Il 16 settembre 2015, appena quattro giorni dopo la strepitosa finale newyorchese tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, mentre tutto il paese saliva sul carro del tennis azzurro (qualcuno anche sull’aereo) e delle due straordinarie campionesse, Raffaella Reggi ci confessò: “Credo che Francesca, Sara, Roberta e Flavia si siano stimolate a vicenda, credo si sia trattato di un tirarsi l’una con l’altra. Il problema è che dietro a queste ragazze la vedo molto grigia. Molto, molto grigia”. Ovviamente schiere di “federales” attaccarono Raffaella, rea di oltraggio alla bandiera e “pronta a parlare male della federazione anche in un momento come questo”. In realtà la ex numero 1 azzurra e apprezzata voce tecnica di Sky Sport non aveva fatto altro che fotografare con lucidità e precisione la realtà del futuro del tennis femminile azzurro nel suo momento più alto.
Sono passati due anni e mezzo e oggi Francesca Schiavone, classe 1980, è stata nuovamente la numero uno d’Italia, seppur per una sola settimana. Al numero 96 del ranking. Con tutto il bene che vogliamo alla Leonessa e alla sua voglia di continuare a lottare, non vi è dubbio che si tratti di una pessima notizia. “Purtroppo era facile prevedere questa situazione. Tanto di cappello a Francesca, ma siamo messi davvero male. Anche a livello di squadre, oramai non gioca più nessuno”, dice oggi la campionessa degli internazionali d’Italia del 1985. “Bisognava cavalcare l’onda delle quattro grandi campionesse, senza fossilizzarsi su di loro. Creare un gruppo di dieci-dodici ragazze ma inserendole in un programma almeno quadriennale affidato a tecnici di spessore. Invece sento parlare di tecnici part-time e di raduni una tantum…”.
Spulciando la classifica WTA emergono dati inquietanti, con la sola Schiavone con un numero a due cifre davanti al nome, con 31 (sì, trentuno) nazioni che hanno almeno una giocatrice davanti alla nostra prima rappresentante e con la chiara e netta sensazione che il peggio debba ancora venire. Flavia Pennetta si gode gli oneri e i piaceri della maternità mentre Roberta Vinci ha già annunciato che i prossimi saranno gli ultimi scampoli di carriera. Sara Errani è impegnata in una difficile risalita con la spada di Damocle pendente sul suo capo di una vicenda doping non ancora conclusa mentre Karin Knapp purtroppo è ancora una volta alle prese con i postumi di un intervento chirurgico (il quinto al ginocchio!). Resterebbe Camila Giorgi, in verità anche lei reduce da una stagione caratterizzata da tanti problemi fisici e tante incertezze che l’hanno fatta precipitare nel ranking, ma l’italo-argentina ha appena compiuto 26 anni e questa stagione rappresenta l’ultima occasione per una maturazione tecnica, tattica e psicologica che le possa consentire di esprimere appieno tutte le sue potenzialità. Senza dimenticare la querelle con la federazione senza via di uscita, tra contratti atipici, impegni non mantenuti, squalifiche farlocche e carte bollate a go-go. Nel frattempo ha dominato Stephens e si è ripresa il primo posto azzurro.
Non è nemmeno giusto gettare la croce sul folto gruppetto di ragazze azzurre che naviga oltre la centocinquantesima posizione del ranking e dal quale si spera che qualcuna riuscirà a staccarsi per raggiungere i piani più alti del tennis in gonnella. Ognuna ha le sue caratteristiche, la sua personalità, i suoi limiti e le sue potenzialità ma non è questa la sede per valutarle: ciò che è indiscutibile e che stiamo facendo non uno ma dieci passi indietro. D’altra parte quattro campionesse capaci ciascuna di raggiungere almeno una finale Slam (con due titoli), di soggiornare stabilmente ai vertici del tennis mondiale, di dare vita a splendide battaglie contro le più grandi stelle della loro epoca, senza tacere i clamorosi risultati in doppio della coppia Errani-Vinci (ma anche di Flavia Pennetta) e i successi in Fed Cup, non le avevamo mai avute prima e difficilmente le avremo in futuro.
La colpa della nostra federazione è stata quella di non aver saputo sfruttare i successi di queste quattro grandi campionesse per creare un circolo virtuoso nel mondo del tennis femminile, di non aver saputo creare un effetto-traino coinvolgendo le quattro fuoriclasse in progetti di crescita del movimento femminile, invogliando le ragazze delle scuole a puntare sul tennis piuttosto che su altre discipline. “In altri sport, penso alla scherma, al nuoto o anche allo sci alpino per fare degli esempi, abbiamo avuto delle atlete straordinarie in passato e la loro esperienza ha creato un circolo virtuoso per tutto il movimento. Purtroppo nel tennis non è stato così e bisogna chiedersi il perché.” conclude Raffaella Reggi, bronzo olimpico a Los Angeles, già capitano di Fed Cup ma ormai fuori dalla “cerchia” federale. “Quando vedo che Francesca Schiavone sta per iniziare progetti con delle giovani ragazze a Miami e non in Italia mi pongo delle domande”.
È incredibile che una federazione che si sia fregiata dei successi delle azzurre, spesso rivendicando anche meriti non propri – sappiamo tutti come le azzurre di vertice si siano formate e abbiano raggiunto livelli più alti grazie alle esperienze fatte all’estero e/o con l’ausilio di coach privati e stranieri – non sia stata capace di pensare all’immediato futuro. È parimenti inammissibile che una nazione che ha avuto atlete capaci di tali risultati ai vertici del tennis mondiale e di suscitare ammirazione e interesse in tutti gli sportivi italiani, non sia oggi in grado di offrire alcun torneo del circuito femminile oltre quello di Roma, non più di primissimo livello e che vive della luce riflessa del torneo maschile.
“Con le quattro moschettiere si poteva fare di più in termini di organizzazione di tornei. Perché non organizzare un torneo a Milano indoor? Ricordo un torneo fantastico a Milano negli anni ’90 quando lavoravo con Monica Seles che vinse in finale contro la Navratilova in un’atmosfera straordinaria” racconta Claudio Pistolesi, davisman azzurro e oggi allenatore stimatissimo a livello mondiale dopo le tante esperienze sia a livello maschile (Soderling portato al best ranking di numero 4 del mondo, Sanguinetti e Bolelli trai tanti) sia a livello WTA ( Seles, Sugiyama, Hantuchova, Santangelo, Smashnova) e titolare della Claudio Pistolesi Enterprise, splendida esperienza in Florida con partnership in Europa (Inghilterra e Firenze) e Sudamerica.
Ma cosa si può fare per risollevare il tennis femminile italiano? “Per prima cosa bisognerebbe costruire i presupposti culturali sportivi e di tennis professionistico in Italia, riformare la scuola per tecnici, privilegiando chi ha esperienza di circuiti mondiali ATP e WTA. Bisognerebbe ristabilire il merito come leva per salire di livello e accesso al supporto, come avviene negli USA” ricorda l’ex numero 71 del mondo. Anni di esperienza sul tour insegnano quanto sia fondamentale il ruolo del coach. “È quella la categoria principale da supportare. Dovrebbero avere molto più potere decisionale con ovvie responsabilità collegate. I tecnici che vanno in campo devono essere i leader di uno sport, sul modello dei manager della Premier League inglese: budget, obiettivi, risultati e responsabilità“.
Adagiarsi sugli allori, tacciando come “Cassandre” i facili profeti che prevedevano un futuro difficile, è stata una grande colpa, inferiore solo a quella di non aver ancora preso pubblicamente atto del fallimento di una gestione tecnica e federale.