Fognini-Davis, binomio vincente. Kvitova ritrovata

Italiani

Fognini-Davis, binomio vincente. Kvitova ritrovata

I dieci numeri della settimana appena trascorsa. Se i big snobbano la Davis, spazio alle sorprese. Favola Norrie, conferma Kazakistan. Si rivedono Mladenovic e Lisicki

Pubblicato

il

 

2 – i top ten impegnati nel primo turno del World Group di Coppa Davis: Alexander Zverev e David Goffin (a cui va aggiunto Dominic Thiem, disimpegnatosi con la sua Austria contro la Bielorussia nel Gruppo I – Zona Europa Africa). Se la competizione mondiale a squadre del tennis maschile fosse un normale torneo del calendario ATP, le altre sei teste di serie sarebbero state, nell’ordine: Querrey 12 ATP, Kyrgios 14 ATP, Isner 18 ATP, Ramos-Vinolas 21 ATP, Fognini 22 ATP e Carreno Busta 23 ATP. In doppio, il sabato, si sono visti Cilic e Carreno Busta, ma è una specialità a parte che non incide in questo discorso relativo ai singolari. Numeri mediocri, soprattutto se a e a essi si aggiunge che appena altri tre tennisti erano nella top 40: Mannarino, Gasquet e Lopez. Come si vede, nei singolari non ha giocato nessun “Fab 4”, nessun vincitore di Slam né un tennista arrivato quantomeno ai quarti all’ultimo Australian Open: un entry list davvero povera, peggiore di quella di alcuni ATP 500 che popolano il calendario e non degna della tradizione di questa competizione pluricentenaria. Pur conservando un grande fascino -lo si vede da come la Davis continua sempre a riempire le arene che ospitano gli incontri, a prescindere dai giocatori che scendono in campo – tecnicamente sta perdendo valore, come ricordano sempre le federazioni che escono sconfitte (le stesse che, quando si vince, la considerano ancora uno specchio della salute del movimento tennistico nazionale).

3 – le top 15 sconfitte da Petra Kvitova per conquistare l’edizione 2108 del Premier di San Pietroburgo: un importante indizio dei passi in avanti compiuti per ritrovare la condizione psico-fisica persa dopo l’aggressione domestica subita nel dicembre 2016. L’ex numero 2 del mondo aveva già vinto un torneo, il secondo al quale aveva partecipato dopo il suo ritorno nel circuito al Roland Garros 2017. Petra aveva difatti vinto il Premier sull’erba di Birmingham, ma per riuscirci aveva dovuto sconfiggere una sola top 40 (Mladenovic, in quel momento 12esima giocatrice al mondo). In Russia, invece, la mancina due volte vincitrice a Wimbledon ha dovuto superare un percorso tecnicamente molto più probante, dal quale è venuta fuori alternando prestazioni quasi perfette, suggellate da schiaccianti manifestazioni di superiorità, con prove nelle quali ha palesato momenti di difficoltà, dai quali è venuta a capo con partite lottate al terzo set. Nel primo caso rientrano i successi al primo turno su Elena Vesnina, 21 WTA (6-2 6-0), quello nei quarti contro la sesta giocatrice al mondo, Jelena Ostapenko (6-0 6-2), e in finale su Kiki Mladenovic (6-1 6-2). Due le vittorie combattute per Kvitova: contro Irina Begu, 37 WTA, superata col punteggio di 6-3 1-6 6-1 e in semifinale dove ha avuto di fronte Julia Goerges, 12 WTA, rimontata e sconfitta 5-7 6-4 6-2. Bentornata Petra, il tennis femminile ha bisogno della tua classe cristallina.

