Laver Cup: un evento già grande, la tradizione arriverà

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Laver Cup: un evento già grande, la tradizione arriverà

Pregi (molti) e difetti di una formula. La tre giorni di Praga sembra aprire la strada per un altro super appuntamento del calendario tennistico

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Tra i tanti momenti indimenticabili di questa prima edizione della Laver Cup, probabilmente il più significativo si è avuto sabato scorso quando, durante la sfida tra Berdych e Kyrgios, gli oltre dodicimila della O2 Arena hanno tributato un’ovazione calorosa a Rod Laver, inquadrato per qualche attimo dalle telecamere e trasmesso sul maxi-schermo a quattro facciate del meraviglioso impianto praghese. Certo, perché all’interno di una manifestazione che ha avuto l’onore e l’onere di coniugare lo spettacolo con la credibilità, che un numero così grande di persone abbia immediatamente riconosciuto il leggendario “Rocket Man” (volto scontato per la nicchia degli appassionati ma non altrettanto per i molti che sono convenuti qui con lo scopo di assistere all’evento in quanto tale) neanche fosse stato un attore o un calciatore, o ancora meglio un campione di hockey su ghiaccio visto dove ci troviamo, può dare il senso di cosa siano state queste tre giornate.

Nei giorni scorsi però, preoccupati pure noi di cercare conferme e/o smentite alla bontà del progetto sponsorizzato anche e soprattutto dal team di Roger Federer, abbiamo in parte perso di vista gli aspetti che, negli altri tornei, solitamente vengono dati per acquisiti. Il primo pensiero va rivolto quindi inevitabilmente al format, ovvero alla formula scelta per questa sfida. Innanzitutto l’idea di contrapporre due continenti (anzi, in questo caso un continente e il resto del mondo), con l’obiettivo di rendere quanto più possibili coese le squadre in campo puntando sullo spirito di appartenenza, è stata al contempo coraggiosa quanto inevitabile. Esistendo già una competizione riservata alle nazionali, ovvero quella Davis con la quale – come ci ha tenuto a sottolineare lo stesso Federer – la Laver Cup non ha l’ambizione e lo scopo di mettersi in contrapposizione, gli organizzatori hanno preso appunti da altre discipline sportive (viene in mente la Coppa America di vela o l’All Star Game di basket oltre alla già più volte citata Ryder Cup di golf) e hanno trasferito nel tennis il concetto di sfida.

Inevitabile dunque estendere gli ambiti geografici oltre il concetto di nazione ma, anche se nella sostanza era un quattro (continenti) contro uno, in questo particolare momento storico l’Europa della racchetta ha un valore e una qualità decisamente superiori a quelli che possono esprimere insieme Africa, Asia, Americhe e Oceania. Tuttavia, vuoi per la scelta della superficie di gioco (decisamente rapida), vuoi per la formula che assegna ai doppi lo stesso valore dei singolari, vuoi perché gli americani (e i loro “cugini” di lingua) sanno dare alla parola “team” un significato maggiore di chiunque altro, vuoi infine perché quando le cose devono andare bene (e comunque se cerchi di fare tutto al meglio è più facile che vengano bene) non c’è niente che le possa guastare, ebbene per queste e per chissà quante altre ragioni il TeamWorld, una sorta di variopinta Armata con l’istrionico John McEnroe nelle vesti di Brancaleone, è stata ad un piccolissimo quindici dal rimandare ogni decisione al doppio finale (previsto sulla distanza di un solo set) nel quale sarebbero stati favoriti.

 

Se dunque, sulla carta, la disparità tra le due compagini era notevole, sull’elegantissimo campo grigio cenere della O2 Arena le cose sono andate ben diversamente e l’ultima giornata si è trasformata, da inutile passerella europea, a thriller sportivo che ha tenuto con il fiato sospeso i quindici e passa mila dell’impianto praghese e le centinaia di migliaia di spettatori televisivi in tutto il mondo.

Del resto, numeri alla mano, l’Europa (alla quale mancavano pure Murray, Djokovic e Wawrinka e che ha rinunciato a Dimitrov probabilmente per la necessità di dover schierare Berdych, pur sempre atleta di casa) partiva con un ranking medio di 6,33 contro il 32,83 del mondo e, dato ugualmente significativo, un vantaggio di 72-24 nel computo dei confronti diretti incrociati tra i sei singolaristi TeamEurope e i sei TeamWorld; questi ultimi avevano dalla loro solo la più giovane età media (24 anni contro i 28 e mezzo degli avversari) ma anche questo, come abbiamo potuto verificare negli ultimi tempi, non è un vantaggio.

