Ostapenko e la sensazione di avere assistito ad un prodigio

Editoriali del Direttore

Ostapenko e la sensazione di avere assistito ad un prodigio

PARIGI – Ne ebbi una simile anche con Wilander, Becker, Chang, Kuerten, Graf, Seles, Hingis… ma se mi sbagliassi?

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da Parigi, il Direttore

Dopo aver già scritto per i miei giornali, fatto un lungo intervento per Radio Sportiva, registrato 2 video per Ubitennis.com e Ubitennis.net (con l’hall of famer Steve Flink), parlato e registrato un audio con Ugo Colombini, il manager di Jelena Ostapenko che lui ha “scoperto” 7 anni fa in un torneo giovanile in quel di Reggio Calabria, parlato con la mamma di Jelena, sua prima coach subito dopo il trionfo, non mi è facile scrivere qualcosa che, fra lo scritto e il parlato, non si ripeta o – come si dice in gergo – non “bruci” i video e gli audio con gli stessi argomenti, o non riprenda le interviste delle protagoniste di cui i lettori di Ubitennis hanno già avuto modo di essere edotti. Essendo tutte queste “attività” primariamente dedicate a Jelena Ostapenko, la nuova reginetta di Francia a soli 20 anni e a dispetto di tutte le circostanze già descritte nella cronaca puntuale della finale resa molto bene da Laura Guidobaldi, giocherò in contropiede partendo – come non si fa mai – dalla ragazza sconfitta, da Simona Halep, tanto sfortunata oggi quanto era stata fortunata contro Elina Svitolina nei quarti

Eviterò di sottolineare il solito “Chi di spada ferisce…etc etc”: ma è certo vero che se con la Svitolina la Halep era stata incredibilmente fortunata (oltre che brava a rimontare da 1-5 nel secondo set dopo aver perso il primo) nel trasformare il set point del secondo set con un net clamoroso e la palla che si era acquattata imprendibile subito dopo la rete, oggi il net con il quale la Ostapenko ha strappato la battuta alla Halep sul 3-3 – e dopo che la rumena era stata avanti 3-1 –  è stato altrettanto incredibile. Sul 30-40 la palla colpita dalla Ostapenko era chiaramente destinata a uscire, e anche di parecchio. Invece la palla, scagliata con l’abituale violenza con quel rovescio lungolinea che sarebbe finito in pieno corridoio, si è arrampicata sul nastro, ha subito una deviazione assolutamente strana, verso destra, ha rimbalzato una seconda volta sul filo d’acciaio che regge la rete, ed è planato al di là. Pareva un segno del destino, a quel punto ce lo siamo detti tutti in tribuna stampa, e si è potuto dire dopo che lo era stato. Non era invece lontanamente ipotizzabile un bel po’ di tempo prima, per l’appunto allo scoccare dell’ora esatta di gioco quando, servizio Ostapenko e 6-4 3-0 per la Halep, la ragazza rumena ha avuto tre palle per il 4-0. Sulla prima è stata sorpresa da un’accelerazione incrociata di dritto di Jelena – sì, quel dritto che è stato misurato addirittura più rapido di quello di Andy Murray – e Simona è stata costretta quasi ad una spaccata e ha sbagliato un dritto in lunghezza. Sulla seconda, dopo un doppio fallo, la Ostapenko ha giocato un dritto lungolinea tipo missile. Imprendibile. Sulla terza è arrivato un errore gratuito di rovescio di Simona, dopo uno scambio. Se le capiterà di riguardare le immagini – sui monitor di cui è dotata questa straordinaria sala stampa (ah se Diego Nepi Molineris della Coni Servizi cui anni fa feci da chaperon qui al Roland Garros, tornasse da queste parti con la voglia di apportare qualche modifica per migliorare lo stato deprecabile della sala stampa del Foro Italico dove abbiamo scarpiere al posto di armadietti e televisori inguardabili dei tempi del bianco e nero) – sarà quel rovescio quello che più rimpiangerà.

