Rassegna a cura di Daniele Flavi
Rafa urla ancora
Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 13.06.2017
In mezzo al Mediterraneo, a pescare con gli amici. Se li immaginava così, i suoi trent’anni, quel diavolo di Nadal: «Quando vinsi il Roland Garros per la prima volta nel 2005, e poi mi ripetei l’anno dopo, se avessi potuto prevedere il futuro avrei detto che nel 2017 sarei stato tutto il giorno in barca a Maiorca». E invece Parigi è ancora il suo Mar Rosso, dove l’onda lunga del decimo trionfo nel tempio sacro della terra ha travolto la storia per farsi leggenda. AFFAMATO Un’impresa titanica. Con lo sguardo a sei mesi fa, inattesa per tutti. Ma non per Moya, che da dicembre affianca Toni nel ruolo di coach, in un triunvirato (c’è anche Roig) che ha garantito la restaurazione di Rafa e il ritorno sul trono. Quando El Tio (lo Zio) più famoso di Spagna annunciò al nipote che tempo dodici mesi si sarebbe occupato solo dell’Accademia, la scelta di Carlos fu una logica conseguenza: «È di Maiorca — dice Toni —, conosce Rafa fin da quando era bambino e per Rafa è stato un modello». L’ex numero uno del mondo, vincitore a Parigi nel 1998, dopo aver interrotto la collaborazione con Raonic si è avvicinato al nuovo incarico con il rispetto che si deve a un monumento: «Stiamo parlando di uno dei più forti giocatori di sempre — racconta — e quindi innanzitutto bisogna rispettarne le idee e le esigenze e cercare di fargli capire dove può essere utile la tua esperienza. Ma ciò che mi ha colpito di lui è la fame che gli ho letto negli occhi *** nonostante fosse fermo da sei mesi e la grande volontà di migliorarsi ancora. Senza di quella, non si va da nessuna pie». FIDUCIA Il fenomenale inizio di stagione, a cominciare dalla finale in Australia, ha fatto il resto: «I risultati sul veloce hanno dato fiducia a lui e l’hanno data a me, rendendo tutto più semplice. Io sono arrivato nelle ultime tre settimane di preparazione invernale — ha ricordato Moya durante il torneo — ma Rafa si stava allenando dal 12 ottobre: sono stati due mesi intensi, la preparazione più lunga che abbia mai fatto, e gli effetti positivi si stanno vedendo». DEDIZIONE Da sempre, il mancino di Manacor è un esempio di dedizione e applicazione nell’allenamento, però Carlos gli ha cambiato le prospettive: «A lui piace sacrificarsi, ma non ha più 17 o 18 anni. L’ho convinto a diminuire i carichi di lavoro, perché dopo i trent’anni conta essere fresco e riposato più a lungo, per allungare i tempi in cui poter rimanere competitivi. C’ero passato anch’io, viene un momento in cui devi renderti conto cosa serve di più e cosa serve di meno. Questa è l’esperienza che gli ho messo a disposizione». LA TECNICA Poi ci sono gli aggiustamenti tecnici, così palesemente esplosi nella loro efficacia durante tutta la dura stagione su terra: «Innanzitutto abbiamo reso più pesante la testa della racchetta (con il lead tape, ndr) in modo da consentirgli di esprimere più potenza. Poi abbiamo lavorato sul dritto, che per i tanti problemi fisici aveva perso profondità: adesso non lo colpisce più così in alto, ma lo ha reso più veloce. Del resto le palle sono cambiate, sono un po’ più pesanti, perciò bisogna adattarsi e cercare di fare danni ai rivali in altri modi. Il rovescio, invece, non l’ha mai giocato così bene». Rimane solo il servizio: «Anche su quello si è concentrato tantissimo, in particolare sulla seconda palla. Ha aumentato la velocità per renderla meno prevedibile e adesso cambia di più la direzione, costringendo gli altri a pensare. Vogliamo impedire che l’avversario colpisca subito forte con il dritto e prenda il comando dello scambio». MOTIVAZIONE Sembra un trattato di tennis, poi però serve che l’allievo metta insieme tutti i punti per il disegno perfetto. E Rafa è entusiasta di Moya: «I1 suo sostegno in questi mesi è stato importantissimo per me. Lavoriamo molto bene insieme e si è creata la giusta alchimia fra tutto lo staff. Quest’atmosfera ha sicuramente inciso sui risultati. Non voglio fare confronti con il passato, tutti gli Slam che ho vinto sono stati emozionanti e mi hanno lasciato qualcosa, ma non c’è dubbio che dall’Australia io stia giocando molto bene, ho ritrovato aggressività, riesco a mantenere un livello alto molto più a lungo. Ovviamente, conta molto la condizione fisica, se il corpo risponde ai tuoi stimoli è più facile. E poi solo gli stupidi pensano che non si possa continuare a migliorare». UMILE Umiltà. Dall’alto di quindici Slam e di dieci vittorie al Roland Garros. E il segreto che lo ha sempre fatto grande, cui non ha mai fatto mancare, neppure nei momenti più duri, un altro ingrediente fondamentale: «La mia motivazione è intatta. Io voglio continuare a lavorare duro per vivere giornate come queste. Ho una passione profonda per la competizione, sono felice di giocare a tennis. Non mi inquieta l’idea di alzarmi un giorno e di non avere più il fuoco per l’allenamento o le partite, vorrà dire che quel giorno mi ritirerò. Per adesso, però, non è un pensiero che mi assilla: si ricominciano a fare le cose che ho fatto fin qui, magari meglio. E se il fisico me lo consentirà, mi rivedrete ancora per un Po’ .