Prima di passare alla formula, un’ultima considerazione sulla differenza di valori in campo, che adesso c’è ma non è detto che sarà sempre così marcata. Proviamo ad immaginarci un ipotetico Stati Uniti-Mondo nel 1980 (Borg, Vilas, Lendl e Clerc contro McEnroe, Connors e Gerulaitis) o un Europa-Mondo dodici anni dopo (Sampras, Agassi, Chang e Courier contro Edberg, Becker, Ivanisevic e Krajicek) o, per finire, nel 2000 (Kuerten, Sampras, Agassi e Hewitt contro Safin, Kafelnikov, Norman e Enqvist): tutte sfide equilibrate e quindi in grado di garantire incertezza al di là della formula scelta.

Molti, non del tutto in torto, hanno storto il naso sulla scelta dell’assegnazione dei punti: 1 per ogni vittoria ottenuta nella prima giornata, 2 per la seconda e 3 per la terza con l’eventuale doppio di spareggio (un solo set tra due coppie scelte dai capitani sul campo al termine dell’ultimo singolare) sulla situazione di 12-12. È evidente che un punteggio del genere garantisce, anche nella peggiore delle ipotesi, lo svolgimento di almeno un match nella terza giornata in quanto anche vincendo tutti gli incontri delle prime due, un team non avrebbe raggiunto quota 13, necessaria ad aggiudicarsi il trofeo.

Alla base di questa scelta ci sono ovvie esigenze di marketing, ovvero la necessità di garantire partite anche il terzo giorno, anche se esiste il rischio che la domenica il tutto possa esaurirsi con la prima partita. Non si tratta quindi, come si può pensare, di allungare il brodo bensì di fornire un prodotto di qualità a chi ha pagato il biglietto senza al contempo snaturare troppo lo spirito della contesa, che deve (o dovrebbe) restare al di sopra di ogni cosa. Il terzo giorno di questa prima edizione, iniziato con l’Europa in vantaggio 9-3 e avviata ad un facile successo, sembrava destinato a rapida e noiosa conclusione ma il doppio (collocato con intelligenza all’inizio della sessione unica anziché alla fine) vinto da Isner-Sock ha garantito che almeno altri due singolari si sarebbero dovuti giocare. Poi sappiamo tutti com’è andata a finire, come meglio non avrebbero potuto sperare gli organizzatori e i componenti dell’Europa (un po’ meno Nadal e Berdych, gli unici non del tutto soddisfatti al momento di festeggiare la vittoria) ma ciò non toglie che questo aspetto del format presenti qualche lacuna.

Come discutibile (e forse un tantino pilotato) è parso l’aspetto legato alle scelte dei giocatori da parte dei due capitani. Detto che qualche collega australiano conosceva gli accoppiamenti della prima giornata prima ancora che Borg e McEnroe li annunciassero ufficialmente in conferenza stampa (sarà che in Australia le notizie arrivano prima a causa del fuso orario…), il dubbio che le scelte stesse siano state condizionate anche dal fattore show e non solo perseguendo una chiara strategia è più che legittimo. Perché le star della tre giorni praghese erano Federer e Nadal e, volendoli mettere in campo in singolare nella seconda giornata (quando le vittorie valevano 2 punti anziché 1), Borg si è inventato un improbabile doppio Nadal-Berdych che forse aveva più il senso di accontentare gli spettatori del venerdì (altrimenti privati dei big) che di raccogliere un punto.

Lo stesso, sempre parlando di strategia, si può affermare per la seconda giornata quando McEnroe, sapendo che Federer e Nadal avrebbero giocato il doppio (era una delle maggiori curiosità dell’evento) e intuendo che Borg avrebbe volentieri risparmiato ai suoi due gioielli di affrontare il temibilissimo Kyrgios, poteva collocare l’australiano nella sessione diurna costringendo così il TeamEurope a schierare lo spagnolo o lo svizzero in serata (per evitare Nick) e quindi a fargli giocare due incontri consecutivi. Ma, lo riconosciamo, sono, questi, cavilli o tecnicismi che non intaccano la bontà di una formula tutto sommato equa, con predisposizione all’interesse crescente (cosa che succede anche nei tornei ad eliminazione diretta, dove i primi turni raramente hanno lo stesso appeal delle fasi conclusive) e che ha il grande merito di concedere a chi è sotto la possibilità autentica di recuperare.