Mamma Ostapenko – Jelena anche lei, Jakovleva il nome da ragazza – prima coach di Jelena junior dacché aveva 5 anni, scherzava quando mi diceva di non aver versato una lacrima: “Era il sole…” ma era seria quando diceva “Yeygeny (suo marito) sta brindando con i suoi amici a Riga. Ha bevuto per combattere la tensione prima, poi durante e adesso… ma è ancora sobrio!” e sorride dopo aver stretto la mano a Ugo Colombini. “Quando ho pensato che lei avrebbe potuto vincere un grande torneo? Dieci anni fa! Ha sempre avuto qualcosa di straordinario, ha sempre colpito la palla fortissimo…”. Poi ovviamente i primi successi da junior, dall’Avvenire a Wimbledon, l’hanno rafforzata in quella convinzione. Si capisce da quel poco che dice che la figlia ha un bel caratterino, è testarda, dà retta a pochi, coach – con la Medina Garrigues è da poco più di un mese – agente (ascoltate l’audio con Ugo Colombini quando lo metteremo on line) e a sentire la madre “sì, fa shopping come tutte le ragazze che hanno un po’ di soldi – ora ne avrà molti di più: ha guadagnato 2 milioni e 100.000 euro oggi, quasi il doppio di quanto aveva guadagnato in tutta la carrierama non è una fanatica degli acquisti: le piace comprare le cose “griffate” del Paese in cui va, qui Louis Vuitton e Chanel, in Italia Gucci e Dolce Gabbana, a New York Abercrombie… ma senza esagerare”. Papà Yevgeny (come Kafelnikov… ma è un caso) è ucraino, è stato portiere di calcio in una delle squadre più forti del campionato ucraino, la Metalurg Zaporezhya (il nome me lo scrive prima in cirillico lei stessa sul mio bloc notes, non lo avrei mai saputo riscrivere) e lavora come ingegnere nell’eolico “e così Jelena ora tira più forte del vento!” – scherza la signora bionda che assomiglia un pochino al genere Chris Evert.  Papà Ostapenko non è certo uno di quei genitori che hanno ossessionato la figlia pretendendo chissà quali risultati. “L’ha vista giocare soltanto pochissime volte… deve lavorare…” spiega mamma Jelena. Chissà che non sia questa la chiave del successo. Quanti genitori hanno distrutto i propri figli, pretendendo chissà che cosa, lo sa solo Iddio.

Io dico solo che se Jelena Ostapenko è capace di demolire un muro come la Halep pur facendo, per pura inesperienza, 54 errori gratuiti, quando ne farà un venti per cento in meno – un traguardo raggiungibile se si pensa che ha solo 20 anni – e si sarà rafforzato nel fisico, potrebbe anche diventare una delle primissime tenniste del mondo. Voi direte, bella forza fare questa previsione per una che ha appena vinto il Roland Garros, ma attenzione: oggi Jelena sale a n.12 del mondo, ma di strada ne deve fare ancora tanta. Lo scorso anno Garbine Muguruza ha vinto qui, e il suo successo è stato molto meno sorprendente, ma poi non è che in 12 mesi abbia fatto questi progressi che tanti avevano pronosticato. Ugo Colombini mi è parso convinto che sotto il profilo atletico questa ex ballerina di “Ballroom” (con la predilezione per la Samba, più che per il valzer e il liscio) ci sia molto da lavorare e l’ho sentito un attimo perplesso quando gli ho chiesto se Jelena lavora sodo… Più volte si è lasciato scappare – pur stando molto accorto come ad esempio quando gli ho chiesto di Camila Giorgi della quale aveva cominciato ad occuparsi diversi anni fa e non ha voluto entrare a spiegarmi perché il rapporto si sia interrotto (gli ho chiesto se c’entrasse il padre, ma lui ha eluso saggiamente) – che Jelena è un tipo molto difficile da gestire. “La Medina Garrigues voleva darle qualche consiglio su come affrontare la Halep e lei ribatteva che sapeva quel che doveva fare: “se tiro forte e mi stanno dentro i colpi, la metterò in difficoltà”.

Beh per il resto vi chiedo la cortesia di evitarmi di dover ripetere tutto e di guardare il video. Ricordo troppo bene le improvvise “esplosioni” di giocatori che proprio al primo Slam o quasi facevano grandi exploit: da John McEnroe a Wimbledon nel 1977, appena ventenne e subito in semifinale, a Mats Wilander qui a Parigi nel 1982 e vittorioso a 17 anni e 10 mesi, a Boris Becker nell’85 a Wimbledon, a Michael Chang nel ’89 insieme a Arantxa Sanchez, ai primi exploit di Steffi Graf, Gabriela Sabatini, Monica Seles, Jennifer Capriati, Justine Henin, Martina Hingis e di tante altre bambine prodigio. Molte di loro erano sembrate straordinarie già all’eta di 12, 13 anni. E ho avuto la fortuna di vederle proprio a quell’età: la Capriati e la Hingis dodicenni al torneo di Pasqua a Firenze, la Graf a 13 anni qui al Roland Garros, tutti gli altri di cui sopra nei tornei in cui sono esplosi (compreso Sampras diciottenne contro Chang in un match junior all’US Open due anni prima che vincesse nel ’90 l’US Open in finale su Agassi). Non so se la Ostapenko diventerà forte come quei nomi che ho appena fatto, però la sensazione di aver assistito comunque oggi a qualcosa di abbastanza straordinaria, ce l’ho. Come la ebbi l’8 giugno del ’97, quando lei per l’appunto nasceva, nel vedere un magrissimo brasiliano, dai riccioli biondi, un sorriso perenne e contagioso, che giocava un magnifico rovescio ad una mano quando ormai aveva preso a dilagare quello bimane, e che lo tirava contro campioni supertitolati rimontandoli senza alcun timore reverenziale. Come oggi la Ostapenko con la Halep. Poi si vedrà… o magari vedrete voi, che io comincio ad avere una certa età.

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