Il ritorno di Marion Bartoli
Gaia Piccardi, il corriere della sera del 13.06.2017
La maschera da Pierrot, sotto il cerone bianco e spesso, ha perso la lacrima. «Ho sconfitto una malattia devastante. La battaglia più dura della mia vita: le sfide sul campo erano nulla rispetto a ciò che mi ha riservato l’esistenza l’anno scorso. Andavo a letto senza sapere se mi sarei risvegliata. Vivevo sperando che íl mio cuore non smettesse di battere. Stavo letteralmente sparendo: perdevo i capelli, mi ballavano i denti, avevo la diarrea cronica. Orrendo. Però non ho mai mollato». Un anno fa Marion Bartoli, 32 anni, corsa rocciosa come la sua isola, era l’ombra della campionessa di Wimbledon 2013. La sua magrezza spettrale, inizialmente presentata come il risultato di una dieta portentosa, aveva stretto il cuore al mondo del tennis, incapace di aiutarla. Oggi, davanti a un caffè, l’ex enfant du pays appare rifiorita, benché molti misteri rimangano insoluti. Il nome della malattia, innanzitutto. Dalla tua bocca, Marion, non è mai uscita la parola anoressia. «Sentivo bisbigliare alle mie spalle: poveretta, è anoressica! Ma quella è una tremenda malattia mentale: psicologicamente non sei a posto — risponde diretta —. Non ero anoressica. Non ero psicologicamente disturbata. Volevo gridarlo a tutti e ho scelto Twitter». Un percorso molto social, vissuto in pubblico postando foto con la cannetta dell’ossigeno nel naso e la flebo nel braccio («Do il meglio di me quando mi sento amata: così mi sono sentita meno sola»), cominciato con una febbriciattola scambiata per influenza. «Ho preso una malattia tropicale, in India, nel febbraio 2016 — racconta —. Ero arrivata a Delhi via Melbourne e New York ed ero rientrata a Parigi, tutto in una settimana. Ho cominciato ad avere febbre, brividi, a sentirmi stanca. Ogni settimana ero più debole, la febbre saliva e non se ne andava mai. Avevo male ai muscoli e alle ossa. Intanto, perdevo peso. I medici ci hanno messo un po’ a capire di cosa si trattasse. Nel frattempo il virus è arrivato al sangue, cominciando a distruggere i globuli rossi. La situazione è precipitata. L’ipersensibilità della pelle mi ha costretto a indossare i guanti per toccare gli oggetti quotidiani, nel periodo più nero potevo lavarmi solo con l’acqua minerale. Non riuscivo più a digerire il cibo, nemmeno l’insalata». E lì che ti abbiamo vista a Wimbledon, Marion, mentre al ristorante della stampa masticavi per lunghissimi minuti una foglia di insalata con lo sguardo perso nel vuoto: «Nutrirmi era diventato impossibile. Sono arrivata a pesare 4o chili». Con qualsiasi nome Marion Bartoli voglia chiamare la sua ingombrante compagna di viaggio, ha il diritto di farlo. Dice di aver trascorso tre settimane in ospedale a Merano, a fare test. E più di due mesi in un centro specializzato di Parigi: «Ho ingoiato tonnellate di antibiotici, fatto una trasfusione di sangue. Poi i miei anticorpi, finalmente, si sono rimessi in moto, permettendomi di cominciare a guarire». Il momento peggiore? «Proprio a Londra, l’anno scorso: avevo *** affittato un appartamento su due livelli e una sera, spossata, non riuscii a salire al secondo piano». Salvata dal primo amore, il tennis («Mi sono tenuta in vita leggendo le lettere dei miei parenti e guardando ossessivamente il match-point della finale di Wimbledon che ho vinto. Guardavo e piangevo, piangevo e pregavo…»), oggi la donna che visse due volte — e forse ce ne sarà una terza — è piena di progetti. «Fila mi ha affidato il disegno dei completi da tennis per l’Est asiatico: significa rifornire oltre mille negozi. Commento il tennis alla tv, presto giocherò in esibizione a Manchester e sono ambasciatrice di Parigi 2024. Noi atleti francesi stiamo lottando per avere i Giochi, sento che siamo vicini alla meta: batteremo Los Angeles». Credi nel destino, Marion? Alza gli occhi bistrati al cielo di Parigi, come per cercare ispirazione prima del punto decisivo: «Oh sì, eccome se ci credo. Aver vinto il