Per finire, torniamo per qualche attimo alla questione della credibilità. Chiarito che non si vuole (e non avrebbe nemmeno senso) difendere niente e nessuno, il giudizio conclusivo su questa prima edizione della Laver Cup non può che essere positivo. Pur senza il patrocinio ufficiale degli organismi (ATP, WTA e ITF) che hanno il potere di decretare l’ufficialità o meno di tornei e manifestazioni nel tennis (ovvero, di far sì che i risultati delle stesse rientrino o meno nelle statistiche ufficiali anche se sappiamo bene che, ad esempio, i tornei pro fino al 1968 non rientrano in queste pur avendo espresso, al tempo, risultati spesso più significativi di quelli ufficiali), la Laver Cup ha avuto il potere, grazie a robuste spalle organizzative che non hanno tralasciato il minimo dettaglio per il successo della stessa, di mettere in imbarazzo il resto dell’establishment in quanto gli attori non hanno recitato un ruolo (o, se l’hanno fatto, sono stati bravissimi anche in questo) diverso da quello che recitano nei tornei “veri” e, in più, hanno saputo creare un’atmosfera, aiutati dal meraviglioso pubblico ceco in un intrecciarsi di causa-effetto, che definire suggestiva è certamente riduttivo.

Non traggano in inganno le “pagliacciate” dei salottieri del TeamWorld (chi segue lo sport a stelle e strisce sa che da quelle parti fanno così), accolti un po’ da tutti come i poverelli destinati al sacrificio e invece encomiabili sia a non arrendersi nemmeno all’evidenza di un’inferiorità più virtuale che pratica che a frequentare con assiduità l’angolo della squadra (molto più degli europei) facendo sempre sentire la vicinanza a chi stava in campo. E non tragga in inganno nemmeno lo spirito di solidarietà emotiva instaurato tra Federer e Nadal, che buona parte dei rispettivi tifosi (soprattutto quelli di Roger) ha dovuto faticosamente digerire e che, all’evidenza dei fatti, è assai più genuino di quanto la rivalità possa suggerire.

La tradizione si accumula solo con il tempo e non è detto che la Laver Cup sarà in grado di farsene una, sopravvivendo agli anni, alle avversità e a se stessa. Nel tennis, è risaputo, ci sono tornei che fanno grandi i giocatori e viceversa; per ora la Laver Cup appartiene alla seconda categoria ma non è detto che sarà sempre così. È banale dirlo ma ogni cosa ha un inizio e non tutte muoiono all’alba, quando i sogni più belli solitamente si interrompono. Se pensiamo che, quando non ci saranno più Federer e Nadal, questa coppa non avrà più senso dobbiamo anche pensare che il tennis, tutto, esisteva prima di loro e continuerà ad esistere anche dopo; ritenere di vivere in un’epoca irripetibile è comprensibile per chi non ha vissuto quella di Borg, McEnroe e Connors, quella di Becker e Edberg, di Sampras e Agassi ma è una visione distorta della realtà.

E, per ricongiungerci al principio, la dimostrazione l’abbiamo avuta quando la folla della O2 Arena, composta da persone di ogni età, ha omaggiato il titolare di questo “misfatto” con una lunga, corale e spontanea ovazione. Data l’età di Rod Laver, temiamo che ben pochi degli spettatori in questione abbia amato il tennis perché ha vissuto l’epoca di “Rocket Man”. Eppure…

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ATP

Draper salta Wimbledon per l’infortunio alla spalla patito al Roland Garros

Dopo il ritiro a match in corso nel 1° turno parigino contro Etcheverry, Jack Draper è costretto a rinunciare anche all’intera stagione sui prati

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Jack Draper - Queen's 2022 (Credit: Getty Image for LTA)

Jack Draper salterà l’ormai imminente – al via tra meno di un mese, il 3 luglio – edizione numero centotrentasei del torneo di Wimbledon a causa dell’infortunio alla spalla patito nella prima settimana del Roland Garros, precisamente durante una sessione di allenamento che ha preceduto l’incontro di esordio contro l’argentino Tomas Etcheverry.

