Tutti i tornei sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

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Tutti i tornei sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

Amburgo elemosina i big, Washington ne ha fin troppi. Dimitrov si suda i 250 punti di Brisbane, Isner ne vince 250 a Newport in infradito. “La fattoria dei tennisti”?

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Il 2009 ha offerto l’ultima vera rivoluzione dei regolamenti ATP. Gli Slam sono rimasti Slam – valli a toccare quelli, e poi sono sotto egida ITF – mentre le tre categorie inferiori hanno cambiato pelle. Se i Masters Series hanno semplicemente risposto all’esigenza di incamerare nel nome i punti che vanno al vincitore diventando “Masters 1000”, i tornei che attualmente corrispondono alle categorie ATP 250 e ATP 500 sono nati sulle ceneri degli – rispettivamente – International Series e International Series Gold. 

La riforma ha avuto tra gli altri il preciso scopo di gerarchizzare con maggiore precisione gli eventi. Grazie alla possibilità di modificare montepremi e punti assegnati di anno in anno, gli organizzatori dei tornei avevano reso il circuito una complessa alchimia nella quale si ergevano per nettezza soltanto i (futuri) 1000 e gli Slam. L’evento di Lione (un International Series) era passato dai 225 punti del 2006 ai 450 del 2008, ultimo anno pre-riforma. In quella stagione i vincitori di un torneo della categoria di tornei immediatamente superiore ai Challenger potevano acquisire dai 350 punti di Metz ai 500 di Doha, che pur non essendo un “Series Gold” aveva un montepremi superiore al torneo di Barcellona, che di punti ne assegnava 600. Non esattamente l’elogio dell’ordine.

Dal 2009 si è passati a una formula a prova di spettatore occasionale, lo stesso criterio che guida gli “spiegoni” che ogni tanto vengono piazzati nelle serie TV per non escludere chi si fosse sintonizzato appena per la prima volta. Gli ATP 250 danno tutti 250 punti, e così lo stesso per i 500 e per i Masters 1000. Niente più vie di mezzo, se un torneo si sposta da una categoria all’altra ce ne sarà un altro a fare il percorso inverso. Nel 2009 Amburgo perde lo status di Masters 1000 e il suo posto viene preso da Madrid (che passa alla terra) in calendario e da Shanghai nel novero dei 1000. Il disordine – che ancora impera oggi nel calendario WTA – si dirada. Le incongruenze scompaiono?

Forse non del tutto. L’analisi dell’attuale situazione dei tornei parte ancora dell’evento di Amburgo, bistrattato, decaduto e persino ripudiato da un suo ex feudatario come Rafa Nadal. Il torneo tedesco è ancora oggi un ATP 500, come Washington. Ma a giudicare dal confronto dei partecipanti ai due tornei che si disputano a distanza di una settimana – Amburgo attualmente in corso, Washington inizia il prossimo lunedì – sembra esserci un’intera categoria di differenza.

Dodici top-30 negli Stati Uniti, appena due (senza top-20) in Europa. Il fatto che l’evento di Amburgo si piazzi proprio nella prima settimana della stagione nordamericana sul cemento, e che persino un terraiolo come Thiem scelga di andarsi a testare negli States piuttosto che inseguire i 500 (molto più agevoli) punti tedeschi, spiega quasi interamente la differenza. Si fatica a comprendere come mai Amburgo non scelga di convertirsi al cemento, switch che colmerebbe anche l’inspiegabile mancanza di un “vero” evento su cemento outdoor in Europa. Resta il fatto che il punteggio assegnato ai due vincitori è lo stesso, ma certamente non lo è la competitività del torneo. E all’interno di una stessa categoria probabilmente dovrebbe esserci più omogeneità, tanto più se applicando il cambio euro-dollaro il montepremi risulta quasi equivalente.

Se gli ATP 500 non si somigliano tutti, cosa dire dei 250. Nel fluido distribuirsi di tornei più o meno competitivi compaiono estremi quasi grotteschi. Si prendano in esame l‘ATP 250 di Brisbane, in programma a gennaio prima degli Australian Open e l’ATP 250 di Newport, ultimo evento della stagione su erba. I vincitori delle edizioni 2017 sono rispettivamente Grigor Dimitrov e John Isner. Ma se il bulgaro ha dovuto sconfiggere nel suo cammino i numeri 33 (Johnson), 39 (Mahut), 8 (Thiem), 3 (Raonic) e 5 (Nishikori) del ranking, allo statunitense è stato sufficiente – con tanto di bye al primo turno – aver ragione dei numeri 201 (Groth), 203 (Novikov), 142 (Fratangelo) e 249 (Ebden).

17,6 il ranking medio degli avversari di Dimitrov a Brisbane, 198,8 (!) il ranking medio degli avversari di Isner a Newport. Anche qui: Newport è la malinconica chiusura di uno scorcio di stagione a cui i big hanno già smesso di pensare, Brisbane è l’evento più competitivo in preparazione al primo Slam della stagione. Le ragioni delle differenze sono ancora lampanti, eppure il “povero” Grisha e il più fortunato Long John hanno incamerato gli stessi 250 punti. A voler essere pragmatici, quello del lungagnone statunitense è un saggio di massimo risultato con il minimo sforzo.

Una riforma che doveva garantire una meno caotica distribuzione dei punteggi creando categorie più rigide, si ritrova oggi con qualche eterogeneità intestina di troppo. Il ranking garantisce la partecipazione ai tornei e ne decreta le teste di serie: è quindi la linfa vitale dei tennisti. La fonte di questa linfa sono le vittorie o i piazzamenti nei tornei. Ma per programmare una stagione, più che fidarsi della categoria di appartenenza di un evento, sembra che oggi i tennisti debbano “studiarsi” le fluttuazioni del calendario e inserirsi dove appare più semplice fare bottino pieno. Tra Sugita che vince tra i pigri e selezionati supporter di Antalya e Zverev che batte Gasquet per sollevare il trofeo di Montpellier, beh… c’è un Orwell di differenza. “Tutti gli ATP 250 sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri“.

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