4 – le volte, negli ultimi 6 anni, nelle quali il Kazakistan si è qualificato ai quarti del World Group della Coppa Davis: un risultato ottimo, tanto più per una piccola nazione – non per estensione, visto che ha una superficie grossomodo uguale a quella dell’Europa Occidentale – di 17 milioni di abitanti, non dotata di cultura e tradizione tennistica. Un risultato reso possibile dai potenti mezzi economici della federazione locale – si stima che il reddito pro capite di un abitante kazako sia tra i primissimi posti al mondo, grazie alle sconfinate ricchezze minerarie possedute dal Paese. Negli ultimi anni sono stati ingaggiati tennisti nati e cresciuti in Russia, come Michael Kukushkin (ex 46 ATP), Andrei Golubev (ex 33ATP), Eugeny Korolev (ex 49 ATP), Yury Shukin (ex 119) o in Ucraina, come Aleksandr Nedovyesov (ex 72 ATP). Lo stesso Dmitry Popko, protagonista contro gli elvetici in questo week-end, è nato a San Pietroburgo. Molti appassionati ricorderanno quando nel 2014 i kazaki si trovarono sul 2-1 in trasferta sulla Svizzera di Federer e Wawrinka, o quando nel 2015 ci eliminarono al quinto match nel primo turno del World Group, con Fognini sconfitto da Nedovyesov, o, ancora, la vittoria dello scorso settembre nel play-off contro l’Argentina campione in carica, appena la terza nazione nella storia della Davis a scendere nel Group I dopo aver vinto l’anno precedente la Coppa Davis. Quest’anno i kazaki, favoriti da un sorteggio che li ha accoppiati a una più che mediocre Svizzera arrivata ad Astana senza stelle (il migliore elvetico era Laaksonen, 123 ATP), Kukushkin e soci hanno guadagnato l’accesso ai quarti già al sabato. La federazione locale merita un plauso per come si muove, nel rispetto degli attuali regolamenti, nel “tennis-mercato”.

5 – le volte in cui l’Italia si è qualificata ai quarti da quando è tornata nel World Group della Coppa Davis nel settembre 2011, sconfiggendo nello spareggio il Cile a Santiago. Nel 2014, eliminando a Napoli la Gran Bretagna di Andy Murray, arrivammo sino alle semifinali, ma a Ginevra, contro la Svizzera di Federer e Wawrinka, dovemmo inevitabilmente capitolare. Un risultato più che discreto – specie ricordando che nel 2003 precipitammo addirittura nel Group II, perdendo nettamente da un modestissimo Zimbabwe – impreziosito dalla soddisfazione di essere tornati a vincere una sfida del tabellone principale del World Group addirittura dalla semifinale di Milwuakee nel 1998. La Davis, nonostante le assenze delle più grandi stelle del tennis, resta comunque spettacolare e coinvolgente, capace di regalare agli appassionati emozioni diverse da quelle del circuito e la sfida tra Italia e Giappone, con continui ribaltamenti di risultati, occasioni sprecate da ambo le parti in quindici ore complessive di intenso tennis, non ha fatto che confermare che, seppur perfettibile, questa Coppa resta un appuntamento irrinunciabile del calendario. Lo è soprattutto per il nostro movimento, che in questa competizione ha giocatori tradizionalmente capaci di dare il meglio di loro stessi, abili a regalare soddisfazioni agli appassionati italiani, purtroppo abituati ad averne ben poche nel resto dell’ anno, nei tornei che contano davvero. La vittoria dei nostri giocatori contro il Giappone – seppure privo del suo top player, Nishikori – resta una bella notizia, obbedendo alla vecchia regola che, nella vita come nello sport, gli assenti abbiano sempre torto.

15 – le sconfitte consecutive in cui è incappata Kristina Mladenovic a partire da fine luglio scorso, quando al primo turno dell’International di Washington sconfisse Tatjana Maria, allora 62 WTA. La tennista francese era reduce da un’eccellente prima parte di 2017, nella quale aveva vinto il Premier di San Pietroburgo e raggiunto le finali a Acapulco, al Premier di Stoccarda e, soprattutto, al Premier Mandatory di Madrid, quando perse in 3 set combattuti da Halep. In questo lasso temporale, la francese aveva sconfitto top 5 come Kerber, Muguruza, Pliskova e Halep (a Indian Wells): sembrava pronta a un’ulteriore salto di qualità e a un nuovo balzo in classifica, prima che incappasse in questa incredibile serie di sconfitte consecutive, alcune delle quali particolarmente gravi, contro tenniste posizionate attorno, se non oltre, alla 100esima posizione del ranking (è stata eliminata da Andreescu, 167 WTA, a Washington; da Fett, 123 WTA, a Tokyo; da Ying-Duan, 99 WTA, a Pechino; da Sasnovich, 100 WTA, a Mosca; da Perez, 341 WTA, a Sydney e da Bogdan, 104 WTA, a Melbourne). Questa settimana a San Pietroburgo è arrivata la sua resurrezione tennistica: esentata dal primo turno in qualità di quarta testa di serie, ha prima sconfitto con un duplice 6-4 Dominika Cibulkova, 27 WTA, per poi avere la meglio su due teen-ager: nei quarti con Katerina Siniakova, 52 WTA (6-3 6-4 il punteggio), in semifinale con Daria Kasatkina, 23 WTA, eliminata con lo score di 3-6 6-3 6-2. In finale la francese è stata sovrastata da Kvitova, ma per questa volta va benissimo così.