Purtroppo per il classe 2001 di Sua Maestà, il fastidio era già piuttosto pronunciato da impedirgli anche solo di poter portare a termine il match di primo turno, dal quale si è così dovuto ritirare: dopo aver perso il primo set 6-4 e ritrovatosi sul punteggio di 1-0 nel secondo ha alzato definitivamente bandiera bianca – non prima di aver provato comunque a continuare per diversi minuti pur con uno stato fisico limitante, ben rappresentato dai numerosi servizi da sotto in cui si è esibito. Il 23enne di La Plata beneficiando di quest’occasione ha saputo farla fruttare nel migliore dei modi, compiendo un grandissimo exploit e raggiungendo un’incredibile quarto di finale sospinto dall’alto.

Un duro colpo per il 21enne britannico, dato che si tratta dell’ultimo di una lunga serie di problemi di natura fisica che ne hanno irrimediabilmente condizionato il rendimento negli ultimi mesi di Tour. Il mancino di Sutton era infatti in grande ascesa ai nastri di partenza dello US Open 2022, tuttavia purtroppo la sua corsa fu nuovamente fermata da un altro crack fisico che l’obbligò al ritiro a fine terzo set della sfida di sedicesimi, dando così la possibilità di involarsi agli ottavi al futuro semifinalista di Flushing Meadows Karen Khachanov.

 

La tormentata conclusione della scorsa annata tennistica ha rappresentato però, per la sfortuna del n. 4 di Gran Bretagna, solamente l’inizio di un calvario senza pace che lo ha tormentato a tal punto da permettergli di disputare nel 2023 la miseria di 8 eventi.

Nonostante Jack fosse estremamente sconfortato dall’ennesimo stop fisico, in seguito alla “non” partita contro il sudamericano, dal box del giocatore flirtava comunque ottimismo guardando al successivo blocco del calendario: la stagione su erba. Si pensava, difatti, che il problema non avrebbe poi intaccato così tanto il prosieguo dell’anno ma tutte le speranze sono crollate fragorosamente non appena Draper si è sottoposto agli esami clinici del caso rivolgendosi ad uno specialista del settore: il responso è stato inequivocabile, niente prati e soprattutto forfait allo Slam casalingo.

Dalle analisi è apparso chiaramente come la mia spalla necessiti di un periodo di riposo forzato, e successivamente di una fase riabilitativa per riacquistare pienamente le proprie funzioni. Io e il mio team siamo così stati costretti a dover prendere la difficile decisione di saltare la stagione su erba di quest’anno. Ho sempre saputo che in questo sport ci sono così tanti alti e bassi, ma questo momento è davvero duro da accettare. Certamente però non smetterò di perseverare” ha commentato, a margine di questo nuovo infortunio, su Instagram il diretto interessato.

Nelle parole del campione juniores 2018 di Church Road non si accenna a nessun intervento chirurgico, perché assieme al suo staff hanno optato per un percorso di recupero meno invasivo e che si basi quasi esclusivamente sulla fisioterapia. Il rientro, se tutte le tabelle di marcia verranno rispettate senza controindicazioni, alle competizioni è previsto tra la metà e la fine di luglio.

Quando ha potuto giocare con uno stato di forma non inficiato da fastidi fisici di vario genere, Jack Draper – ex n. 7 a livello junior – ha indiscutibilmente dimostrato di possedere il potenziale per spiccare il volo nell’élite ATP dei migliori al mondo ma come è facilmente intuibile questo contesto di benessere fisico è stata un’assoluta rarità: prima l’infortunio alla gamba destra a New York, poi un virus influenzale che l’ha debilitato e non poco in pre-season

La storia personale tra il ragazzo nato nel sud di Londra e SW19 ha visto finora andare in scena due soli capitoli: l’esordio assoluto nel 2021 quando è stato capace di strappare un parziale a Novak Djokovic, mentre nel 2022 è riuscito a fare un passo in più prima di soccombere – sempre in quattro set – con l’australiano Alex De Minaur. Dunque si prospetta un’altra pesante assenza per i colori britannici, dopo quella di Emma Raducanu anche lei in preda a continui infortuni di carattere fisico, ma che a differenza di Jack è stata costretta ad andare sotto i ferri.

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ATP

Dominic Thiem cede la poltrona austriaca: da lunedì non sarà più n.1 del suo Paese

Sconfitto al secondo turno di Heilbronn, il ventinovenne Dominic Thiem è costretto a lasciare il primo posto del tennis austriaco a Sebastian Ofner

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Dominic Thiem - Roland Garros 2022 (foto Roberto dell'Olivo)

Dopo la sconfitta al secondo turno all’ATP Challenger di Heilbronn, Dominic Thiem è costretto a cedere il gradino più alto del tennis austriaco a Sebastian Ofner.

