nel 2003, direi. Comunque ognuno di essi è speciale e questo è tra loro.

Traduzione di Roberto Ferri

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