27 – i successi, tra singolare (20 in 27 partite) e doppio (7 su 9) di Fabio Fognini in Coppa Davis: un record eccellente che pone Fabio ben davanti, tra i tennisti azzurri nell’Era Open, a ottimi colleghi connazionali capaci di fare grandi imprese in nazionale (l’apice per la nostra selezione, dagli anni Ottanta in poi, è arrivato nel 1998 con la finale di Milano, persa anche con sfortuna contro la Svezia). Tennisti come Gaudenzi (19-14 il suo bilancio complessivo tra singolare e doppio), Furlan (10-9), Nargiso (18-14), Camporese (18-12), Seppi (22-20), Canè (11-15, ma 9-8 in singolare) e a un tiro di schioppo da uno dei nostri tre eroi degli anni settanta, Paolo Bertolucci (30-10, ma con 22 vittorie arrivate in doppio). A onor del vero, i suddetti giocatori hanno giocato solo nel World Group, ma il ligure nel Group I ha vinto solo 5 incontri (e ne ha perso 1). Nel week-end di Morioka Fognini è stato l’autentico trascinatore della squadra azzurra, vincendo, più con la forza di volontà che con un bel tennis, per la terza volta in carriera i due singolari e il doppio (gli era già accaduto nel 2014 a Mar del Plata contro l’Argentina, nel 2015 a Irkutsk contro la Russia) e per la sesta entrambi i singolari. Eccellente anche il suo score in Davis nelle partite terminate al quinto: ne ha vinte cinque su sei, con la macchia dell’unica sconfitta, corrispondente anche alla sola vera partita persa avendo nettamente i favori del pronostico, nel 2015 ad Astana, quando nel quinto incontro perse contro il kazako Nedovyesov, allora 130 ATP. Numeri che certificano l’ elevata attitudine di Fognini per l’atmosfera della Davis, competizione che gioca ininterrottamente dal 2008. Grazie Fabio.

37 – % la percentuale di successi in partite giocate in Coppa Davis e terminate al quinto set di Andreas Seppi, che solo in 3 circostanze su 8 (nel 2005 a Torre del Greco su Ferrero, allora 20 ATP; nel 2008 in trasferta contro un giovanissimo Cilic, in quel momento 44 ATP, e sempre lontano dall’Italia, nel 2013 contro Pospisil, allora 140 ATP) ha vinto quando è stato chiamato a giocare il quinto set con la maglia azzurra: cifre in controtendenza col bilancio in Davis del quasi 34enne tennista nato a Caldaro (Bz), che ha vinto in singolare 18 dei 36 incontri giocati. Numeri che fanno specie, soprattutto se confrontati col bilancio in carriera al quinto di Andreas, giunto in Giappone con un lusinghiero 59% di vittorie (22 su 37), percentuale più alta di quella dei suoi successi al terzo quando si gioca al meglio dei 3 (55%) e di quella delle vittorie in rapporto a tutte le partite giocate (48%). Purtroppo, l’ultima sconfitta al quinto è arrivata lo scorso week-end a Morioka, quando Andreas, opposto al numero 1 nipponico Sugita, pur rimontando da 1 set a 2 e da un break sotto nel quinto, ha sprecato un match-point ed è caduto al tie- break del set decisivo – anche in questa particolare situazione di punteggio aveva un bilancio positivo, avendo vinto 26 delle 46 volte in cui una sua partita si era decisa al gioco decisivo dell’ultimo set -, facendo andare il Giappone sul momentaneo 1-1. Resta un baluardo importantissimo della nostra nazionale.