Moritz Thiem, fratello di Dominic che ha allenato sia lui che Ofner, ha analizzato la partita di Heilbronn senza troppi filtri: Non è stata una bella partita, fatta eccezione per il primo set. Adesso (Dominic) deve iniziare a trasformare in partita i colpi che sta già giocando in allenamento, altrimenti farà sempre fatica contro tutti”.

Si apre invece per Ofner una nuova finestra, più luminosa ma più dispendiosa. Col passaggio alla posizione n. 80 al mondo il ventisettenne stiriano avrà nuove importanti opportunità, che deve però essere bravo a sfruttare al meglio e al momento giusto: il rischio che venga superato presto da altri giocatori è dietro l’angolo. Per ora si riposa, godendo dell’attesa della gloria (ufficiale) che arriverà con l’aggiornamento della classifica della nuova settimana. Giocherà il suo primo match da n.1 austriaco sull’erba di Ilkley (Gran Bretagna, 19-25 giugno 2023).

 

Marianna Piacente

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Flash

Roland Garros, doppio femminile: la finale sarà Fernandez/Townsend contro Hsieh/Xinyu Wang

Domenica mattina l’ultimo atto del doppio femminile del Major parigino. Solo la 37enne Hsieh Su-Wei ha già vinto uno Slam tra le tenniste in campo

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Su-Wei Hsieh - Australian Open 2021 (via Twitter, @AustralianOpen)

Nella giornata in cui l’attenzione mediatica è completamente rivolta verso le due semifinali maschili del Roland Garros, in particolare quella tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz, tra la mattinata e il primo pomeriggio di venerdì 9 giugno si è però anche definita quella che sarà la finale di doppio femminile nello Slam di Bois de Boulogne. Fernandez/Townsend e Hsieh/Xinyu Wang si contenderanno la coppa nell’atto conclusivo in programma domenica mattina.

Si tratta della prima finale in un Major per il duo composto dalla canadese Leylah Fernandez e dalla statunitense Taylor Townsend, che si presentavano a Parigi da teste di serie n° 10 e che hanno battuto in semifinale la coppia, in questo caso tutta americana, Gauff/Pegula, seconda forza, sulla carta del tabellone, nonché formazione finalista nel 2022. Il punteggio a favore di Fernandez/Townsend è stato piuttosto netto, solo 4 games concessi e un 6-0 6-4 eloquente in 1 ora e 4 minuti, condito addirittura da un bagel nel primo parziale.

Guardando individualmente all’una e all’altra giocatrice che hanno raggiunto questo prestigioso traguardo e quindi, in sostanza, separando per un attimo la coppia, per Townsend è la seconda finale a livello Slam, che si aggiunge a quella centrata allo Us Open del 2022 al fianco di Caty McNally, mentre per Fernandez, già finalista in singolare a Flushing Meadows nel 2021 nell’incontro perso con Emma Raducanu, sarà invece, quella dell’11 giugno, la primissima volta in finale in doppio in un palcoscenico tanto importante.

Traslando invece l’attenzione alle loro rivali, la taiwanese Hsieh Su-Wei e la cinese Xinyu Wang arrivano in finale da non teste di serie, anche perché stiamo parlando di un connubio tennistico recente. Dei cinque incontri disputati per ottenere il risultato, però, ben quattro successi le hanno viste estromettere delle giocatrici seeded, tra cui, proprio in semifinale, le seste favorite del tabellone Melichar-Martinez/Perez, in tre set con lo score di 6-2 3-6 6-3.

Anche in questo caso, esaminando singolarmente le due giocatrici, va rimarcato che Hsieh è rientrata nel circuito a 37 anni suonati solo all’inizio di maggio del 2023, dopo uno stop volontario di 18 mesi. I suoi tre titoli in singolare non sono nulla rispetto alle 30 coppe ottenute in doppio (ex n° 1 di specialità), tra cui il trionfo proprio a Bois de Boulogne nel 2014, quando condivideva il campo con Peng Shuai. Xinyu Wang (classe 2001), invece, può dimenticare la batosta subita in singolare da Iga Swiatek al terzo turno di questo Roland Garros con la sua prima finale in doppio in uno Slam.

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