titolo di Wimbledon fa parte del mio fato. Qualcuno, da lassù mi ha aiutata. E Dio forse voleva mandarmi un messaggio forte per ricordarmi di godere delle gioie della vita, perché troppo spesso ci dimentichiamo…..La parola ANORESSIA Dal greco an (mancanza di, senza) e óreksis (appetito), è un disordine alimentare che comporta la riduzione o il rifiuto del cibo con gravi ripercussioni fisiche e mentali. essere felici, vivi e in salute». Vive a Dubai, ha corso l’ultima maratona di New York («In cinque ore, senza mai fermarmi. Ero ancora debilitata però sentivo il bisogno di una nuova sfida sportiva: gli amici dicono che sono stata una pazza!»), ha ripreso a mangiare quasi normalmente («Un po’ di tutto, stando attenta. I formaggi grassi ancora non li digerisco però sono tornata ad apprezzare la pizza ed è una gioia immensa»), pensa positivo. E sorride, sotto il trucco, la nuova Marion, con tutta la verità che ha in tasca.
C’è un nuovo Nadal in campo: come Federer adesso cerca di accorciare gli scambi
Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 13.06.2017
Il decimo trionfo al Roland Garros è stato il coronamento di una stagione eccellente sulla terra. Il rilancio era però iniziato a gennaio con la finale persa agli Australian Open. Infortuni ormai alle spalle: lo spagnolo è tornato forte Et come ai bei tempi, anche di Stefano Semeraro grazie all’esempio di Federer grigi avrà per sempre la sua impronta. Ieri, dopo aver inciso per la decima volta il suo nome sulla Coppa del Moschettieri, a Rafa Nadal hanno preso anche il calco delle mani, come ad Hollywood succede ai divi immortali del cinema, e il tetto del bateau mouche che l’ha portato a spasso sulla Senna era dipinto come un campo da tennis. Ormai, del resto, la sua bandana e ii suo diritto fanno parte del paesaggio. Dopo Nadal insomma, al Roland Garros c’è sempre, solo Nadal. Dal 2005 al 2017 nel tennis è passata quasi un’era geologica, così davanti ai numeri scolpiti nell’ultimo torneo – 0 set ceduti, appena 35 game lasciati alla concorrenza viene la curiosità di capire chi dei due Nadal sia più forte: il Niño Come i1 grande rivale cerca di accorciare gli scambi di dodici anni faoilNadal2.0 di oggi, quello che ha smesso la canotta per indossare il mantello dell’immortale? Stan Wawrinka, l’ultimo a farsi smantellare in una finale a senso unico, non ha dubbi: «Ra fa sta giocando ilsuo miglior tennis di sempre. Continua a non sbagliare mai, ma è più aggressivo». Il diretto interessato intasca, anche se ci tiene a difendere il passato. «Be’, a Parigi ho vinto altre due volte senza perdere un set: non è che nel 2008 o nel 2010 fossi poi così male…». Ia verità è che il campione di oggi, più maturo, passato attraverso mille infortuni e due stagioni in cui ha dubitato di se stesso Ora attende con ansia di mettersi alla prova a Wimbledon e de proprio futuro («Solo chi è arrogante non lo fa») ha perso qualcosa in esplosività ed elasticità. Ma ha guadagnato in aggressività. Ha ritrovato il diritto dei tempi migliori, e lo si è visto in finale quando l’ha fiondato in allungo lasciando immobile Wawrinka – e nel corso delle ultime stagioni è migliorato nel rovescio, che oggi non gli serve solo per difendere ma anche per chiudere lo scambio. Ha aumentato la velocità della prima palla, più nei picchi che nella media (202 km/h contro Thiem), scende più frequentemente a rete per prendersi punti preziosi. Merito dei consigli di coach Moya e dell’esempio del suo vecchio rivale Federer, che gli ha mostrato come rischiare qualcosa di più, accorciando i tempi, dopo i 30 è la strada per faticare di mena Le altre due volte che a Parigi non ha mollato un set, fra l’altro, Rafa ha finito per vincere anche a Wimbledon: non c’è due senza tre? «Dipende tutto dalle mie ginocchia», ha spiegato. «Sull’erba ho bisogno di stare basso e avere gambe forti, non è un caso se dopo gli infortuni non sono più riuscito a giocare bene sul erba. E mi manca, Wimbledon…». Attento, Federer: attento.