110 – il numero della posizione nella classifica ATP di Cameron Norrie, 22 enne tennista britannico capace di rimontare da due set e un break di svantaggio nel terzo contro Bautista Agut, 23 ATP, vincitore in Davis di 6 singolari su 9. Una grande impresa la sua, capace di smuovere anche l’attenzione di Andy Murray, autore nella serata di venerdì di un tweet celebrativo della vittoria del giovane compagno di nazionale, da lui definita “una delle più fantastiche vittorie e rimonte che ho visto su un campo da tennis da tanto tempo a questa parte”. Era l’esordio assoluto in coppa Davis per il longilineo (187 cm) mancino nato in Sud Africa a Johannesburg (coincidenza, la stessa città che ha dato i natali a Edmund) che tra l’altro non aveva mai giocato, nemmeno a livello Challenger, da professionista una partita sulla terra. Una storia particolare quella di Cameron: nato da padre scozzese e mamma gallese, cresciuto da quando aveva 3 anni sino ai 16 in Nuova Zelanda – dove ancora vivono i suoi genitori – nazione che ha rappresentato nella prima parte della carriera da junior, prima di decidere di farsi sostenere dalla ricca federazione britannica. Il giovane Cameron, gran protagonista della prima giornata della sfida ambientata sulla terra all’aperto di Marbella, sino all’anno scorso era uno studente di sociologia alla Texas Christian University e giocava quasi esclusivamente nei campionati universitari statunitensi, prima di decidere di provarci davvero come professionista. Norrie aveva ottenuto la prima delle sin qui due sue vittorie nel circuito maggiore contro Zeballos lo scorso giugno sull’erba di Eastbourne, ma aveva costruito la sua classifica a ridosso dei primi 100 grazie a tre titoli e una finale a livello Challenger, tutte raccolte tra fine luglio e inizio ottobre dello scorso anno. La domenica, contro Ramos-Vinolas, si è arreso solo dopo quasi quattro ore di battaglia. Risentiremo parlare di lui molto presto.

245 – la classifica WTA con la quale Sabine Lisicki si è iscritta al suo primo torneo nel 2018, il Taiwan Open, piccolo International dotato di 250.000 dollari di montepremi che si è giocato a Taipei. Un piazzamento in classifica disastroso, dovuto a un 2017 costellato di problemi fisici, che le hanno consentito di giocare appena 5 tornei (eliminazioni al primo turno a Wimbledon e US Open e gli unici quarti arrivati sull’amata erba, in questo caso quella di Maiorca). La ventottenne tedesca, ricordata soprattutto per essere stata finalista a Wimbledon 2013 (sconfitta da Marion Bartoli) e per avere il record del servizio più veloce (210,8 kmh a Stanford nel 2014) in carriera ha vinto 4 titoli (Charleston nel 2009, Birbingham e Dallas nel 2011 e Hong Kong nel 2014), come best career ranking è stata 12 nel maggio 2012 e per due anni (2011 e 2013) ha concluso la stagione nella top 15. Sembrava, nonostante l’età ancora le consentisse di esprimersi, ormai destinata a non riprendersi, ma questa settimana ha mostrato di avere pienamente voglia di riemergere. Al primo turno ha eliminato Yuxuan Zhang, 360 WTA, rimontata da 1-5 nel terzo e alla quale ha annullato due match point, prima di imporsi 6-3 1-6 7-6(3). Molto più facile l’appuntamento al secondo turno con Nao Hibino, 93 WTA, liquidata con il punteggio di 6-4 6-1. Nei quarti per Sabine vi è stata un’altra dura battaglia da vincere, questa volta con Monica Niculescu, 99 WTA, superata col punteggio di 4-6 6-4 6-4. La seconda partita molto dispendiosa in pochi giorni ha poi sfiancato la tedesca, caduta davanti a Kateryna Kozlova, 85 WTA, vincitrice col punteggio di 7-5 6-4.

369 – la posizione nel ranking ATP dell’olandese Thiemo De Bakker, autore della sorpresa maggiore della prima giornata, quando ha sconfitto in 3 set (e in trasferta) Adrian Mannarino, 25 ATP, tennista al suo esordio assoluto con la nazionale transalpina. Un risultato incredibile, se si pensa che il quasi 30enne olandese, 40 ATP come best career ranking (nel luglio 2010), dal Roland Garros 2016 – impegni con la selezione olandese esclusi – aveva giocato dopo un infortunio alla caviglia de solo una manciata di challenger e futures. Thiemo, che due settimane fa perdeva al Futures in Egitto dal nostro Roberto Marcora, era stato 3 volte vincitore in carriera su top 10 (nel 2010 a Barcellona su Tsonga e a Shanghai contro Verdasco, nel 2013 Baastad su Berdych) non riusciva a sconfiggere un top 25 come Mannarino da luglio 2014, quando ad Atlanta sconfisse Kevin Anderson. I miracoli che rendono immortale la Coppa Davis.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement