Applausi a Fognini, spaventa Murray ma poi si arrende. Giorgi che spreco. Ostapenko vince e sgrida papà Sergio (Crivelli). Fognini signore dei rimpianti, con Murray una partita amara (Clerici). Agassi: "Djokovic mi assomiglia. La famiglia l'ha cambiato e io so come aiutarlo (Lombardo)

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Applausi a Fognini, spaventa Murray ma poi si arrende. Giorgi che spreco. Ostapenko vince e sgrida papà Sergio (Crivelli). Fognini signore dei rimpianti, con Murray una partita amara (Clerici). Agassi: “Djokovic mi assomiglia. La famiglia l’ha cambiato e io so come aiutarlo (Lombardo)

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Applausi a Fognini, spaventa Murray ma poi si arrende (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Gli applausi confortano, ma non vincono le partite. Resta l’orgoglio di aver inchiodato per due ore e 39 minuti i 15.000 del Centrale alla paura di un’altra Brexit, quella del campione di casa, il detentore del trofeo, il numero uno del mondo strapazzato in lungo e in largo da un italiano sfacciato, che tuttavia finisce per smarrirsi quando le porte del quinto set, e forse di una rivoluzione a portata di mano, sembrano dischiudersi come la speranza di ripetere l’impresa di Napoli in Davis, o quella più fresca di Roma. Perché adesso è solare come la caldissima estate londinese: Fognini, nonostante la quarta sconfitta nelle sfide dirette (e tre successi), è dentro la pelle di Andy, ha le armi per disinnescarlo, i colpi per tenerlo lontano, per costringerlo a difendersi. LE OCCASIONI Certo, il k.o. è un déjà vu nella carriera di Fogna, forse un altro rimpianto alla fine di un match dove i suoi 44 vincenti (contro 26) sono il segnale di chi ha davvero comandato la partita. Ma il tennis non è solo braccio, anzi è soprattutto capacità di innalzare la soglia della sofferenza, e di conseguenza delle proprie qualità, quando tutti i punti pesano e diventano un chiodo da piantare su una partita complicatissima. Così si vincono gli Slam, come Murray, e così si resta con i fogli strappati di un bellissimo romanzo incompiuto quando la fine gloriosa sembrava dietro la prossima pagina, come Fabio. Delusione, ma anche consapevolezza, perché ormai la continuità di rendimento appare consolidata, perfino su una superficie da sempre poco amata come l’erba. Resterà, è indubbio, il pensiero di quei cinque set point sprecati nel quarto set, che avrebbero allungato l’avventura e avrebbero spinto lo scozzese, ben lontano per condizione e convinzione dall’eroe dell’anno scorso, verso il baratro di un cammino sconosciuto, contro un avversario che lo stava sovrastando con le sue accelerazioni da fondo, le discese a rete, le smorzate al bacio. Lì, il numero uno del mondo ha tratto dal suo enorme bagaglio una ritrovata incisività al servizio, ma Fogna ha un punto che gli rimane in gola: «Il terzo set point, il primo sul mio servizio quando ero 5-3, ho giocato una volée che neanche mio padre e lui mi ha passato. Sugli altri, è stato bravo Andy, ma quello poteva cambiare il match. Saremmo andati al quinto e io sentivo che in quel momento ero migliore di lui». ARRABBIATO Lo è stato per buona parte della disfida, dopo un primo set troppo morbido soprattutto al servizio, ed è la consolazione che Fabio si porta a casa prima di tre tornei sulla terra e poi la tournée sul cemento americano: «Perdere non è mai bello, non mi piace: ma contro il numero uno del mondo, sul suo campo, sono stato io a fare la partita, sono stato io ad avere il controllo in molti scambi, avevo di fronte il più forte ma non l’ho mai sofferto, non mi ha fatto male. Significa che le scelte che ho fatto dopo Parigi stanno pagando e spero mi consentano di conservare questa condizione fisica e mentale». La rabbia, semmai, è per quel penalty point per oscenità (due dita in bocca quasi a mimare il vomito) nel quarto game del quarto set, e non perché abbia inciso sulla partita, ma in quanto piccola macchia su una serata che ha illustrato al mondo il valore di Fognini. Il primo warning l’aveva preso dopo 41 minuti per aver scagliato a terra la racchetta, ed è quello che non ha digerito: «Era la prima volta che lo facevo, poteva anche lasciar correre come fanno tutti gli altri, ma è un francese (Dumusois, ndr)e si vede che con noi italiani non si prende». CHE COPPIA Restano i complimenti del vincitore, sentiti: «Sapevo non sarebbe stato un match facile, mi ha fatto soffrire. II quarto set è stato molto intenso, ma io ho avuto troppi alti e bassi. Soprattutto, mi sono mosso peggio rispetto alle partite precedenti, per fortuna adesso ho due giorni pieni per recuperare». E’ curioso scoprire che Wimbledon è lo Slam dove Fognini ha vinto più match (10) dopo Parigi (15): «Franco (il suo allenatore Davin, ndr) ha sempre insistito su questo, lui è convinto che io possa tenere lo stesso livello su tutte le superfici. Siamo una bella coppia». Applausi. Ma la prossima volta non ci basteranno.