Da Nadal a Federer una nuova vita di vittorie senza età
Angelo Mancuso, il messaggero del 13.06.2017
Esiste l’immortalità nello sport e quanto sta accadendo in questo 2017 in cui hanno nascosto una macchina del tempo che ha riportato il tennis indietro di una decina d’anni ne è la prova. Federer risorge agli Australian Open, Nadal si prende la “Decima” al Roland Garros. Il loro dualismo è la perfetta contrapposizione di stili. “A Parigi era imbattibile, non avrei potuto fare nulla”, ha twittato lo svizzero. Complimenti sinceri per celebrare la grandezza del rivale. Nessuno mai come Rafa e chissà se tra cento o mille anni qualcuno oserà solo avvicinarsi al Signore della Terra. Con il successo in Francia è salito a quota 15 negli Slam: ha superato Sampras (14) e davanti c’è solo King Roger a quota 18. LA LEGGENDA CONTINUA Secondo Kuerten, che gli ha consegnato la Coppa dei Moschettieri (sua per tre volte), Nadal continuerà a stupire: «Due anni fa nessuno pensava che avrebbe mai più vinto uno Slam, compreso il Roland Garros. Ha dimostrato che ci sbagliavamo. Credo che possa conquistare almeno altri 3-4 titoli. E ha la chance di diventare ancora una volta n.l. Nella sua testa non esiste l’impossibile». E allora, per dirla alla Lubrano, la domanda nasce spontanea: Nadal può raggiungere Federer più anziano di 5 anni? Imbattibile al Roland Garros, negli altri Major è più vulnerabile: 10 dei 15 Slam sono arrivati sulla terra rossa parigina. I restanti 5? Ad eccezione degli US Open 2013, gli altri 4 (Australian Open 2009, Wimbledon 2008 e 2010 e US Open 2010) sono racchiusi nel triennio che va dal 2008 al 2010, quando il maiorchino aveva tra i 22 e i 24 anni, più o meno la stessa età di Federer quando collezionava un titolo dopo l’altro. Dopo è molto difficile dominare e Nadal ha appena compiuto 31 anni. Senza contare l’usura delle ginocchia, suo tallone d’Achille. Il cemento non lo aiuta, come il rinato Federer, che somiglia più a una favola che a qualcosa di reale. Ha saltato la terra per essere fresco e pronto a Wimbledon, dove parte favorito nonostante i quasi 36 anni. Stoccarda questa settimana sancisce l’inizio dei tornei su erba e lo svizzero, n.l del tabellone, è carico: «Per me la stagione comincia adesso». DI NUOVO N.1 Nadal è in testa alla Race, la classifica che considera i tornei dal primo gennaio, ma può tornare in vetta al ranking ATP già dopo i Championships. Lo spagnolo nel 2016 saltò tutta la stagione sull’erba e non difende nulla. Al contrario di Murray che 12 mesi fa vinse il Queen’s e Wimbledon per totali 2.500 punti. L’attuale classifica vede lo scozzese in vetta con 9.890 punti e Nadal n.2 con 7.285. La differenza è di 2.605 punti, che si riducono a 105 sottraendo a Murray i 2.500 in uscita. I due hanno la stessa programmazione: prima il Queen’s e poi Wimbledon. Chi riuscirà a fare meglio dell’altro sarà n.l al termine dello Slam londinese. Ovviamente con Federer alla finestra.