WTA 2017: una coppa, un piatto e... una montagna - Pagina 4 di 4

Al femminile

WTA 2017: una coppa, un piatto e… una montagna

Tutto, ma proprio tutto sui tornei giocati nell’ultima stagione. Trofei, vincitrici, premi

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Ispirazione locale
Alcuni trofei sono stati concepiti per comunicare in modo diretto il legame del torneo con la cultura, i costumi o la geografia locale. Ho citato prima le ceramiche di Tokyo con soggetti tipicamente giapponesi. A Dubai il rapace rimanda alla tradizione della falconeria araba, mentre a Toronto il premio articola in tre dimensioni la foglia d’acero canadese:

A Hobart il trofeo è una tavola di legno sagomata come la Tasmania, l’isola a sud dell’Australia di cui Hobart è la capitale. L’idea in sé non è negativa, ma qui il vero problema è la realizzazione. Sul legno sono fissati senza criterio diversi scudetti in ottone, uno per ogni vincitrice delle edizioni passate. Il risultato è un autentico disastro:

L’impressione che comunica è di assoluto dilettantismo. Il trofeo di Hobart è così brutto (aggettivo inevitabile) da risultare peggiore anche delle argenterie del “masterino” di Zhuhai, che pure di primo acchito sembrerebbero quasi imbattibili.

Se non sbaglio anche l’uccellino rosso di Bogotà rimanda alla fauna del posto. Come trofeo esposto da solo parrebbe più che altro un generico soprammobile: bocciato. Ma se lo immaginiamo insieme ad altri trofei (ogni giocatrice WTA ne possiede sicuramente più di uno) aggiunge un tocco di stravaganza esotica: in questo caso per me è promosso.

In termini dimensionali molto impegnativo è quello di Gstaad, con le sagome specchianti delle montagne svizzere.  L’idea non spicca per originalità e anche il risultato non è che sia gran che convincente; il primo pensiero che mi suscita è tenerlo lontano dai bambini perché l’oggetto appare pericoloso.

Le vestizioni
A completamento dei trofei di ispirazione locale, ricordo le premiazioni che prevedono un cerimoniale più articolato, con richiami dal sapore etnico. Ad Acapulco alla vincitrice si chiede di indossare il tipico sombrero messicano:

A Bali, per alcune stagioni sede del “masterino” WTA, alla finaliste venivano donate ghirlande di fiori, così come a Wuhan e Tianjin (immagini nella pagina precedente).
A Tashkent entrambe le giocatrici indossano un vestito tradizionale uzbeko. Ecco la cerimonia del 2017, con la giovane figlia di Kateryna Bondarenko che però non gradisce molto il copricapo che le viene offerto:

La consegna dell’abito uzbeko si svolge con la colonna sonora di “We are the Champions” dei Queen. Anche per questo mix del tutto particolare lascio al futuro ricercatore universitario il compito di trarre valutazioni più profonde.

Per chi ha perso
Riguardo ai trofei di tennis c’è un tema trascurato: il premio per la giocatrice sconfitta. Che varia moltissimo fra torneo e torneo. Alcuni hanno la tendenza a dedicare tutte le attenzioni alla vincitrice, lasciando le briciole a chi ha perso. Sotto questo aspetto è perfino imbarazzante la sperequazione di Auckland, tanto che mi domando come facciano gli organizzatori a non rendersene conto. Mettiamola così: Konjuh si sarà consolata con lo champagne.

Anche in Inghilterra non scherzano: Nottingham, Birmingham, Eastbourne offrono un classico oggetto di argenteria alla vincitrice, una scarna targa in vetro alla sconfitta. Targa che oltre tutto nelle foto risulta quasi invisibile:

Forse nel 2017 la più sfortunata è stata Kiki Mladenovic, che si è ritrovata con una doppia targa sia ad Acapulco che a Madrid, a diretto confronto con gli opulenti trofei dedicati alla vincitrice. (Per quanto riguarda i premi di Kiki nel 2017 rimando anche a Stoccarda).

Altri tornei invece hanno un approccio più misurato nei confronti di chi ha perso. Nella Sunshine Double (Indian Wells e Miami) e nelle US Open Series la logica è questa: il premio nella forma è uguale (ad eccezione di Cincinnati), ma la dimensione è diversa, più piccola per chi perde. Ecco ad esempio Miami:

e Stanford:

Ma è così anche altrove: a Quebec, Monterrey, Bogotà, Seul, Guangzhou, Istanbul, Linz, ‘s-Hertogenbosch. A Båstad chi vince riceve una “pallina” dorata, chi perde argentata.

Infine ci sono i tornei con impostazione egualitaria, in cui l’oggetto donato alle due giocatrici è praticamente identico. Accade a Kuala Lumpur, Tokyo, Praga, Norimberga:

Anche a Stoccarda il trofeo (il marchio Porsche reso tridimensionale) è lo stesso. A parte un dettaglio: oltre al trofeo la vincitrice si porta a casa anche l’automobile. Di nuovo Mladenovic finalista, sconfitta al tie break del terzo set; per i premi accessori il 2017 non è proprio stato il suo anno, visto che l’auto è diventata di Laura Siegemund:

È meno noto che a Stoccarda anche alle doppiste viene dato come premio un mezzo di trasporto Porsche: due… biciclette. Quest’anno se le sono aggiudicate la coppia Atawo/Ostapenko:

Il peso della gloria
Infine tra chi organizza, forse perché con un ampio budget a disposizione, qualcuno si è fatto prendere la mano, perdendo il senso della misura. Spiccano due tornei.
L’enorme coppa di Pechino:

E il trofeo di Indian Wells, così massiccio da venire portato in campo con un piedistallo di supporto. Nel 2015 in conferenza stampa alla vincitrice Simona Halep è stato chiesto di alzarlo. Lei ha esordito dicendo: “Certo, ho la forza per farlo”. Ecco come è andata:

Giustamente Simona al dunque ha pensato: “Qui mi gioco i prossimi tornei, meglio rimanere sana per Miami” (dove sarebbe arrivata in semifinale). E ha lasciato il macigno incustodito sul tavolo.

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