 

Giorgi che spreco. La Ostapenko vince e sgrida papà Sergio (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Cogliere le opportunità è un’arte. O la si possiede, o la si impara. La Giorgi, purtroppo, è ancora a scuola, mentre la Ostapenko, nonostante i vent’anni, sa già come si fa. Del resto, a quell’età, non vinci il Roland Garros se nei momenti clou non riesci ad alzare il livello e del gioco e della concentrazione. Nella trincea del campo 2, sotto il bombardamento continuo di giocatrici dallo stile a specchio, dove gli scambi sopra i 9 colpi alla fine saranno solo due, Camila serve sia nel primo sia nel secondo set sul 5-3 per lei, con la possibilità di indirizzare il match, di instillare il pericolo del dubbio alla giovane e sfrontata regina di Parigi. E invece, tra un paio di doppi falli e qualche dritto sballato, la marchigiana non si avvicina neppure a conquistare i parziali, cedendo poi all’imperioso ritorno della lettone. POLEMICA Peccato. Un’altra volta peccato. Perché la Giorgi sull’erba sa davvero come muoversi e nelle prime due partite aveva dimostrato un’evoluzione intrigante, con meno fretta e qualche innovazione tecnica soprattutto nei tagli. E poi, in un torneo davvero senza padrone, bastava poco per proseguire il sogno: «Sono stata meno incisiva di lei nei punti decisivi — ammetterà la numero 86 del mondo — e non li ho giocati come avrei voluto. Venivo da due match bellissimi, questa volta sono rimasta un po’ sotto ai miei standard. Però sono contenta, sto recuperando il livello che sento essere mio». La Ostapenko continua la marcia, con l’obiettivo di eguagliare Graf e Serena Williams, le uniche negli ultimi 30 anni a completare la doppietta Parigi-Wimbledon. Alla fine, ci mette pure il veleno contro Sergio, papà Giorgi: «A un certo punto, quando stavo per servire, qualcuno ha cominciato a tossire forte, credo proprio fosse suo padre. Una condotta scorretta, l’ho detto all’arbitro, anche perché era già successo un paio di volte che qualcuno dal suo angolo gridasse quando ero alla battuta. Bisognerebbe sapersi comportare a un torneo così importante. Per fortuna sono riuscita a non farmi condizionare». VECCHIE Giovanissima, ma con la forza di gestire le emozioni di una veterana. Servirà, in un torneo dove l’erba, per quanto infida, riporta sulla scena chi da tempo conosce i segreti di questi prati. Per i bookmakers, dopo l’eliminazione della Pliskova, la favorita è la Konta (con un po’ di sciovinismo) ma il cuore di tutti è per Venere risorgente. La maggiore delle Williams, al 20° Wimbledon, conquista gli ottavi per la 15° volta con la vittoria sulla Osaka nella partita numero 98 (meglio di lei solo la Navratilova e la Evert), diventando la più vecchia di sempre dopo Martina ad approdare alla seconda settimana. Obiettivo raggiunto anche da mamma Azarenka, ma con il sale sulla coda per le accuse di aver chiesto consigli al coach (Wim Fissette), pratica proibita negli Slam: «Sembra stiamo parlando di un crimine, se mi sono girata verso il mio angolo forse ho sbagliato, però lo fanno tutte. E comunque non ho parlato con lui». Così sia

