Da Miami 2007 a Cincinnati 2018: come Djokovic ha vinto tutto

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Da Miami 2007 a Cincinnati 2018: come Djokovic ha vinto tutto

Un viaggio attraverso gli undici anni che sono serviti al serbo per completare la collezione dei nove Masters 1000

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Novak Djokovic ha conquistato il trentunesimo Masters 1000 della sua carriera a Cincinnati. Il più importante, perché adesso ha vinto almeno una volta tutti i nove tornei di categoria oltre ai quattro Slam, alle ATP Finals e alla Coppa Davis. Gli mancherebbe soltanto l’oro olimpico, sulla cui importanza il dibattito è francamente trascurabile. Ripercorriamo gli undici anni che sono serviti al serbo per completare il puzzle dei ‘1000’ (oltre a tutto il resto).

1 – MIAMI 2007 (primo titolo)

Tutto è cominciato nel 2007, quando un Novak Djokovic neanche ventenne s’inventava manie di grandezza in quel di Indian Wells sfidando a viso aperto Rafael Nadal in finale. Il serbo giocava la sua prima finale in un 1000, lo spagnolo ci arrivava con sei titoli di categoria già nel palmares e un paio di Roland Garros vinti, tanto per incutere più timore. Finì come doveva finire, con la vittoria del secondo giocatore più forte del mondo in due set.

Vai a pensare però che i due si sarebbero sfidati ancora la settimana successiva, ai quarti del Masters di Miami, e il serbo avrebbe questa volta vinto nettamente – la prima di 27 vittorie negli scontri diretti – mettendosi in tasca il primo scalpo di un top 5 sulla strada del primo trionfo in un Masters Series (prenderanno a chiamarsi ‘1000’ due anni più tardi). Djokovic conduce il torneo col piglio del veterano senza perdere un set, lasciando un solo game a Murray in semifinale e nove a Canas in finale (ma la finale si giocava al meglio dei cinque). Difficile immaginare se in quella tenera corsa ad abbracciare i genitori ci sia già il proposito di cominciare la collezione che avrebbe terminato solo undici anni dopo a Cincinnati. Unico a riuscirci, come accade ai più grandi.

2 – MONTREAL 2007 (secondo titolo)

Nadal si sa, è un tipo che se le lega al dito. Così sull’amata terra battuta – siamo ancora nel 2007 – stronca le velleità del rampante Djokovic prima a Roma e poi al Roland Garros, per poi sfiancarlo al punto da costringerlo al ritiro anche a Wimbledon. Dopo questo tris di batoste quale giocatore si sarebbe rialzato scostando appena un po’ di polvere dalla giacca per riprovarci? Djokovic, appunto. Al Canada Masters il serbo decide di piazzare un clamoroso conto alla rovescia: batte il n.3 del mondo Roddick (di cui prenderà il posto a fine torneo) ai quarti di finale, il n.2 Nadal in semifinale e il n.1 Federer in finale ‘lobbandolo’ a due dita dalla riga sul match pointTre, due, uno: il serbo ha già riempito due caselle su nove e ha cominciato solo da cinque mesi.

3- INDIAN WELLS 2008 (terzo titolo)

È ormai chiaro che Nole si trova piuttosto bene nel deserto californiano, e siccome di mestiere ha sempre voluto fare quello che si prende rivincite arriva ancora a sfidare Nadal a Indian Wells, questa volta in semifinale, e gli lascia cinque game. Quella contro Mardy Fish in finale non è certo una passeggiata, Djokovic lascia il primo set del torneo per strada ma vince i due che gli servono per salire a quota tre Masters Series. In una stagione che gli ha già regalato il primo trionfo Slam – Melbourne, che di lì a tre anni sarebbe diventato il suo feudo – la sua presenza è ormai rilevante nel circuito ATP. È il terzo incomodo, ma solo perché ha due fenomeni davanti.

4 – ROMA 2008 (quarto titolo)

Inizia a intravedersi un certo metodo nelle vittorie di Novak Djokovic. Al Foro Italico il campione serbo mette la bandierina sul quarto Masters della sua carriera, tutti diversi, così che alla soglia dei 21 anni gliene mancano solo cinque per chiudere quel Career Golden Masters di cui ancora non si parla perché si tratta di un circuito di tornei piuttosto giovane. Per il quarto sigillo Djokovic deve inviare corposi ringraziamenti a Juan Carlos Ferrero che al secondo turno gli elimina Rafa Nadal, il terrore del mattone tritato; il serbo approfitta anche di un tabellone morbido – non deve affrontare alcun top 20 – per arrivare a sfidare e battere Wawrinka in finale.

Se è vero che l’appetito vien mangiando, Djokovic arriva parecchio affamato anche a Cincinnati ma si vede respinto da Federer in finale; nel mancare il quinto successo non sa che l’Ohio diventerà per lui una maledizione, né che prima o poi si libererà anche di questa. Per dimenticare la delusione a fine stagione va a farsi una gita a Shanghai, al torneo degli otto più forti del mondo, e vince il primo titolo (alla seconda partecipazione) in finale contro Davydenko. Per essere sicuro che nessuno un giorno possa contestargli la validità della ‘collezione dei nove’ perché non ha vinto le Finals.

5 – BERCY 2009 (quinto titolo)

Il quinto ‘1000’ della carriera – adesso si chiamano effettivamente così dopo l’ultimo cambio di nomenclatura – Djokovic lo vince a Parigi, sull’indoor del BNP Paribas MastersLo fa al termine di una stagione nel corso della quale vince sì tre ATP 500 e un ATP 250 ma perde anche ben quattro finali nel circuito Masters 1000, due delle quali – Montecarlo (Nadal) e Cincinnati (Federer) – sarebbero state utili per aggiornare la collezione. Si tenga buono il successo parigino che arriva in finale contro l’autoctono Monfils al termine di una partita tutt’altro che semplice, con Djokovic costretto a tenere i nervi saldissimi nel pericoloso tie-break del set decisivo che si chiude con un doppio fallo di Gael. 5/9, siamo al 55% dell’impresa.

Giunti a questo punto, la carriera di Djokovic – che per ora gli vale un trafiletto striminzito nel Libro del tennis – arriva a un bivio. Nel 2010 il serbo vince ancora a Dubai e a Pechino, solleva la prima Coppa Davis della storia del suo paese ma fallisce gli appuntamenti più importanti della stagione. Se di fallimento si può parlare quando ti arrendi a uno Tsonga a tutto campo nei quarti di finale dell’Australian Open e t’inchini a uno dei migliori Nadal che il cemento di New York abbia avuto la fortuna di ospitare. Djokovic è già forte, fortissimo, ma per trovare spazio tra i grandi di quest’epoca c’è bisogno di andare ancora oltre. E lui lo fa.

Alla pagina successiva: dal dominio del 2011 alla chiusura del cerchio a Cincinnati

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