 

Il solito Fognini, spreca e perde (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

In poco meno di tre ore, sul più nobile palcoscenico, splendori e miserie del tennis di Fabio Fognini. Capace di incantare ma anche di sconcertare. Con alterna frequenza. E identica intensità. «Come le montagne russe, non sa mantenere l’intensità e la concentrazione dei suoi avversari», il giudizio di John McEnroe, un suo estimatore. «O tutto o niente», lo battezza Boris Becker. Una discontinuità vertiginosa che ieri gli ha impedito un’impresa che a tratti sembrava alla sua portata. Agli ottavi passa Andy Murray che vince giocando meno bene del suo avversario, non certo da numero uno al mondo opposto al n.28. Ma mettendo in campo umiltà, cattiveria agonistica, abnegazione di cui certo non abbonda il tennista nostrano. Grandi colpi seguiti da troppi errori gratuiti. Capace di un tennis persino irridente, eppure mai capace davvero di concretizzare le mille chance di un match aperto ben oltre le più rosee aspettative italiane. Ma le occasioni vanno colte, e Fognini qui è clamorosamente mancato (2/9 la statistica delle palle-break). A differenza del suo avversario che ha raccolto da terra veramente tutto ciò che cadeva dal desco (7/10). Per lunghi tratti del match il tennista di Arma di Taggia gioca alla pari contro il detentore di Wimbledon, gli strappa un set, il secondo, firma almeno i dieci punti più belli dell’incontro relegando lo scozzese a comparsa, sparring partner. Ma quando Murray alza il livello del proprio tennis, ritrova corsa e intensità, complice una leggera distorsione alla caviglia, Fognini arretra. La terza frazione persa malamente sembra il preludio all’inevitabile capitolazione. Ma Fognini ha un sussulto, trova il break, si issa 5-2, ma non sa trasformare cinque set-point che avrebbero potuto trascinate il match al quinto set. Finendo per arrendersi alla determinazione dello scozzese, che ha disputato un incontro sottobraccio (26 a 16 il computo tra vincenti e gratuiti). L’esatto opposto del match-cicala di Fognini, capace di 44 vincenti ma anche di 49 errori non forzati. Sintesi fedeli del “genio e sregolatezza’ italiano. Ancor più di un’occasione sprecata, la conferma di un talento incompiuto, che si accende ad intermittenza. Che esce sconfitto da una partita nella quale il suo è stato nettamente il tennis più spettacolare, entusiasmante. Bravo a non eccedere nelle solite intemperanze nonostante un penalty-point questa volta discutibile. «Il giudice di sedia era francese, e si sa che con l’Italia sentono la rivalità». Sorride Fognini, consapevole di essere stato protagonista del Centre Court. «Riparto da Londra amareggiato, anzi incazzato per la sconfitta. Ma anche molto felice per il livello del mio tennis. Qui non ho mai giocato così bene. I ho giocato alla pari con il numero uno al mondo». Spesso anche meglio, ci tiene a sottolineare. «Sentivo di avere più opzioni di lui, soprattutto nel quarto set quando era attaccato agli specchi. Ho cercato fin da subito di fare qualcosa di più, essere più aggressivo, guadagnarmi i punti. Per lunghi tratti del match credo di aver giocato meglio di lui». L’ultimo pensiero è peri cinque set-point mancati. «Il rimpianto è solo per una volée giocata malissimo, non per il set-point contestato, l’avrei perso ugualmente anche avessi avuto una chiamata-falco a disposizione».

 

Fognini e Giorgi grandi colpi. Ma non sono quelli vincenti (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Forse in un altro mondo. Non necessariamente lontano. Un mondo vicino a noi, un po’ uguale e un po’ diverso. Parallelo. Ecco, in un mondo parallelo al nostro, ma plausibile secondo una visione quantistica, oggi Fabio Fognini e Camila Giorgi avrebbero vinto i loro match, e sarebbe stata una giornata trionfale per il tennis italiano. Si tratta, come sempre, di “slidingdoors”, porte scorrevoli, niente di più, che ogni tanto si aprono nel verso giusto e conducono a un mondo migliore, diverso. Camila, quelle porte, le ha chiuse tutte nel modo sbagliato, e il rimpianto è grande, perché era a un passo dal trovare la chiave di quel labirinto. Fabio ha cercato a lungo la giusta sequenza, si è inoltrato in un percorso pieno di insidie, e Murray ha traballato più volte sul suo scanno da padrone del giardino. È giunto, Fognini, a vedere che cosa c’era dall’altra parte, l’ha quasi toccata. L’ultima porta gli si è chiusa in faccia. Due tentativi generosi, alla fine. Non banali. Due partite adulte, da parte di Fabio e Camila. Ma non vincenti. Forse perché la forza del n.1 Murray, e della vincitrice del Roland Garros Ostapenko, è tale anche in un mondo parallelo al nostro. Non c’è tennista al mondo in grado di portare Murray allo scoramento più nero, alla prostrazione più profonda. Fognini vi riesce per vie naturali. Mostra colpi che Andy non riesce a prevedere, con le smorzate sembra addirittura irriderlo, paiono quasi telecomandate e si spengono sempre due centimetri prima dell’arrivo trafelato dello scozzese. Già Murray eccelle nell’arte del soliloquio, ma contro Fognini raggiunge vette da attore raffinatissimo, capace di insultare tutti per insultare se stesso. Scaglia strali acuminati contro il suo team, colpevole di perdere tempo con il più fesso fra tutti, cioè lui. Impagabile. Murray però è maestro in arti difensive. Un maniero inespugnabile. Una cassaforte capace di respingere qualsiasi assalto. Quando si accorge di non riuscire a far gioco, si rifugia nella sua trincea, e non basterebbe una muta di cani per stanarlo. Così, il gioco lo fa Fognini, quasi sempre. Come a Rio, quando perse al terzo dopo aver costretto Murray in apnea. Come a Roma, dove invece prese il sopravvento, e tutto gli riusciva come per incanto. Sul Centre Court, via via sempre più spelacchiato, la recita si è ripetuta, con qualche vantaggio in più per Murray, vuoi per l’erba, vuoi per il pubblico. Eppure Fognini l’ha tenuto a lungo in ostaggio, dopo aver perso rapidamente il primo. Ha annesso il secondo set trovando risposte più misurate al servizio di Murray, e nel quarto ha avuto 5 set point per portare il match alla volata finale. Nel frattempo (3 set) si è beccato un penalty point per “visibile oscenità”, un gesto poco carino (eufemismo) che ha gettato nello sconforto le signore più dabbene. Ma che volete farci? Fogna è un pirata, il primo che sia sceso sul sacro centrale con il teschio (dello sponsor) disegnato sulla maglietta. Sul 5-3 nel quarto, Murray si è rifugiato dietro il suo Vallo. Fognini gli ha regalato una facile volée che aspettava solo di essere finita. C’è stato il riaggancio. E su quello Andy è tornato a farsi avanti, a mostrarsi sicuro. La gioia del n.1, alla fine, testimonia dei momenti cupi che Fabio lo ha costretto a vivere. Ci sono sconfitte che fanno meno male di altre? Camila dice di sì. E Fognini di sicuro lo pensa. La Giorgi ha servito sia nel primo sia nel secondo per chiudere il set, sul 5-3 in entrambi i casi. Avrebbe potuto vincere con un doppio 6-3 e ha perso con un doppio 7-5. «Non sono riuscita a prendere in mano il gioco», si lamenta Camila. Fabio è stato a un passo dal quinto, «ma è stato un match giocato alla pari». Escono entrambi a testa alta. Era una delle possibilità prese in considerazione. Non la peggiore.

 

Fognini signore dei rimpianti, con Murray una partita amara (Gianni Clerici, La Repubblica)

Terminato di assistere al Giorgicidio mi sono trasportato sul Center Court, dove quindicimila fans agitavano bandierine di San Giorgio, curiosamente inconsapevoli del voto antibrexit del loro eroe, Andy Murray. Mi auguravo che, pur col suo carattere alterno, pur con il suo carattere imprevedibile, Fabio Fognini giocasse un autentico match, dissimile da Camila che era parsa una diversa persona nei game pari, e in quelli dispari. Opposta nientemeno che alla vincitrice del Roland Garros , Jelena Ostopenko, Camila si era mostrata a tratti ingiocabile, splendida non soltanto per la naturale eleganza, e a tratti cieca, incapace di ricordare che, sulla metà del campo, c’è issata una rete. In vantaggio 5-3 nel primo, e 5-2 nel secondo, Camila non ha saputo approfittare dei limiti della Ostapenko, che non si deve essere resa conto delle necessità di un gioco diverso dal nativo, e preferito, quello sulla terra. Ha dato, Camila, la sensazione di possedere le qualità per vincere il match, ma non è riuscita, una volta di più a collegare i vari aspetti della sua partita. Credevo che Fabio ce la facesse. Erano due giorni che lo scrivevo, non certo per il dubbio patriottismo di insubro, ma perché, dopo aver visto Fognini contro Vesely, e i primi turni faticati da Murray, non nel punteggio, ma nel gioco, contro 2 Signori Nessuno, mi ero convinto che le 3 vecchie vittorie di Fognini negli scontri diretti fossero rinnovabili. Fognini ci è andato vicino, con i cinque set point avuti nel quarto set, che avrebbero riaperto un match sempre in bilico, dalla prima palla. Un match in cui nessuna tattica particolare si è manifestata, al di fuori di lunghi palleggi, con una leggera prevalenza dello scozzese su un rovescio bimane, al quale Fabio ha opposto maggior creatività, ma qualche punto in meno. Qualcuno sta ingiustamente citando l’arbitro francese, Damien Dumusois, che non era forse in grado di sostenere degli amichevoli colloqui con Fognini, i cui dialoghi sono certo spontanei, ma non sempre accettabili. E stata, ripeto, una partita privata di un quinto set che forse l’avrebbe spinta a una prosecuzione logica, una partita equilibrata addirittura per gli infortuni, la citatissima anca sinistra di Murray, contro un improvviso risentimento al tendine d’Achille, o meglio di Fognini. Nei miei malfermi ricordi, accentuati da un taccuino smarrito sul Center Court, ritrovo un primo set perduto da Fabio, con un break subito nel sesto game. Segue il set di Fabio, con un break decisivo contro Murray, il quinto. Speravo, in quella, che ai più che accettabili palleggi dal fondo, Fognini trovasse maggior creatività, maggior varietà. Tutto rimaneva invece eguale, e nessuno dei due riusciva a schiodarsi dalla monotonia della regolarità. A metà del quarto è giunto il momento meno buono di Fognini, capace di subire due break consecutivi, per un totale di due soli punti a otto. E, infine ecco i cinque set point del quarto set, quelli che avrebbero rinviato il match al quinto, e forse a domani. Un’occasione sciupata, da un tennista che perde in 4 set? E possibile? Chi mi legge da tempo può credermi

 

Agassi: “Djokovic mi assomiglia. La famiglia l’ha cambiato e io so come aiutarlo” (Marco Lombardo, Il Giornale)

II rischio era diventare l’uomo sandwich di se stesso: un libro di successo e l’immagine perenne da portare in giro del campione di tennis che odia quello che lo ha fatto diventare un mito. Andrè Agassi ad un certo punto ha deciso di imboccare una strada meno banale e a Wimbledon non è arrivato solo come testimonial Lavazza («li devo ringraziare: mi hanno insegnato a bere l’espresso, ma soprattutto aiutano attivamente la mia fondazione»), ma come coach a tempo pieno di Novak Djokovic: «E in questo caso l’amore o l’odio per il tennis non c’entra più nulla: devi imparare a prenderti cura di un’altra persona». Lo faceva suo padre con lui, con i metodi che abbiamo appreso leggendo Open. E lo fa lui con i suoi due figli, «che mi fanno ascoltare musica rap, io che non accendo la radio neppure quando guido. Ho scoperto che i musicisti si allenano per i concerti come un tennista. Ma lì manca il dramma…». Il dramma e l’estasi. Com’è essere padre, André?

«Potrei dire difficile, ma non è la parola giusta: è una grande responsabilità. Io dal mio ho imparato quello che non avrei voluto essere, ai miei figli spero di insegnare qualcosa in più».

Un padre immigrato, arrivato negli Usa senza sapere una parola di inglese…

«La storia si ripete, no? Ho sentito che Bill Gates dice che bisognerebbe fermare questo flusso di gente. Non so: di sicuro servono più regole, più educazione. Ma io non ho una soluzione in tasca».

Com’è invece essere marito? Com’è Steffi?

«Ah, è difficile starle dietro: si muove tutto il giorno, come quando era la Graf in campo. Chi non la conosce pensa che sia una persona che mette un muro davanti, ma passato quel muro scopri una donna meravigliosa».

A proposito di responsabilità: essere coach…

«Una sfida, complicata ma esaltante. Bisogna studiare molto, imparare a capirsi, instaurare un rapporto di totale fiducia. Un po’ come essere genitori».

Per di più coach di un numero uno come Djokovic.

«Novak è un incredibile – lo ripeto: incredibile – campione. Ma nessuno deve essere sicuro di ciò che sembra. Nessuno è al riparo dalle incertezze: è per questo che serve un coach».

Al fianco di Agassi c’era Brad Gilbert. L’autore di «Winning Ugly», ovvero «vincere sporco».

«In realtà Brad era un grande psicologo. E un problem solver. Questo deve fare un allenatore: risolvere problemi».

Quali sono quelli di Djokovic?

«Il suo mondo ora è diverso: ha una famiglia che sta crescendo, sono cambiati gli equilibri, le convinzioni sul campo sono la cosa fondamentale da recuperare. Ognuno di noi ha un differente motivo quando perde fiducia in se stesso. Ma non bisogna pensare che i problemi siano irrisolvibili: dall’altra parte della rete c’è uno come te. Magari con più problemi di te».

Direbbe questo a quel ragazzo con la chioma lunga e i pantaloncini strani?

«A quell’Agassi? Forse gli direi di tagliarsi i capelli… Scherzi a parte: gli ricorderei che è un work in progress. Direi: “Credici e sarà più facile”».

Agassi è ancora il kid di Las Vegas?

«So che molti pensano alla mia città come quella del gioco e del peccato, ma Vegas non è solo un posto per turisti. È una città nata nel deserto e non per caso: è un simbolo di innovazione, di sogni, di lavoro duro, di spirito. Ecco: Las Vegas ha uno spirito. Che è ancora in me».

Quell’Agassi era anche il rivale di Sampras.

«Pete è stato quello: un rivale. Mai un amico, né un nemico. L’ho sempre rispettato, mi ha ispirato, mi ha battuto, l’ho sconfitto. È stato come avere uno specchio davanti».

Mentre Ivanisevic… «Goran? Un caro amico: d’altronde io sono amico di chiunque ha perso con me una finale di Wimbledon… Scherzi a parte, è incredibile: su campo era up and down, fuori una persona bellissima. Pensavo che fosse matto, ma ho scoperto che ad essere matto è il tennis»

«Open» è il libro sul passato. Com’è, André, il futuro?

«Non lo so, non lo immagino. Sto vivendo nuove esperienze e sono sereno. Non mi pongo obbiettivi. Posso dirlo: sono aperto a tutto. Sono open…».

 

 

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